• Marchi registrati

6 maggio 2024

Il giudizio di confondibilità nei marchi complessi: come procedere nella valutazione di somiglianza

Analizzando una fattispecie riguardante il giudizio di confondibilità relativo ad un marchio complesso, la Corte di Cassazione ha ricordato che il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore.


Nel caso di specie un'azienda ha presentato una domanda di registrazione del marchio "vicolo trivelli", che comprende una parte denominativa, scritta in corsivo, che sovrasta un’immagine ovale al cui interno è rappresentata una serratura. Il marchio è destinato a prodotti appartenenti alle classi 18 e 25. La parte ricorrente, titolare di un marchio europeo composto dalla parola "vicolo" registrato per prodotti delle stesse classi, ha presentato opposizione contro la registrazione del marchio predetto. Tuttavia, l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi ha respinto l'opposizione, decisione confermata dalla Commissione dei ricorsi perché il marchio opposto presentava una combinazione di elementi che includeva la parola "vicolo" ma aggiungeva anche il patronimico "trivelli" e, quindi, essendo il segno anteriore dotato di una capacità distintiva ridotta a causa della sua genericità, le differenze indicate, alla luce dei criteri interpretativi elaborati dalla giurisprudenza, apparivano più che sufficienti ad escludere il rischio confusorio.

In tale occasione, la Corte di Cassazione, con ordinanza del 9 aprile 2024, n. 9518, ha ricordato che la regola, da cui la giurisprudenza fa discendere la distinzione tra marchi forti e marchi deboli, rilevante sul piano dell’intensità della tutela discendente dalla registrazione, è legata alla constatazione, maturata nel senso comune, per cui ben scarsa è l'attitudine individualizzante di segni concettualmente legati al prodotto, per non essere andata, la fantasia che li ha concepiti, oltre il rilievo di un carattere, o di un elemento dello stesso, ovvero per l'uso di parole di comune diffusione che non sopportano di essere oggetto di un diritto esclusivo (cfr.: Cass. 25 gennaio 2016, n. 1267). Da ciò traspare la valorizzazione dell’esigenza di delimitare, in funzione antimonopolistica, l'ambito di tutela dei marchi aventi un forte contenuto descrittivo e di consentire ai concorrenti dell’operatore, che ha già registrato un marchio con tali caratteristiche, di utilizzare segni simili nei quali sono presenti elementi che suggeriscono lo stesso accostamento al prodotto o al servizio contrassegnato.

Ciò non significa, però, che la scarsa distintività di un segno non possa dipendere da altre circostanze. Poiché il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore (Corte Giustizia 11 novembre 1997, C-251/95, Sabel), è indubitabile che il giudice cui è demandato l'accertamento del rischio confusorio debba anche verificare il grado di distintività del marchio in questione.

L'apprezzamento in relazione alla debolezza del marchio e alla sua capacità distintiva si inscrive nell'alveo del giudizio vertente sulla confusione tra i segni e sfugge, come tale, al sindacato di legittimità. In termini generali, infatti, l'apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità, o meno, dei marchi costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in Cassazione se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici (Cass. 13 marzo 2017, n. 6382; Cass. 28 febbraio 2006, n. 4405); in particolare, è rimesso al giudice del merito il riconoscimento della maggiore o minore capacità distintiva del segno (Cass. 15 dicembre 2022, n. 36862).

La Corte ha altresì ricordato che la valutazione di somiglianza di un marchio complesso ad altri marchi non può basarsi sulla considerazione di una sua unica componente, per confrontarla con quella dell’altro segno, occorrendo procedere all’esame dei segni in conflitto considerati nel loro insieme, fermo restando che, in determinati casi, l'impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico di riferimento da un marchio complesso può essere influenzata da una o più delle sue componenti e, in tali ipotesi, laddove tutte le altre componenti assumano un rilievo trascurabile, la valutazione di somiglianza può essere affidata al solo esame delle componenti rilevanti (Cass. 15 dicembre 2022, n. 36862, cit.; cfr. pure Cass. 12 maggio 2021, n. 12566, secondo cui per valutare la similitudine confusoria tra due marchi complessi occorre utilizzare un criterio globale che si giovi della percezione visiva, uditiva e concettuale degli stessi con riferimento al consumatore medio di una determinata categoria di prodotti, considerando anche che costui non ha possibilità di un raffronto diretto, che si basa invece sulla percezione mnemonica dei marchi a confronto).