merito

  • Diritti di proprietà industriale - Aspetti generali

Corte d'Appello Roma 04/03/2025 [Diritti di proprietà industriale - Franchising alberghiero - Marchi recanti i vocaboli “QUALITY” e “COMFORT” - Termini usati nel nome a dominio di parte convenuta titolare di affittacamere - Marchio forte - Confondibilità]

Diritti di proprietà industriale - Franchising alberghiero - Marchi recanti i vocaboli “QUALITY” e “COMFORT” - Domanda per accertare e dichiarare che l’uso delle parole “QUALITY” e “COMFORT” nel nome a dominio, nell’insegna e/o quale marchio di fatto ad opera del convenuto, titolare di affittacamere, o in ogni caso l’uso a qualsiasi titolo nell’ambito della propria attività commerciale costituisce violazione dei diritti di proprietà industriale delle attrici nonché concorrenza sleale ex art. 2598 cod. civ. - Inibitoria - Risarcimento del danno - Accoglimento - Appello - Accoglimento - Non consentito alla peculiarità del marchio “forte” della parte attrice appellata comportare una sostanziale “stasi” di tutto il settore dell’accoglienza turistico/alberghiera che utilizzi vocaboli di uso comune con una modalità tale da distinguere nettamente sia il tipo di servizio, sia la sua provenienza, grazie a caratteristiche che non sono di lieve differenza rispetto al marchio tutelato e alla sua riconducibilità a certa tipologia di attività di ricezione.

 

SENTENZA

n. 1400/2025 pubbl. 04/03/2025

(Presidente: dott.ssa Gianna Maria Zannella - Consigliere rel.: dott.ssa Maria Delle Donne)

 

 

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3310 del registro generale degli affari contenziosi dell’anno 2020, passata in decisione all’udienza cartolare del 4 marzo 2025 e vertente tra

 

 

TRA

Parte_1 (...), rappresentato e difeso, per procura in atti, dall’Avv. (...);

APPELLANTE ed APPELLATO IN VIA INCIDENTALE

 

 

E

Controparte_1 con sede in (...) (Stati Uniti) e Controparte_2 (...) con sede in (...) (Germania), rappresentate e difese dagli Avv.ti (...);

APPELLATE ed APPELLANTI IN VIA INCIDENTALE

 

 

FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA
 

§ 1 - La vicenda che ha dato origine alla lite è la seguente.

Le società Controparte_1 e Controparte_2, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, convenivano in giudizio avanti all’intestato Tribunale [...] Parte_1 chiedendo accertarsi e dichiararsi che l’uso delle parole “quality” e “comfort” da parte del convenuto costituiva atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 nn. 1, 2 e 3 c.c., nonché la illegittimità della registrazione del nome a dominio www.qualitycomfortrooms.com e, per l’effetto, disporsi la revoca della registrazione del predetto nome a dominio e inibire alla controparte l’uso di tali parole quali insegne o marchi di fatto, con conseguente condanna del convenuto al risarcimento dei danni.

La parte attrice esponeva:

- che la società Controparte_1 era attiva fin dagli anni Trenta nel settore del franchising alberghiero, di cui rappresentava una delle catene più importanti e di maggior successo al mondo, nonché uno dei gruppi alberghieri internazionali con maggior presenza in Italia, avendo all’attivo oltre 6300 alberghi in più di 35 Stati in diverse fasce di mercato ed essendo titolare di numerose registrazioni di marchi identificativi dei propri servizi;

- che, in particolare, la società Controparte_1 era titolare dei seguenti marchi:

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0856009 “COMFORT” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0856096 “COMFORT INN” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0856097 “COMFORT HOTEL” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0856098 “COMFORT INN&SUITES” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0858953 “COMFORT INN” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0859062 “COMFORT HOTEL” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0861346 “COMFORT HOTEL&SUITES” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0863147 “COMFORT INN & SUITES” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione European. 002365146 “QUALITY INN” per le classi 35, 41 e 42;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 002365336 “QUALITY SUITES” per le classi 35, 41 e 42;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 002365583 “CS COMFORT SUITES” per le classi 35, 41 e 42;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 004278412 “QUALITY RESORT” per le classi 35, 41 e 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 004278421 “QUALITY” per le classi 35, 41 e 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 004278651 “QUALITY HOTEL” per le classi 35, 41 e 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 005494984 “QUALITY HOTEL & SUITES” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 006375901 “COMFORT INN” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 007360481 “COMFORT SUITES” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 013012018 “COMFORT EXPRESS” per la classe 43;

- che i citati titoli di proprietà industriale costituivano due serie di marchi, ciascuna caratterizzata rispettivamente dai vocaboli “QUALITY” e “COMFORT” e che la società Controparte_2 [...] rappresentava il ramo europeo della società Controparte_1;

- che nel 2015, a seguito di controlli via internet, la parte attrice aveva individuato il sito www.qualitycomfortrooms.com di parte convenuta, registrato in data 16/4/2011 in violazione dei propri diritti di proprietà industriale, che promuoveva l’attività di affitta camere condotta dal Parte_1, il cui esercizio commerciale era definito come “piccola struttura alberghiera”, con conseguente assimilazione ai servizi offerti dalle attrici, pertanto, con diffida del 5/10/2015, aveva informato il convenuto dei propri diritti di esclusiva, chiedendo la cessazione di ogni violazione, in qualsiasi forma perpetrata, e la sostituzione del nome a dominio con altro che non fosse simile e/o confondibile e/o associabile con i marchi CP_1 senza esito;

- che il settore alberghiero italiano era caratterizzato da elevata frammentazione, ma, ciò nonostante, negli ultimi decenni si era diffusa la presenza in Italia di catene alberghiere anche internazionali che rappresentano un elemento di grande attrazione per l’utente, il quale confida su un determinato standard qualitativo dei servizi offerti, ma, contemporaneamente, a causa della rivoluzione digitale che ha caratterizzato le modalità di scelta e di pianificazione delle vacanze, il singolo consumatore può procedere direttamente alle prenotazioni alberghiere tramite internet, mediante ricerche basate frequentemente su parole chiave sulle piattaforme web, condizionate fortemente dall’associazione di determinate parole chiave a gruppi societari.

Le attrici evidenziavano pertanto la somiglianza tra i segni utilizzati dal convenuto e i propri diritti di privativa, con conseguente configurabilità, a carico del Parte_1, di condotte di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. ed invocavano pertanto la tutela ex artt. 9, co. I, lett. b) del regolamento dei marchi dell’Unione Europea n. 207/2009 e 20 del codice della proprietà industriale, dando atto che per famiglia o serie di marchi si intende l’insieme di segni appartenenti ad un medesimo titolare riproducenti in modo costante un medesimo elemento distintivo con l’aggiunta di un elemento di differenziazione, rispetto ai quali il rischio di confusione può derivare dalla possibilità di associare il segno utilizzato da un terzo ai marchi anteriori appartenenti alla serie, in presenza di somiglianze tali da indurre il consumatore a credere che esso faccia parte della stessa serie e pertanto che i prodotti o servizi contraddistinti da tali segni abbiano la stessa origine commerciale di quelli protetti dai marchi anteriori.

Le attrici evidenziavano, inoltre, che le condotte illecite imputabili al convenuto erano le seguenti: registrazione ed attivazione del nome a dominio www.qualitycomfortrooms.com, uso dei vocaboli “QUALITY” e “COMFORT” nel sito web di cui sopra, in portali web di terzi e sui social media per identificare i propri servizi; utilizzo dei vocaboli “QUALITY” e “COMFORT” in materiale pubblicitario e promozionale (inclusi, ma non limitati a, dépliant, brochure e biglietti da visita), nell’insegna e nei rapporti commerciali con i clienti (ad es. indirizzo email, contatti telefonici ecc.), dando atto che i servizi per i quali erano utilizzati i segni distintivi del convenuto in violazione dei diritti di privativa attorei rientravano nelle classi per le quali i marchi attorei risultavano registrati ed in particolare nelle classi merceologiche nn. 43, 41 e 35, dando atto che le attrici svolgevano attività alberghiera, così come il convenuto era titolare di attività di messa a disposizione di camere per alloggio temporaneo, con predisposizione di servizi accessori, quali, ad esempio, l’offerta della colazione e la predisposizione dei servizi di pulizia delle camere e di collegamento alla rete Wi-Fi, con la conseguenza che i servizi offerti dalle parti potevano essere percepiti dal consumatore come atti a soddisfare bisogni analoghi.

Le società Controparte_1 e Controparte_2 evidenziavano, inoltre, che il rischio di confusione tra i servizi offerti dalle parti era accentuato dal fatto che essi si rivolgevano ad una clientela internazionale e che su molte piattaforme Internet i servizi offerti dalle attrici e dal convenuto comparivano contemporaneamente a seguito della digitazione delle parole chiave costituite dai vocaboli “QUALITY” e “COMFORT”, anche in combinazione tra loro, con la conseguenza che la registrazione dell’uso del nome a dominio www.qualitycomfortrooms.com e del segno “QUALITY COMFORT” da parte del convenuto costituivano contraffazione di marchi registrati dalla parte attrice, oltre che atti di concorrenza sleale confusoria ai sensi dell’art. 2598, n. 1 c.c., per agganciamento parassitario e per appropriazione di pregi di cui al n. 2 del citato articolo, oltre che condotte contrarie ai principi di correttezza professionale ai sensi del n. 3 della citata norma. La parte attrice chiedeva, inoltre, la condanna del convenuto al risarcimento dei danni, evidenziando il pregiudizio alla propria reputazione e all’immagine commerciale subiti a causa dell’avversa attività illecita, da liquidarsi in via equitativa, oltre alla retroversione degli utili realizzati dal Parte_1 in alternativa al lucro cessante o nella misura in cui esse eccedessero tale risarcimento, con pubblicazione della presente sentenza, dando atto della competenza del Tribunale di Roma ex artt. 94, 95, 96 lett. a) e 97 del R.M.E.U., essendo il convenuto residente in Italia, mentre la competenza della sezione specializzata in materia d’impresa del Tribunale di Roma discendeva dall’applicazione dell’articolo 4, co. I-bis D.Lgs. n. 163/2003, essendo parti in causa società aventi sede all’estero ed essendo il convenuto residente in Pescara, città compresa nel distretto della Corte d’Appello di L’Aquila.

