• Farmaceutici e fitosanitari

27 giugno 2017

Segni distintivi del settore farmaceutico: contraffazione del marchio “OKI” e criteri di risarcimento del danno

Nel settore farmaceutico, il marchio KOKI accompagnato ad una parte meramente descrittiva del prodotto (KOKI-tuss; KOKI-mucil; KOKI-dec) è privo di novità ed interferente con il marchio rinomato OKI, in maniera tale da far sussistere quantomeno il rischio ex art. 12 lett. e) c.p.i. di agganciamento al segno rinomato, dal quale deriva lo sfruttamento dell’indebita associazione che il consumatore medio nei suoi acquisti di farmaci in libera vendita potrebbe stabilire con la qualità e i pregi dei prodotti della titolare del segno rinomato.

Al contempo, la titolare del marchio in contraffazione arrecherebbe pregiudizio al marchio della concorrente, indebolendone l’idoneità a identificare come provenienti dalla sua titolare i prodotti per i quali esso è stato registrato.

L’accertata contraffazione di un marchio comporta l’assorbimento della domanda avente ad oggetto la concorrenza sleale quando non siano stati accertati comportamenti ulteriori rilevanti rispetto a quelli che danno origine alla contraffazione.

Il risarcimento del danno conseguente all’accertata contraffazione, sia sotto il profilo del danno emergente che sotto quello del lucro cessante, presuppone che vengano fornite indicazioni utili o elementi di prova significativi ai fini dell’accertamento e della liquidazione richiesti.

Poichè l’accertamento del danno in via equitativa risponde agli stessi criteri del ristoro risarcitorio ai fini dell’onus probandi, esso non puo’ prescindere dall’allegazione di elementi concreti sulla base dei quali poter parametrare il pregiudizio che si assume sofferto. Il “mancato guadagno” consiste nella perdita di quote di mercato anche per il futuro, per il calo di credibilita’ verso i consumatori e verso i clienti.

Il risarcimento del danno come lucro cessante subito dal titolare del marchio in conseguenza della contraffazione posta in essere dal contraffattore, va rapportato, in base ai criteri suggeriti dall’art.125 c.p.i. secondo comma, al valore delle “royalties”che il concessionario del marchio sarebbe stato tenuto a pagare alla controparte se avesse ottenuto da quest’ultima una licenza.

La royalty va liquidata non solo tenendo conto del canone che pagherebbe il licenziatario, ma con una maggiorazione percentuale che tenga conto della illiceita’ della condotta contraffattoria.

La domanda di retroversione degli utili va proposta autonomamente e non puo’ essere sottesa dal richiamo alla disposizione contenuta nell’art.125 c.p.i. nel suo complesso.

Fonte: Giurisprudenza delle imprese