Le parti attrici così concludevano: “a. in via principale

1) accertare e dichiarare che l’uso delle parole “QUALITY” e “COMFORT” nel nome a dominio www.qualitycomfortrooms.com, nell’insegna e/o quale marchio di fatto nelle comunicazioni commerciali, in materiale promozionale e pubblicitario anche a mezzo internet e su social media ad opera del Sig. Parte_1 (in sede di conclusioni “convenuto”) o in ogni caso l’uso a qualsiasi titolo nell’ambito della propria attività commerciale costituisce violazione dei diritti di proprietà industriale delle attrici, come meglio specificati in narrativa (in sede di conclusioni “Parte_2”), ai sensi dell’art. 9 Reg. CE 207/2009 nonché degli artt. 20 e 22 del Codice della Proprietà Industriale (“CPI”);

2) accertare e dichiarare che l’uso delle parole “QUALITY” e “COMFORT” come specificato al punto precedente costituisce atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 nn. 1, 2 e 3 c.c. per le ragioni esposte in narrativa;

3) per l’effetto, dichiarare l’illegittimità della registrazione del nome a dominio www.qualitycomfortrooms.com visti gli artt. 9 Reg. CE 207/2009, nonché 20 e 22 CPI;

4) ordinare ai sensi dell’art. 118 co. 6 CPI la revoca della registrazione del nome a dominio www.qualitycomfortrooms.com, a cura del convenuto ed entro 10 giorni dalla notifica dell’emananda sentenza;

5) inibire al convenuto l’uso dei segni di cui ai precedenti punti nonché di ogni altro somigliante o con essi confondibile a qualsiasi titolo, con ogni mezzo e modalità;

6) pronunciare ogni opportuno provvedimento affinché siano eliminati gli effetti degli illeciti denunciati, ed in particolare disporre la rimozione dei segni e/o la distruzione di tutto il materiale pubblicitario, promozionale e/o commerciale in cui si è concretata la violazione dell’esclusiva, nonché la rimozione dei segni in violazione dalle pagine del sito web del convenuto o ad esso collegati;

7) condannare il convenuto al pagamento, in favore delle società attrici, della somma di 1.000€ per ogni violazione, inosservanza o giorno di ritardo nell’esecuzione dell’emananda sentenza;

8) condannare il convenuto, ai sensi sia dell’art. 2600 c.c. sia dell’art. 125 CPI, alla retroversione degli utili nonché al risarcimento degli ulteriori danni subiti e/o subendi, sia economici sia morali, in favore della società attrice, derivanti dall’utilizzo dei Marchi CP_1 e/o di qualsiasi altro segno identico o simile ai titoli di privativa delle società attrici, da quantificarsi secondo le risultanze di causa ovvero in via equitativa;

9) disporre ex art. 2600 comma 2 c.c. e art. 126 CPI la pubblicazione della sentenza nell’intestazione e nel dispositivo a cura e spese del convenuto, sul sito internet e socialmedia del convenuto e su due quotidiani nazionali `La Repubblica” e `Il Corriere della Sera”, nelle dimensioni pari ad almeno 2 moduli ed in caratteri doppi rispetto al normale; disporre che, in caso di inadempienza del convenuto per oltre cinque giorni dalla comunicazione della sentenza, potranno provvedere alla pubblicazione a propria cura e spese le attrici con diritto a ripetere dal convenuto le relative spese a semplice presentazione di fattura”.

Parte_1, costituitosi con comparsa del 10/7/2017, eccepiva preliminarmente la prescrizione delle avverse pretese risarcitorie e, nel merito, chiedeva il rigetto di tutte le domande attoree.

Il convenuto, premessa l’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 2947 c.c., deduceva che la registrazione del nome a dominio e l’apertura del sito internet relative alla propria attività di affittacamere “Quality Comfort Rooms” risaliva al 16/4/2011, data di decorrenza della prescrizione quinquennale dell’avversa pretesa risarcitoria, con conseguente decorso del relativo termine di prescrizione, risalendo la notificazione dell’atto di citazione al 20/3/2007.

Il convenuto eccepiva, inoltre, la carenza di interesse ad agire e il difetto di legittimazione attiva della società Controparte_2, non esercente alcuna attività alberghiera in Italia e non titolare dei diritti di privativa di cui si chiedeva la tutela, dando atto che quest’ultima società deteneva in Italia solo due unità locali, in particolare una sede secondaria in Milano e un ufficio commerciale in Roma, entrambi uffici amministrativi non esercenti l’attività di promozione e sviluppo dell’attività alberghiera.

Il convenuto respingeva, inoltre, ogni addebito relativo alla contraffazione di marchi, deducendo che i marchi facenti capo alla società Controparte_1 erano caratterizzati dal termine “Choise”, non dai vocaboli “Quality” o “Comfort”, dando atto che, alla data della registrazione del suo domain name, le attrici non risultavano titolari di alcun nome a dominio simile, con conseguente inesistenza del rischio di confusione e che le attrici, in quanto esercenti l’attività di promozione e sviluppo di progetti alberghieri a livello internazionale, non erano concorrenti del convenuto, esercente l’attività di affittacamere a livello locale.

Il D’Agostino eccepiva, inoltre, che i termini ordinari e generici, quali i vocaboli “Quality” o “Comfort”, non possono costituire marchi meritevoli di tutela, in quanto inidonei a contraddistinguere una determinata attività, trattandosi di parole di uso comune, dando atto che l’unica combinazione di parole “quality comfort rooms” era quella utilizzata dal convenuto per il proprio nome a dominio, certificato e autorizzato dall’ICANN (Internet Corporation of Assigned Names and Numbers), unico ente preposto a tale scopo, eccependo, inoltre, che i marchi registrati dalla controparte erano deboli e nulli per difetto dei requisiti di novità e originalità, contestando, altresì, le avverse pretese risarcitorie.

Il convenuto così concludeva: “a) rigettare in toto tutte le domande proposte dalle attrici [...] Controparte_1 e Controparte_2 nell’atto di citazione in via principale ed in via istruttoria contraddistinte con a) 1,2,3,4,5,6,7,8,9, b) e c) nei confronti del convenuto [...] Parte_1, siccome nulle e/o inammissibili per carenza di interesse ad agire e/o difetto di legittimazione attiva delle attrici e in quanto infondate in fatto ed in diritto, pretestuose e temerarie per i plurimi motivi sopra esposti, e per l’effetto confermando la legittimità dell’uso delle parole quality e comfort da parte del convenuto Parte_1 nonché della registrazione del nome a dominio www.qualitycomfortrooms.com ;

b) condannare le attrici Controparte_1 e Controparte_2, in via solidale tra loro, alla rifusione in favore del convenuto Parte_1 delle spese, competenze ed onorari del presente giudizio, con distrazione delle predette spese di causa in favore del sottoscritto procuratore Avv Paola di Cioccio che si dichiara sin d’ora antistatario ai sensi e per gli effetti dell’art. 93 c.p.c..”

Esperiti gli incombenti preliminari, concessi i termini ex art. 183, co. VI c.p.c., con la memoria ex art. 183, co. VI, n. 1 c.p.c., la parte attrice si opponeva all’avversa eccezione di prescrizione, deducendo che l’avversa condotta contraffattiva e di concorrenza sleale era in corso alla data di proposizione della domanda giudiziale, pertanto non era decorso il termine di prescrizione; quanto alla legittimazione e all’interesse ad agire della società Controparte_2, esponeva trattarsi del ramo europeo della CP_1 Controparte_1 incaricata della gestione delle attività del gruppo in Europa, ivi incluso il territorio italiano. Nel merito, le attrici evidenziavano l’infondatezza delle avverse difese, ribadendo che i marchi azionati nel presente giudizio non erano in alcun modo riferibili alla dicitura CP_1, ma corrispondevano a due distinte famiglie di marchi, ciascuna caratterizzata rispettivamente dai vocaboli “QUALITY” e “COMFORT”, marchi depositati nel 2005, che godevano di notevole forza distintiva. Le attrici ritenevano, inoltre, sussiste il rapporto di concorrenza tra le parti, disponendo esse di alberghi in Italia. Il Parte_1, con la memoria ex art. 183, co. VI, n. 2 c.p.c., reiterava le contestazioni in merito alle avverse pretese, evidenziando che le società Controparte_2 e Controparte_1 non svolgevano alcuna attività alberghiera in Italia, non essendo proprietarie di hotel, ma esercitavano la mera attività di promozione e sviluppo in Italia dell’attività di Controparte_2, mentre le attrici, con la memoria ex art. 183, co. VI, n 2 c.p.c., a supporto della pretesa risarcitoria a titolo di danno emergente, enucleavano le spese globali su base annua sostenute per gli investimenti promozionali, pari a complessivi € 219.741,57, così suddivisi nel corso degli anni: € 65.167,76 nel 2013, € 70.813,42 nel 2014, € 43.265,22 nel 2015 ed € 40.495,17 nel 2016.

Il convenuto eccepiva l’inammissibilità di quest’ultima deduzione attorea e della relativa produzione documentale ad essa afferente e con la memoria ex art. 183, co. VI, n. 3 c.p.c. le attrici ribadivano la fondatezza delle loro pretese, evidenziando la crescita costante dei clienti italiani registrati presso le strutture alberghiere CP_1 all’estero e il successo ottenuto dalle strutture alberghiere di proprietà attorea esistenti in Italia grazie all’effetto promozionale degli ingenti investimenti pubblicitari delle società attrici, eccependo l’insussistenza di qualsiasi ipotesi di volgarizzazione dei marchi “Comfort” e “Quality” e contestando l’avversa prospettazione circa la debolezza di tali marchi, che, al contrario, erano dotati di particolare capacità distintiva degli alberghi del gruppo CP_3 stante l’ampio utilizzo di tali marchi da parte attrice.

All’udienza del 29/11/2017 il convenuto eccepiva la nullità della procura ad litem conferita dalle attrici ai propri difensori per difetto del potere di rappresentanza della società Controparte_2 [...] da parte di Controparte_4 nonché delle procure depositate nell’interesse di entrambe le attrici, in quanto non congiunte all’atto di citazione, con conseguente nullità del libello introduttivo notificato e depositato in cancelleria, eccezione cui si opponeva la controparte. In seguito, il giudice fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 6/6/2019 ed all’esito, sulle conclusioni rassegnate, tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini ex art. 190 c.p.c..

§ 1.1 - Il tribunale, espletata l’istruttoria necessaria, ha così deciso: “1. ACCERTA che la condotta posta in essere da Parte_1 costituisce contraffazione di marchi ed attività di concorrenza sleale;

2. INIBISCE a Parte_1 l’uso del nome a dominio www.qualitycomfortrooms.com, nonché di segni distintivi identici o simili ai marchi registrati a parte della parte attrice ed in particolare l’uso, in qualsiasi forma, di segni o denominazioni contenenti le parole “comfort” e “quality”, sole o in combinato tra loro o con altre parole;

3. ORDINA la revoca della registrazione del nome a dominio www.qualitycomfortrooms.com;

4. ORDINA a Parte_1 il ritiro dal commercio e la distruzione di ogni prodotto, documento o materiale promozionale e commerciale recante le parole “comfort” e “quality”;

5. FISSA la somma di € 500,00 per ogni violazione o inosservanza delle statuizioni di cui ai capi 2, 3 e 4 che precedono e per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della presente sentenza a decorrere dal quarantesimo giorno successivo alla sua notificazione in forma esecutiva;

5. RIGETTA le domande risarcitorie proposte dalle società Controparte_1 e [...] Controparte_2 avverso Parte_1;

6. ORDINA la pubblicazione del dispositivo della presente sentenza, a cura dell’attrice, per una volta e a spese del convenuto, a caratteri doppi del normale sui quotidiani La Repubblica e Il Corriere della Sera, nonché sul sito internet di Parte_1;

7. CONDANNA il convenuto a rifondere alla controparte le spese processuali, che liquida in € 12.000,00 per compenso professionale ed € 1.063,00 per spese, oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge”.

§ 1.2 - A fondamento della decisione, il primo giudice ha posto le seguenti considerazioni:

«[... Vanno preliminarmente disattese le eccezioni sollevate dal convenuto di nullità della procura ad litem conferita dalle attrici ai propri difensori per l’asserito difetto del potere di rappresentanza della società Controparte_2 in capo a Controparte_4 e di invalidità delle procure depositate nell’interesse di entrambe le attrici in quanto non congiunte all’atto di citazione e non notificate unitamente ad esso al convenuto.

Quanto alla prima eccezione, risulta dagli atti che Controparte_4 ha conferito agli avvocati (...) e (...) la procura rappresentare e difendere in giudizio la società CP_2 [...] in qualità di preposto di quest’ultima, pertanto la procura risulta essere stata ritualmente conferita, mentre, con riferimento alla seconda eccezione, le procure conferite dalle attrici ai rispettivi difensori risultano specificamente rilasciate per il presente giudizio, pertanto non può ritenersi che la loro mancata congiunzione materiale all’atto di citazione ne determini la nullità o la inefficacia. Ne consegue la piena validità dell’atto di citazione notificato alla convenuta e depositato in cancelleria.

Invero, il requisito, posto dall’art. 83, comma 3, c.p.c. - nel testo modificato dall’art. 1 della l. n. 141 del 1997 -, della materiale congiunzione tra il foglio separato con il quale la procura sia stata rilasciata e l’atto cui essa accede, non si sostanzia nella necessità di una cucitura meccanica, ma ha riguardo ad un contesto di elementi che consentano, alla stregua del prudente apprezzamento di fatti e circostanze, di conseguire una ragionevole certezza in ordine alla provenienza dalla parte del potere di rappresentanza ed alla riferibilità della procura stessa al giudizio di cui trattasi (cfr. Cass. civ. n. 2813 del 06/02/2018).

Nella specie, il deposito delle procure ad litem da parte delle attrici quale documento allegato all’atto di citazione e da questo richiamate, nonché lo specifico riferimento, nel corpo degli atti, alla causa contro Parte_1, odierno convenuto, costituiscono elementi da cui si desume la ritualità delle procure conferite dalle attrici ai rispettivi difensori.

La ritualità delle procure e l’esenzione dai vizi prospettati dal convenuto dell’atto di citazione discende anche dall’applicazione della recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte, secondo cui la strumentalità che le forme processuali assumono è in funzione della attuazione della giurisdizione mediante decisioni di merito e che la giustizia della decisione è scopo dell’equo processo (cfr. Cass. civ. sez. un. n. 26338 del 7/11/2017).

Nel merito, relativamente alla causa petendi, le società Controparte_1 e [...] Controparte_2 chiedono inibirsi a Parte_1 l’uso delle parole “quality” e “comfort” nei suoi segni distintivi e nel nome a dominio, con conseguente revoca della registrazione del nome a dominio www.qualitycomfortrooms.com, previo accertamento della contraffazione, ad opera del Parte_1, dei marchi attorei, ai sensi degli artt. 20, co. I, lett. b) e co. II, 22 D.Lgs. n. 30/2005 (c.p.i.) e 9, co. I, lett. b) del regolamento dell’Unione Europea n. 207/2009 (RMEU) e del compimento di atti di concorrenza sleale da parte del convenuto ai sensi dell’art. 2598 nn. 1, 2 e 3 c.c..

Le domande sono fondate per quanto di ragione e devono essere accolte nei limiti di seguito indicati.

È priva di pregio l’eccepita carenza di interesse e di legittimazione ad agire della società [...] Controparte_2, posto che, essendo quest’ultima la diramazione europea della società statunitense Choice Hotels International Inn, incaricata della gestione delle attività del gruppo in Europa, ivi inclusa l’Italia, è legittimata e ha interesse ad agire per la tutela dei marchi di cui è titolare la società Choice Hotels International Inn.

Tanto premesso, ai sensi dell’art. 20 lett b) c.p.i., il titolare di un marchio registrato ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione. Il divieto si estende anche ai prodotti e servizi non affini se il marchio goda di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi (art. 20, lett. c) c.p.i.).

Ai sensi dell’art. 22, co. I, c.p.i., inoltre, “è vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell’attività economica o altro segno distintivo un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali 11 marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni”. Il secondo comma del medesimo art. 22 aggiunge: “Il divieto di cui al comma 1 si estende all’adozione come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell’attività economica o altro segno distintivo di un segno uguale o simile ad un marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi”.

Insieme alla correlativa norma dell’art. 12, comma 1, lett. b) c.p.i., la quale vieta l’adozione come marchio di un segno uguale o simile all’altrui ditta, denominazione o ragione sociale, insegna o nome a dominio, qualora tale adozione possa dare luogo ad un pericolo di confusione/associazione, l’art. 22 c.p.i. in esame pone il principio dell’unità dei segni distintivi. Dall’acquisto dei diritti su un segno distintivo di un determinato tipo (marchio, ditta o insegna, nome a dominio) deriva, quindi, il diritto di impedire a terzi l’adozione di un segno uguale o simile, anche in una tipologia diversa (cfr. Cass. civ. n. 4405 del 28/2/2006).

Venendo al caso di specie, risulta per tabulas che la società CP_1 Controparte_1 vanta molteplici e risalenti diritti di proprietà industriale, essendo titolare delle seguenti registrazioni di marchi:

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0856009 “COMFORT” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0856096 “COMFORT INN” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0856097 “COMFORT HOTEL” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0856098 “COMFORT INN&SUITES” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0858953 “COMFORT INN” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0859062 “COMFORT HOTEL” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0861346 “COMFORT HOTEL&SUITES” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 0863147 “COMFORT INN & SUITES” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 002365146 “QUALITY INN” per le classi 35, 41 e 42;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 002365336 “QUALITY SUITES” per le classi 35, 41 e 42;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 002365583 “CS COMFORT SUITES” per le classi 35, 41 e 42;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 004278412 “QUALITY RESORT” per le classi 35, 41 e 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 004278421 “QUALITY” per le classi 35, 41 e 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 004278651 “QUALITY HOTEL” per le classi 35, 41 e 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 005494984 “QUALITY HOTEL & SUITES” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 006375901 “COMFORT INN” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 007360481 “COMFORT SUITES” per la classe 43;

- registrazione di marchio dell’Unione Europea n. 013012018 “COMFORT EXPRESS” per la classe 43.

Trattasi, per quel che rileva del presente giudizio, di due serie di marchi aventi quali parole chiave, rispettivamente, “quality” e “comfort”, che costituiscono, altresì, il cuore dei marchi contenenti uno dei due termini, con l’aggiunta di ulteriori elementi. Trattasi di marchi idonei a contraddistinguere l’attività delle attrici, avuto anche riguardo alle caratteristiche dei marchi registrati, in quanto ciascuna serie è caratterizzata, oltre che dalla parola “comfort” o “quality”, anche da un elemento figurativo che contribuisce alla sua capacità distintiva.

È altrettanto pacifico e documentalmente provato che Parte_1 è titolare dei nomi a dominio www.qualitycomfortrooms.com e www.qualitycomfortrooms.it, mediante i quali promuove la sua attività di affitta camere in Pescara, giusta Segnalazione certificata di inizio attività del 15/4/2011 relativa all’attività denominata “Quality Comfort Rooms”, avente ad oggetto n. 6 camere da letto ubicate in Pescara, via Napoli n. 23, IV piano, scala B, int. 10, senza somministrazione di alimenti e bevande.

Ciò posto, conformemente alla prevalente giurisprudenza italiana ed europea, l’appartenenza a una “famiglia” o “serie” di marchi può contribuire ad aumentare il carattere distintivo del singolo segno, in quanto, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, tale appartenenza comporta che il rischio di confusione può derivare dal fatto che il consumatore “possa ingannarsi circa la provenienza o l’origine dei prodotti o servizi e ritenga erroneamente che questo appartenga a tale famiglia o serie di marchi” (cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 13/9/2007, nella causa C-234/06 “Bainbrigde”; App. Milano n. 5176 del 12/12/2017).

Osserva in particolare la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la citata sentenza che, conformemente agli artt. 4-6 del regolamento n. 40/94, un marchio può essere registrato solo individualmente e la protezione almeno quinquennale che deriva da tale registrazione è ad esso accordata solo a titolo individuale, anche nell’ipotesi di una registrazione simultanea di più marchi aventi uno o più elementi comuni e distintivi. Nondimeno, costituisce un rischio di confusione ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 il rischio che il pubblico possa credere che i prodotti o servizi in questione provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente legate tra loro (v. sentenza Alcon/UAMI, cit., punto 55; v. anche, in tal senso, sentenza Canon, cit., punto 29). In presenza di una «famiglia» o «serie» di marchi, il rischio di confusione è la conseguenza, più precisamente, del fatto che il consumatore possa ingannarsi circa la provenienza o l’origine dei prodotti o servizi contrassegnati dal marchio richiesto e ritenga, erroneamente, che questo appartenga a tale famiglia o serie di marchi.

Secondo la migliore dottrina e il costante orientamento giurisprudenziale, la considerazione unitaria delle regole contenute negli artt. 12 (nullità del marchio per difetto di novità), 20 (contraffazione del marchio) e 22 (unitarietà dei segni distintivi) del c.p.i. consente di avvalersi dei medesimi principi per valutare tutte le possibili interferenze tra marchi registrati e segni distintivi di tipo diverso, applicando ad essi le medesime regole previste in generale per determinare la sussistenza della contraffazione.

La violazione del diritto di marchio deriva dal rischio di confusione per il pubblico e può consistere anche nel rischio di associazione tra i due segni in conflitto; inoltre, il rischio di confusione per il pubblico non si esaurisce nella mera confondibilità fra segni o fra prodotti, ma attiene - coerentemente alla funzione distintiva del marchio - alla origine dei prodotti o dei servizi, pertanto, l’uso da parte di un terzo di un segno uguale o simile per prodotti uguali o affini manca di novità e diventa contraffattorio quando è possibile ritenere che si tratti di un uso idoneo a indurre il pubblico a pensare che i suoi prodotti provengano in realtà dall’impresa del titolare del segno anteriore.

Al fine della sussistenza di tale rischio di confusione, occorre tuttavia che, da un lato, sia provato l’uso di un numero sufficiente di marchi in grado di costituire una “famiglia” o una “serie” e, dall’altro lato, che il consumatore individui un elemento comune in tale famiglia o serie di marchi e associ a tale famiglia o serie un altro marchio contenente il medesimo elemento comune. Ne consegue che, anche nella contraffazione del marchio attraverso un “altro” segno distintivo, il giudizio teso ad accertare il rischio di confusione per il pubblico necessita del concorso di due elementi: l’identità o l’affinità fra i prodotti contrassegnati dai due marchi, da una parte, e l’identità o la somiglianza tra i segni, dall’altra.

Pertanto, il primo elemento che deve concorrere per dar luogo al rischio di confusione è quello della comparazione delle attività per le quali i segni in conflitto formano oggetto di registrazione e vengono utilizzati.

L’identità o l’affinità tra i prodotti o i servizi vanno valutate in base ad un criterio sostanziale, a prescindere dal fatto che figurino o meno nella stessa classe merceologica

Nella specie, è comprovato che la società Controparte_1 è titolare di due serie di marchi registrati, accomunate, rispettivamente, dalla parola “comfort” e “quality”; è parimenti provato, inoltre, avuto riguardo agli articoli di stampa del settore specializzato in materia alberghiera, che le attrici utilizzano i marchi sopra menzionati, come emerge sia dalla stampa della pagina facebook dell’attrice, sia dai seguenti estratti degli articoli della rivista “turismo d’Italia”: n. 20/2015, in cui si rappresenta la strategia imprenditoriale attorea di espansione in Italia ed in particolare nelle sue principali città, n. 21/2015, relativo alla strategia dell’affiliazione tra gli alberghi rientranti nella gamma dei marchi CP_1 e n. 24/2015 21/2015, in cui si espone l’intenzione del titolare del marchio Comfort di espandersi in Germania e in Italia. D’altra parte il convenuto non ha allegato né comprovato la decadenza per non uso dei marchi attorei.

È pertanto evidente il rischio di confusione tra i marchi registrati dalla società Choise Hotels International Inc. e il nome a dominio di cui è titolare il convenuto, che reca in sé l’unione delle parole “comfort” e “quality”, costituenti ciascuna il cuore di una serie di marchi di cui è titolare la società Choise Hotels International Inc.. Non è, inoltre, condivisibile la deduzione del Parte_1 secondo cui i marchi attorei sarebbero “deboli” e privi di carattere distintivo e di novità, atteso che, al contrario, dagli articoli di stampa pubblicati dalla citata rivista specializzata nel settore del turismo emerge che la società Choise Hotels International Inc. è una delle più grandi compagnie alberghiere a livello mondiale e che è conosciuta in Europa attraverso i marchi “Comfort”, “Quality” e “Clarion”. Si ribadisce, inoltre, che la capacità distintiva dei marchi di cui la società Choise Hotels International Inc. è titolare deriva dall’unione degli elementi denominativi e figurativi che li caratterizza e che ne consente l’immediata associazione alla parte attrice, nonché dall’appartenere ad una serie di marchi aventi un unico titolare, con conseguente grave rischio di confusione sull’origine commerciale dei prodotti contraddistinti dai segni in conflitto, potendo la somiglianza tra i segni distintivi delle parti indurre il consumatore medio a ritenere che anche l’attività economica del convenuto sia riconducibile alla serie di marchi registrati dalla società Choise Hotels International Inc..

Il rischio di confusione è aggravato dalla circostanza che i termini “comfort” e “quality” sono ampiamente utilizzati dalle attrici e costituiscono brand che il consumatore e gli operatori del settore turistico ricollegano ad una determinata origine commerciale e alla relativa qualità del servizio. Si rileva, inoltre, che l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, tenendo conto, in particolare, che, ove si tratti di marchio “forte” (cioè frutto di fantasia, senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti), detta tutela si caratterizza per una maggiore incisività rispetto a quella dei marchi “deboli”, perché rende illegittime le variazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del nucleo individualizzante (cfr. Cass. civ. n. 1906 del 28/01/2010).

Nella specie, la confondibilità deriva dall’assonanza tra i marchi attorei e il nome a dominio del convenuto, tutti utilizzati nel settore alberghiero, con conseguente infondatezza della contraria prospettazione del convenuto.

Si rileva, inoltre, che, premessa la comprovata diffusione tra i consumatori e gli addetti ai lavori, sia in ambito nazionale che internazionale, dei marchi caratterizzati dalle parole “comfort” e “quality” - che costituiscono il “cuore” dei predetti marchi - come elementi distintivi dei servizi alberghieri collegati alla catena alberghiera Choise International, tutte le volte che nel segno distintivo di servizi appartenenti al settore della ricezione turistica in generale compaiono le parole “comfort” e “quality”, l’attenzione del pubblico si concentra automaticamente su tali vocaboli, senza che assumano rilevanza gli altri elementi.

Va pertanto accertata e dichiarata la contraffazione dei marchi registrati dall’attrice ad opera del convenuto, mediante la registrazione, il 16/4/2011, dei nomi a dominio www.qualitycomfortrooms.com e www.qualitycomfortrooms.it, contenenti le parole costituenti ciascuna il “cuore” delle due serie di marchi di cui è titolare l’attrice.

Invero, l’art. 22 c.p.i. vieta di adottare come ditta, denominazione o ragione sociale un segno identico o simile al marchio se, a causa dell’identità o somiglianza tra i segni e dell’identità o affinità tra prodotti e servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra due segni: ne consegue che la contraffazione ben può essere integrata dall’uso di un nome a dominio simile ai marchi preventivamente registrati quando, come nel caso di specie, avuto riguardo all’affinità tra l’attività di impresa della società titolare dei marchi oggetto di tutela e i servizi prestati dal convenuto, sussista il rischio di confusione tra gli stessi.

Nella specie, la contraffazione dei marchi attorei da parte dei convenuti va senz’altro affermata anche ai sensi dell’art. 22 c.p.i.: deve, quindi, inibirsi a Parte_1 l’uso dei nomi a dominio www.qualitycomfortrooms.com e www.qualitycomfortrooms.it, nonché l’uso nella pubblicità della propria attività delle parole “quality” e “confort”, sole o in abbinamento tra loro o con altre parole, con ordine di distruzione del materiale pubblicitario già realizzato portante tali vocaboli.

Va ordinata, inoltre, la revoca della registrazione del nome a dominio www.qualitycomfortrooms.com, venendo in rilievo i presupposti di cui all’art. 118, co. VI, c.p.i., trattandosi di domain names registrati in violazione dei diritti di privativa della parte attrice.

Si rileva, inoltre, che l’accertamento della contraffazione dei marchi, utile ai fini dei conseguenti provvedimenti di contenuto inibitorio e risarcitorio, oltre che delle altre misure civili, non richiede anche una particolare caratterizzazione psicologica nell’autore, essendo sufficiente l’utilizzazione dei medesimi segni distintivi registrati da terzi per prodotti o servizi identici o affini ovvero di segni distintivi simili, laddove idonei a determinare un rischio di confusione.

Le condotte poste in essere dal convenuto rilevano anche quali atti di concorrenza sleale, avuto riguardo alla loro attitudine a creare confusione, oltre che a sviare clientela da una parte all’altra in relazione al fenomeno di “agganciamento” derivante dall’utilizzo dei segni distintivi dell’attrice. Giova premettere che l’attività illecita, consistente nell’appropriazione o nella contraffazione di un marchio, mediante l’uso di segni distintivi identici o simili a quelli legittimamente usati dall’imprenditore concorrente, può essere da quest’ultimo dedotta a fondamento non soltanto di un’azione reale, a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, ma anche, e congiuntamente, di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità fra i rispettivi prodotti (cfr. Cass. civ. n. 16647 del 19/06/2008).

In tema di concorrenza sleale, inoltre, presupposto indefettibile dell’illecito è la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, e quindi la comunanza di clientela, la quale non è data dalla identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti che sono in grado di soddisfare quel bisogno. La sussistenza di tale requisito va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi esaminare se l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l’offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale (cfr. Cass. civ. n. 17144 del 22/07/2009: in applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, nella parte in cui, nonostante il diverso pregio dei prodotti delle parti ed il diverso livello dei negozi presso cui essi erano reperibili, aveva ritenuto sussistente la confondibilità tra gli stessi, in virtù della loro appartenenza alla medesima categoria merceologica e dell’adozione di un marchio fortemente confondibile, che avrebbero potuto indurre il pubblico a ritenere entrambi i prodotti riconducibili all’attività della medesima impresa).

Nel caso in esame sussistono sia il presupposto del rapporto di concorrenzialità tra le attrici e il convenuto, essendo tutti operanti nel settore alberghiero, sia il pericolo di confusione tra i prodotti derivante dall’uso illecito, da parte del convenuto, del nome a dominio sopra menzionato.

In particolare, la società Choise Hotels International Inc. è attiva nel settore del franchising alberghiero, a cui hanno aderito numerosi alberghi in varie parti del mondo, compresa l’Italia, come emerge dai documenti versati in atti ed in particolare dalle stampe riproducenti la pagina facebook e altre pagine estratte dal sito internet della predetta attrice, da cui emerge che gli alberghi contraddistinti dai marchi “quality” e “comfort” sono diffusi in Italia e in particolare a Genova, Lecco, Torino, Brescia, Venezia Mestre, Roma Fiumicino, Ciampino, Sorrento, nonché dalla rassegna stampa relativa ad articoli della rivista specializzata nel settore del turismo “Turismo d’Italia”, oltre ad essere titolare di plurimi marchi registrati, appartenenti alla duplice serie di marchi contraddistinti, rispettivamente, dalle parole “comfort” e “quality”.

In considerazione della gravità dei fatti, va comminata la penale di cui all’art. 124, co. II, D.Lgs. n. 30/05, per ogni violazione o inosservanza e per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della presente sentenza, ai fini di una maggiore efficacia dell’inibitoria, che risulta congruo fissare in € 500,00 per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata e per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del presente provvedimento.

Le attrici chiedono la condanna della controparte al risarcimento dei danni derivanti dall’uso illecito dei nomi a dominio citati e dalla concorrenza sleale posta in essere dal Parte_1 ai sensi dell’art. 2598, n. 1), c.c..

Il convenuto eccepisce la prescrizione dell’avversa pretesa ai sensi dell’articolo 2947 c.c. per essere decorso oltre al quinquennio tra la registrazione dei nomi a dominio, risalente al 16/4/2011, e la data della proposizione della presente domanda.

L’eccezione è infondata.

Invero, nei casi in cui, come nella fattispecie, la contraffazione si manifesta attraverso una pluralità di atti, la prescrizione decorre dall’ultimo degli atti e, in caso di protrazione della prescrizione anche oltre la produzione domanda giudiziale, deve aversi riguardo alla data di proposizione del giudizio: ne consegue che nella fattispecie non è maturata la prescrizione del diritto delle attrici al risarcimento del danno.

Ciò posto, la domanda risarcitoria attorea è infondata.

È appena il caso di osservare che l’accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale comporta una presunzione di colpa, ex art. 2600 c.c., che onera l’autore degli stessi della dimostrazione dell’assenza dell’elemento soggettivo ai fini dell’esclusione della sua responsabilità; il corrispondente danno cagionato, invece, non è in re ipsa ma, quale conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, necessita di prova secondo i principi generali che regolano il risarcimento da fatto illecito, sicché solo la dimostrazione della sua esistenza consente l’utilizzo del criterio equitativo per la relativa liquidazione (cfr. Cass. civ. n. 25921 del 23/12/2015).

Nel caso in esame, l’attrice chiede liquidarsi il danno subito a causa delle condotte illecite della controparte in via equitativa, tenendo conto degli effetti pregiudizievoli arrecati alla sua immagine commerciale a causa dell’attività contraffattiva della controparte, dello sviamento di clientela apprezzabile, degli investimenti pubblicitari dell’attrice e dell’utile conseguito dalla controparte; a tale ultimo riguardo, l’attrice ha chiesto la retroversione degli utili conseguiti dal convenuto nella misura eccedente il lucro cessante calcolato secondo i parametri sopra menzionati, utili da determinarsi nel c.d. margine operativo lordo incrementale, da calcolarsi in relazione ai soli costi e ricavi incrementali relativi al prodotto realizzato in violazione dei marchi attorei. Nondimeno, l’attrice non ha specificamente allegato né comprovato la perdita di fatturato, né che il suo mancato incremento quale conseguenza dell’attività della controparte, circostanze peraltro di difficile configurabilità, avuto riguardo alle differenti caratteristiche dei servizi forniti dalle parti ed alla diversa estensione geografica della localizzazione delle rispettive attività economiche, pertanto non vi è prova del danno emergente; non vi sono elementi utili per la determinazione degli utili che il Parte_1 avrebbe realizzato grazie alla condotta contraffattiva e di concorrenza sleale in danno della controparte.

È priva di idonea prova, altresì, la domanda attorea di condanna del convenuto al risarcimento del danno da lucro cessante, in mancanza di idonei elementi oggettivi da cui desumere che, a causa della condotta illecita del Parte_1, l’attività attorea abbia subito un pregiudizio da perdita di clientela, essendo, al contrario, tale circostanza da escludere, tenuto conto della progressiva espansione dell’attività attorea e della operatività meramente locale dell’attività alberghiera svolta dal convenuto.

È parimenti priva di pregio la pretesa attorea di liquidazione del danno non patrimoniale, in mancanza di prova che dall’uso illecito del nome a dominio da parte del Parte_1 in violazione dei diritti di privativa della controparte sia derivato alla parte attrice un danno all’immagine commerciale, emergendo, al contrario, dai documenti in atti che il prestigio dell’attività attorea è rimasto costante nel corso del periodo di attività del convenuto, avuto riguardo alla pubblicità dei servizi attorei risultante dalle riviste specializzate nel settore alberghiero.

È fondata, invece, la domanda attorea di pubblicazione della presente sentenza ai sensi dell’articolo 126 c.p.i.. Ed invero, l’ordine di pubblicazione del dispositivo della sentenza che accerti atti di concorrenza sleale e le modalità in cui esso deve essere eseguito costituiscono esercizio di un potere discrezionale ed insindacabile del giudice del merito, che prescinde dalla stessa individuazione del danno e della sua riparabilità mediante la pubblicazione dell’indicato dispositivo, trattandosi di sanzione autonoma, diretta a portare a conoscenza del pubblico la reintegrazione del diritto offeso (cfr. Cass. civ. n. 6226 del 13/03/2013).

Nella specie, avuto riguardo alla tipologia di concorrenza sleale afferente all’uso confondibile dei nomi a dominio del convenuto, ricorrono i presupposti per disporre la pubblicazione della sentenza, limitatamente al dispositivo, a caratteri doppi del normale, per una volta, sui quotidiani nazionali La Repubblica e Il Corriere della Sera, a cura dell’attrice e a spese del convenuto, nonché sul sito internet di quest’ultimo.]»

§ 2 - Ha proposto appello Parte_1 contestando la sentenza di primo grado sotto vari profili e chiedendo “. -in via preliminare e cautelare -sospendere ai sensi dell’art. 283 c.p.c., inaudita altera parte, l’efficacia esecutiva e l’esecutività della sentenza impugnata in ordine ai capi sopra richiamati ed evidenziati nei confronti di Parte_1, per tutti i motivi in fatto ed in diritto esposti e documentati dall’appellante nel presente atto, ricorrendo, nel caso di specie, i presupposti per la concessione della richiesta sospensione dell’esecutività ai sensi dell’art 283 c.p.c., sia per le precarie condizioni economiche dell’appellante e la crisi in cui versa l’impresa dello stesso che impediscono di far fronte al pagamento dell’ingente somma di € 45.364,88, come da dispositivo della sentenza impugnata, sia per le gravi condizioni di salute dell’appellante come da certificazione medica allegata, che determinerebbero un ingiusto oltrechè grave ed irreparabile e irreversibile danno conseguente all’esecuzione (periculum in mora) ed attesa la fondatezza nel merito della presente impugnazione per le ragioni in punto di diritto dell’appellante nei motivi sopra esposti in forza del prevalente ed ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione in materia di marchi deboli (doc 9 e 10) (fumus boni juris)

in via principale:

- dichiarare nulla e/o annullare in quanto illegittima, contraddittoria, illogica erronea ed affetta dalle plurime violazioni di legge denunciate per tutti i motivi sopra svolti, la impugnata Sentenza n. 20594/2019 emessa il 10/10/2019 dal Tribunale ordinario di Roma Sezione XVII Civile, Sezione specializzata in materia di Impresa e pubblicata in data 25.10.2019, non notificata, nella causa civile n. 19389/2017 R.G., riformando i suindicati capi impugnati e confermando la legittimità dell’uso delle parole quality e comfort da parte del convenuto Parte_1 nonché della registrazione del nome a dominio www.qualitycomfortrooms.com e per l’effetto

in via preliminare ed in rito

- previamente accertare e dichiarare la nullità e/o la invalidità dell’atto di citazione notificato al convenuto Parte_1 senza Atto di procura ad litem e/o con procura non congiunta all’atto introduttivo del giudizio di primo grado n. 19389/2017 R.G., come da originale di notifica dell’Atto di citazione prodotto in atti;

-accertare e dichiarare la nullità e/o invalidità dell’atto di procura alla lite conferita nel giudizio di primo grado n. 19389/2017 R.G. da CP_5 con potere di rappresentanza in giudizio della sola sede secondaria in Italia della parte attrice Parte_3 e non anche della Parte_3 con sede in Monaco di Baviera;

nel merito: 

- rigettare in toto tutte le domande e conclusioni proposte dalle attrici appellate [...] Controparte_1 e Controparte_2 nell’atto di citazione in via principale ed in via istruttoria contraddistinte con a) 1,2,3,4,5,6,7,8,9, b) e c) nei confronti del convenuto [...] Parte_1, nel giudizio di primo grado, siccome nulle e/o inammissibili per carenza di interesse ad agire e/o difetto di legittimazione attiva delle attrici ed in quanto infondate in fatto ed in diritto, pretestuose e temerarie per i plurimi motivi esposti nel presente atto di appello;

-condannare, altresì, le società appellate al pagamento e rifusione in favore dell’appellante Parte_1 delle spese e competenze di causa del primo grado di giudizio e del presente grado d’appello, con distrazione delle predette spese di causa in favore del sottoscritto procuratore Avv Paola di Cioccio che si dichiara sin d’ora antistatario ai sensi e per gli effetti dell’art. 93 c.p.c..; - in via subordinata, per mero scrupolo difensivo, nella denegata ipotesi di rigetto del presente appello, riformare in ogni caso il capo della sentenza impugnata relativo alle spese processuali, disponendo la compensazione tra le parti delle spese di causa del doppio grado, ai sensi dell’art. 92 c.p.c. 2° comma, sussistendo soccombenza reciproca o quantomeno, in estremo subordine, per mero scrupolo difensivo, ridurre le somme per spese di causa liquidate nella sentenza impugnata perché sproporzionate ed eccessive per i motivi già sopra svolti nel presente atto di appello;

In via istruttoria:

-darsi atto delle produzioni documentali indicate negli atti e nell’indice del fascicolo di parte convenuta appellante.

- Rigettare le produzioni documentali di parte attrice odierne appellate contrassegnate con i numeri dal 27 al 34 perchè tardivamente prodotte dalle attrici nel giudizio di primo grado n. 19389/2017 R.G. con l’ultima Memoria ex art 183 VI comma 3° Termine c.p.c., dunque oltre il termine decadenziale prescritto dall’art 183 VI comma n. 2 c.p.c., disponendone lo stralcio dagli atti di causa.

- Rigettare le produzioni documentali di parte attrice appellata, nel giudizio di primo grado, in allegato alla prima Memoria ex art 183 VI comma c.p.c. a sostegno della domanda nuova, irrituale e tardiva di risarcimento non proposta nell’atto di citazione;

- Disporre in ogni caso lo stralcio dal fascicolo di causa di tutte le produzioni documentali effettuate in formato cartaceo dalle controparti in violazione del divieto di ogni produzione cartacea nella fase endoprocessuale da effettuarsi solo mediante invio e deposito telematico nel fascicolo informatico;”

Hanno resistito Controparte_1 on sede in (...) (Stati Uniti) e Controparte_2 (...) con sede in Monaco di Baviera, chiedendo il rigetto dell’appello e svolgendo, a loro volta, appello incidentale con le seguenti conclusioni: “A. In via preliminare: - dichiarare inammissibile e/o improcedibile il presente appello proposto dal Sig. Parte_1 (anche nelle conclusioni “Sig. Parte_1”) per nullità o inesistenza della notifica; B. in via preliminare, subordinata:

- dichiarare inammissibile il presente appello proposto dal Sig. Parte_1 per difetto di ragionevole probabilità di accoglimento di tutti i motivi di appello formulati, ai sensi degli articoli 348 bis e 348 ter c.p.c.; C. nel merito; - rigettare le domande tutte avanzate dall’odierno appellante Sig. Parte_1 nei confronti di Controparte_1 e Controparte_2 [...] confermando per l’effetto l’impugnata sentenza del Tribunale di Roma n. 20594/2019 del 25/10/2019, per i motivi tutti di cui in narrativa; D. in via di appello incidentale; - riformare l’impugnata sentenza del Tribunale di Roma n. 20594/2019 del 25/10/2019 nel capo relativo al rigetto della domanda di risarcimento del danno formulata in primo grado da [...] Controparte_1 e Controparte_2, condannando al risarcimento del danno il Sig. Parte_1, per i motivi tutti di cui in narrativa;

E. in via istruttoria, occorrendo: - rigettare tutte le istanze istruttorie avversarie;

F. in ogni caso:

con rifusione di spese e compensi di lite, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA, come per legge”. Con ordinanza in data 9 febbraio 2021 la Corte respingeva l’istanza ex art. 283 CPC formulata da parte appellante e fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza dell’11 gennaio 2022, poi differita al 6 dicembre 2022.

In data 21 settembre 2022 l’Avv. Di Ciccio - difensore dell’appellante - depositava rinuncia al mandato defensionale.

Con provvedimento in data 31 ottobre 2022 la Corte differiva l’udienza di precisazione delle conclusioni al giorno 18 giugno 2024.

La causa veniva assegnata a questo relatore con provvedimento presidenziale in data 15 febbraio 2023.

L’udienza del 18 giugno 2024 veniva differita a quella del 12 novembre 2024, sostituita dalla trattazione cartolare, concessi termini anticipati per il deposito di memorie conclusionali che le parti depositavano tempestivamente, precisando le rispettive posizioni anche con le note di trattazione scritta.

Alla detta udienza la Corte pronunciava la seguente ordinanza: “rilevato che:

- Le parti hanno depositato note conclusive anticipate come concesse;

- In particolare, il difensore di parte appellante, dopo aver rinunciato al mandato (come da nota di deposito del 21.9.22) ha in data 26.10.24 depositato atto di nuova costituzione quale difensore di parte appellante, successivamente, quindi, alla note conclusive di parte appellata che ha provveduto al deposito di note il 25.10.24;

- Parte appellante, con le note conclusive anticipate depositate il 28.10.24, ha reiterato istanza inibitoria sulla quale, invero, la Corte si era già pronunciata con ordinanza del 9.2.21, senza specificare alcunchè in ordine a fatti sopravvenuti che ne giustifichino la reiterazione, sicchè detta istanza risulta inammissibile;

- Parte appellante, con le dette note conclusive, ha altresì depositato documentazione sulla quale deve darsi a parte appellata la facoltà di replicare (non essendo le note di trattazione scritta destinate a tale scopo), ferma restando ogni delibazione della Corte riguardo alla loro ammissibilità, utilizzabilità e rilevanza;

- Che parte appellata ha depositato le note di trattazione scritta, evidenziando le dette “novità” contenute nelle note di parte appellante;

- Che parte appellata ha, a sua volta, depositato note di trattazione scritta, formulando una serie di argomentazioni anche in replica;

- che su istanze ed eccezioni potrà delibarsi unitamente al merito;

 

 

P.Q.M.

Dà atto di quanto sopra, dichiara inammissibile l’istanza ex art. 283 CPC e rinvia la causa per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 4 marzo 2025 ore 10,30”.

L’udienza, così fissata, veniva sostituita dalla trattazione cartolare.

La parte appellante, in data 9 febbraio 2025, formulava istanza per la trattazione in presenza, respinta con ordinanza del 10 febbraio 2025 in atti.

Parte appellata ha depositato, per l’udienza odierna, solo note di trattazione scritta, richiamando totalmente le note conclusionali già depositate ed anche quelle di trattazione scritta per l’udienza precedente.

§ 2.1 - All’udienza indicata in epigrafe, come sostituita, le parti hanno precisato le conclusioni con le note finali e la Corte ha trattenuto la causa in decisione senza ulteriori termini perché già concessi.

 

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

§ 3 - L’appello principale, composto di 63 pagine, è articolato in quattro motivi.

§ 3.1 - Col primo motivo (pagg. 13/15) - titolato “VIOLAZIONE ED ERRONEA APPLICAZIONE DELL’ART. 83 C.P.C. E DELL’ART. 125 C.P.C., NULLITÀ E/O INVALIDITÀ DELL’ATTO DI CITAZIONE E DELL’ ATTO DI PROCURA AD LITEM DELLE ATTRICI; VIOLAZIONE DELL’ART. 24 DELLA COSTITUZIONE VIOLAZIONE DEL DIRITTO DI DIFESA, VIOLAZIONE DELL’ART. 111 DELLA COSTITUZIONE VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO, NULLITÀ DELLA SENTENZA IMPUGNATA” - parte appellante devolve la questione della mancata aggregazione della procura all’atto di citazione originario con conseguente violazione del diritto di difesa nonché quella relativa al difetto del potere di rappresentanza di CP_4 con riguardo alla società che ha sede a Monaco.

§ 3.2 - Col secondo motivo (pagg. 15/17) - titolato “CARENZA DI INTERESSE AD AGIRE E/O DIFETTO DI LEGITTIMAZIONE ATTIVA DELLA [...] Controparte_6 PRONUNCIA SUL PUNTO” - l’appellante devolve la questione relativa al difetto di legittimazione attiva ed alla carenza di interesse, con riguardo alle società originarie attrici.

§ 3.3 - Col terzo motivo (pagg. 17/43) - titolato “VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 2598 COD. CIV., E DEGLI ARTT. 20 e 22 DEL D.Lgs N. 30/2005. CP_7 “QUALITY” e “COMFORT”. ILLOGICITÀ DELLA DECISIONE PER OMESSA E/O INSUFFICIENTE, ERRONEA ED INADEGUATA MOTIVAZIONE CIRCA UN PUNTO RILEVANTE DELLA CONTROVERSIA, INAMMISSIBILITÀ ED INFONDATEZZA DELLA ECCEZIONE DI VIOLAZIONE DEI MARCHI CHOICE E DI CONCORRENZA SLEALE” - la parte appellante denuncia la contraddittorietà nella quale è incorso il Tribunale che, occupandosi della domanda risarcitoria, ha evidenziato che non vi è comunanza tra le parti circa il settore alberghiero così come per la comunanza di clientela o il suo sviamento, con la conseguenza che non vi può essere concorrenza tra le parti.

Quanto ai marchi registrati delle originarie attrici, l’appellante lamenta che il Tribunale non ha valutato che trattasi di nomi ordinari del gergo comune, che si tratta di marchi deboli e che l’inserimento della parola “rooms” - accanto a quality e confort - nel sito dell’appellante esclude qualsivoglia confusione anche in ragione dei colori utilizzati (giallo e nero) e della grafica, tutti diversi rispetto a quello della società detentrice dei marchi.

Denuncia, quindi, il Parte_1 che il Tribunale avrebbe omesso di fare tale valutazione, così come sulla nullità dei marchi e dell’assenza del rischio di confusione.

§3.4 - Con il quarto motivo (pagg. 43/47) - titolato “VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 91 e 92 II COMMA C.P.C. PER ILLOGICITÀ E CONTRADDITORIETÀ TRA LA STATUIZIONE ED IL REGOLAMENTO DELLE SPESE DI GIUDIZIO. VIOLAZIONE DELL’ART. 111 COST. PER OMESSA MOTIVAZIONE SULLA DECISIONE DI CONDANNA DEL CONVENUTO ALLE SPESE DI LITE” - l’appellante si duole di aver subito la condanna alle spese di lite nonostante sia stato vittorioso con riguardo alle domande attrici di risarcimento del danno e invoca la rifusione delle spese per il doppio grado; in via subordinata, chiede la riduzione delle spese liquidate in primo grado perché la misura risulta sproporzionata rispetto alle attività svolte, limitate e per poche udienze.

§ 4 - Con l’appello incidentale le due società appellante lamentano (v. pag. 41 della comparsa di costituzione) l’erroneità della statuizione di rigetto delle loro domande risarcitorie, evidenziando che anche per il lucro cessante non vi è vincolo alla prova del danno, che il danno all’immagine può essere liquidato in via equitativa così come il discredito commerciale e che anche lo svilimento del marchio può essere risarcito in via equitativa, dovendosi dimostrare il diverso comportamento dei consumatori.

§ 5 - Prima di esaminare il merito della vicenda in questa sede, occorre pronunciarsi sulla questione in rito che è stata sollevata dalle parti appellate con riguardo alla validità della firma digitale apposta dal difensore dell’appellante al fine della trasmissione via pec della copia del gravame.

Ebbene, detto difensore ha documentato (attraverso le attestazioni del provider) la piena validità- in quel periodo temporale - della propria firma digitale, la cui apposizione peraltro non è mai stata posta in discussione dalle appellate che ne hanno, invece, eccepito la invalidità e quindi la non esistenza, sicchè in assenza di elementi contrari a tali risultanze (provenienti peraltro da terzi non interessati) l’eccezione ben può essere superata, con conseguente rituale e tempestiva instaurazione del procedimento di secondo grado.

Quanto all’appello principale si osserva quanto segue.

I primi due motivi di impugnazione sono, in realtà, una mera ripetizione pedissequa delle tesi spese in primo grado e non colgono affatto il ragionamento svolto dal Tribunale, sicchè risultano generici e inconferenti ex art. 342 CPC.

Segnatamente, il Tribunale - sulla congiunzione della procura - ha richiamato giurisprudenza di legittimità rispetto alla quale l’appellante, in realtà, non ha proposto alcuna contro-argomentazione come era suo onere; egualmente deve dirsi in ordine al potere di rappresentanza.

Quanto, poi, alla legittimazione ed all’interesse ad agire, il primo giudice ha sottolineato la “strumentalità” del ruolo di CP_2, profilo che invero non viene con precisione colto dall’appellante che ribadisce, ancora in questa sede, il mancato esercizio diretto dell’attività alberghiera, non cogliendo appunto il diverso ragionamento logico-giuridico che non risulta di certo contraddittorio né tanto meno carente.

Ciò posto, occorre delibera il merito della vicenda che ha alcune caratteristiche peculiari, sebbene si inserisca nell’ambito del contenzioso di tutela dei marchi registrati e della concorrenza sleale.

A tale proposito vanno formulate alcune considerazioni preliminari.

In primo luogo, va dato atto (come risulta dall’elenco sopra riportato) che la parte attrice ha ottenuto la registrazione di c.d. famiglie di marchi, caratterizzate dalla presenza fissa dei termini “quality” e “confort”, utilizzati da soli o in combinazione con altri vocaboli (suite, hotel ecc.), ma mai insieme.

L’ambito di operatività di parte attrice non è in discussione e viene del resto ribadito anche nell’appello incidentale: si tratta di attività alberghiera di livello, destinata ad un’accoglienza di carattere internazionale con estensione anche alla realtà europea, compresa quella italiana.

Il fatto che nei marchi (o famiglie di marchi) vengano utilizzati vocaboli di uso comune (circostanza che l’appellante sottolinea anche nelle note finali con le quali ha prodotto estratti dei vocabolari più noti, allegazione che non può comunque configurarsi come “nuova” visto che la questione è stata a lungo dibattuta in primo grado e devoluta in appello, sicchè nulla si aggiunge al contraddittorio perché non viene imposta alcuna nuova indagine) non significa né che i marchi siano deboli né tanto meno nulli.

Egualmente, il fatto che il dominio internet relativo all’attività del Parte_1 -www.qualitycomfortrooms.com e www.qualitycomfortrooms.it - siano stati ritenuti meritevoli di registrazione non significa affatto che gli stessi non debbano e non possano essere sottoposti all’esame di verifica circa la loro idoneità a confondere il consumatore circa la riconducibilità dei servizi offerti e/o a determinare una concorrenza non leale.

Posto ciò, va senz’altro ritenuto condivisibile il ragionamento del primo giudice in ordine al fatto che i vocaboli di uso comune “quality” e “confort” sono stati valorizzati dalla parte attrice mediante la registrazione di tali vocaboli, appunto, riferiti all’attività alberghiera in combinazione con altre dizioni (INN, SUITE, SERTO, HOTEL ecc.).

È altresì indubbio che tali vocaboli siano riferibili, senz’altro, all’attività di accoglienza alberghiera ma che in realtà, proprio perché di uso comune, possano riferirsi anche ad altri settori, sicchè già questo profilo consente - alla luce dei principi giurisprudenziali in materia - di poter affermare la originalità delle famiglie di marchi come costruite dalla parte attrice.

Che si tratti, dunque, di marchi forti è indubbio, proprio per l’originalità ideativa con la quale sono stati declinati detti vocaboli.

E a questo proposito, giova evidenziare un profilo che in realtà è rimasto non esaminato - come lamenta parte appellante - dal Tribunale, vale a dire la valutazione complessiva degli elementi che caratterizzano detti marchi.

Segnatamente, per le parti attrici si tratta di esaminare il documento n. 2) dell’originario fascicolo di primo grado.

Orbene, la famiglia di marchi che utilizza il vocabolo “confort” è caratterizzata da un logo con l’immagine di una sfera bianca (con sfilettature) su un fondo nero e la dicitura “confort”; a tale dicitura, poi, si aggiungono le varie combinazioni (INN ecc) ferma restando l’immagine suddetta.

Per la famiglia del marchio “quality”, invece, l’immagine è quella di una “Q” ingrandita, con grafica nera su fondo bianco alla quale, poi, vengono accostate le varie diciture (INN, resort ecc).

Infine, per il marchio “confort suites”, il logo riporta l’acronimo “CS” in un riquadro a fondo nero con scritta bianca.

Venendo ad esaminare il dominio registrato dal D’Agostino (v. doc. nn 4 e 5 del fascicolo delle attrici in primo grado), si evince che il sito è caratterizzato da una grafica che vede in alto le parole quality e confort, in basso la parola rooms, il tutto colorato in giallo su fondo nero.

Nessuna delle caratteristiche grafiche dei marchi registrati dalle attrici, dunque, è riportata in alcun modo nel dominio internet del D’Agostino, circostanza questa che appare anche pacifica tra le parti. Inoltre, va pure sottolineato che nelle famiglie di marchi (separate per confort e per quality) la parola “rooms” (utilizzata dal D’Agostino) non compare mai.

Ed allora, giova riportare - a questo punto - i principi che la giurisprudenza impone di applicare in casi similari.

In primo luogo, in tema di marchi d’impresa, l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, tenendo conto, in particolare, che, ove si tratti di marchio “forte” (cioè frutto di fantasia, senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti), detta tutela si caratterizza per una maggiore incisività rispetto a quella dei marchi “deboli”, perché rende illegittime le variazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del nucleo individualizzante.

In tema di marchi d’impresa, inoltre, è noto che la qualificazione del segno distintivo come marchio debole non incide sull’attitudine dello stesso alla registrazione, ma soltanto sull’intensità della tutela che ne deriva, nel senso che, a differenza del marchio forte, in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte.

Dunque, da tali premesse consegue che sussiste la contraffazione di un marchio “forte” quando si ripeta in un segno concorrente, in qualunque modo, la sua tipica ed individualizzante capacità distintiva ed il suo caratteristico messaggio, mentre ad evitare la contraffazione del marchio “debole”, il cui messaggio è intrinsecamente poco individualizzante, sono sufficienti differenziazioni anche lievi.

Partendo, allora, dalla qualificazione dei marchi di parte attrice come forti e dunque meritevoli di particolare e significativa tutela, va verificato se il Parte_1 - costruendo il suo dominio con l’affiancamento dei due vocaboli quality e confort unitamente al terzo vocabolo rooms – abbia davvero evocato il messaggio specifico e tipico delle parti attrici nei citati marchi (e loro diverse combinazioni) apportando modificazioni così lievi da non guadagnare alcuna individualità e da non evitare la confusione del consumatore mediamente diligente.

Ritiene la Corte che, anche a voler presuppore la caratteristica “forte” dei marchi di parte attrice, in realtà non appare possibile alcuna confusione né tanto meno uno sfruttamento della notorietà/originalità dei marchi stessi.

Se è vero che la legge non esclude che una capacità originaria, strutturale, di distinzione possa essere ravvisata nella combinazione di parole che, singolarmente prese, risalgono ad un uso generale, ma che nel loro insieme, sono in grado di dar vita ad un’espressione in quanto tale originale e perciò dotata di capacità distintive, occorre però da parte del giudicante stabilire se sussista una tale capacità distintiva; capacità la quale legittima la pretesa di una tutela esclusiva anche al di fuori di una fattispecie brevettuale in senso proprio.

Ed allora, ben può affermarsi che le combinazioni delle parole nelle già ricordate famiglie di marchi - tenuto conto anche del logo utilizzato e quindi della grafica e delle colorazioni - hanno fatto raggiungere alle parti attrici la legittimazione ad un tutela c.d. “forte”; ma è pur vero che alla capacità distintiva così costruita (ove comunque le due parole quality e confort indicano in maniera autonoma ed alternativa tra loro i diversi servizi) si contrappone un’altrettanta originalità posta in essere dal Parte_1 che non è fatta di lievi modifiche, bensì di una combinazione di parole, unificando i due vocaboli insieme al termine “rooms”; invece, i marchi CP_1 utilizzano detti vocaboli sempre in modo distinto sebbene poi combinato con dizioni che descrivono la tipologia di alloggio alberghiero (suites, resort, hotel, INN).

Il tutto su piani di alloggio turistico ben diverso tra loro, atteso che le parti attrici - come si evince anche dalle loro domande risarcitorie - si rivolgono ad una categoria internazionale di consumatori e per ospitalità di catene alberghiere, con siti ovunque anche in Europa, rispetto invece alla posizione del D’Agostino che offre l’accoglienza “bed&breakfast” o di affittacamere (con una dizione forse ormai desueta rispetto all’uso della terminologia anglosassone) a consumatori che, anche per la spesa economica, difficilmente (anche da un punto di vista logico) possono essere i medesimi della catena “choice”.

Se poi il profilo - invocato dalle attrici - è la possibile riconducibilità del prodotto “alloggio” e dei relativi servizi alla catena alberghiera e a quei livelli di qualità, rileva la Corte che in realtà non vi sono elementi seri, concreti ed univoci in tal senso, tenuto conto che l’uso di quei vocaboli (anche nel settore dell’accoglienza alberghiera e/o turistica) è davvero assai diffuso, sicchè comunque combinati dovrebbero condurre tutti i consumatori a ritenere che si tratta di prodotti e servizi provenienti da CP_1, il che appare senz’altro inverosimile, tenuto anche conto che proprio l’evoluzione digitale (che consente di cercare da sé senza ulteriori assistenza) ha reso il consumatore senz’altro più attento e non (come sembra prospettare la parte oggi appellata) più “distratto” nell’esaminare le caratteristiche delle offerte.

Ed allora, anche se il concetto di “affinità” va considerata una nozione più ampia che tenga conto del pericolo di confusione in cui il consumatore medio può cadere attribuendo al titolare del marchio “celebre” la riconducibilità anche di altri prodotti non rilevantemente distanti sotto il piano merceologico e non caratterizzati - di per sè - da alta specializzazione, nel caso in esame tale ampiezza non può davvero giungere a comprendere un settore seppure facente parte della categoria dell’”ospitalità” turistica che abbia caratteristiche così diverse anche per impegno economico del consumatore (ovviamente di gran lunga inferiore rispetto a quello di una catena alberghiera del livello di parte attrice), proprio per la semplicità e l’essenzialità del prodotto /servizio offerto dal Parte_1 rispetto ad una realtà ben più complessa ed organizzata di “choice”, per cui sfugge davvero alla logica una possibile “confusione” tra i servizi e soprattutto sulla provenienza degli stessi.

Per concludere: la peculiarità del marchio “forte” della parte attrice oggi appellata non può condurre ad una sostanziale “stasi” di tutto il settore dell’accoglienza turistico/alberghiera che utilizzi vocaboli di uso comune con una modalità tale da distinguere nettamente sia il tipo di servizio, sia la sua provenienza, grazie a caratteristiche che non sono di lieve differenza rispetto al marchio tutelato e alla sua riconducibilità a certa tipologia di attività di ricezione, con la conseguenza che a parere della Corte non è condivisibile il ragionamento seguito dal Tribunale che, invero, ha omesso - nonostante abbia indicato il presupposto poi non declinato - di valutare nella sua complessità le caratteristiche delle diverse posizioni, ritenendo sostanzialmente inutilizzabile alcuno dei vocaboli “confort” e “quality” in alcun modo solo perché registrati, senza avvedersi però di aspetti peculiari come la grafica, la colorazione dei loghi e comunque il settore specifico di appartenenza dei marchi stessi. Alla luce, allora, di tali considerazioni, l’appello principale va accolto e la sentenza impugnata va riformata, con totale reiezione delle originarie domande attrici, assorbito l’appello incidentale.

§ 6 - Le spese del doppio grado gravano sulle parti soccombenti.

Per il primo grado, la liquidazione ben può essere effettuata nella misura già disposta dal Tribunale (€ 12.000,00 per compenso professionale, oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge) ed a spese vive se sostenute”; per il secondo grado, la liquidazione deve avvenire secondo le tabelle vigenti, tenuto conto dei parametri medi e del valore della controversia, oltre IVA e CPA nonché rimborso per spese generali.

Tabelle: 2022 (D.M. n. 147 del 13/08/2022)

Competenza: corte d’ appello

Valore della causa: da € 52.001 a € 260.000

Fase di studio della controversia, valore medio: € 2.977,00

Fase introduttiva del giudizio, valore medio: € 1.911,00

Fase istruttoria e/o di trattazione, valore medio: € 4.326,00

Fase decisionale, valore medio: € 5.103,00

Compenso tabellare (valori medi) € 14.317,00

Le spese di entrambi i gradi vanno distratte in favore dell’Avv. (...), dichiaratosi antistatario.

 

 

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando sugli appelli proposti contro la sentenza n. 20594/19 del tribunale di Roma, ogni diversa istanza, deduzione o eccezione disattesa, così provvede:

1. Accoglie l’appello principale e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, rigetta le domande attrici, con assorbimento dell’appello incidentale;

2. Condanna le parti appellate, in solido tra loro, alla rifusione - in favore di parte appellante principale - delle spese di primo grado liquidate in € 12.000,00 per compenso professionale, oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge ed a spese vive se sostenute e per il secondo grado in Euro 14.317,00 oltre IVA e CPA nonché rimborso per spese generali, spese del doppio grado da distrarsi in favore dell’Avv. Paola Di Cioccio dichiaratasi antistataria;

 

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 marzo 2025

 

 

IL PRESIDENTE

Il consigliere estensore