24 giugno 2016
Preuso di marchio di fatto e rischio di associazione e confusione tra marchi
Il precedente utilizzo di un “marchio di fatto” sul territorio nazionale, o su una parte importante di esso, conferisce al preutente un diritto esclusivo allo sfruttamento di detto marchio: tale uso è idoneo a invalidare eventuali successive registrazioni da parte di terzi di marchi identici o simili per prodotti appartenenti a un identico o affine settore merceologico, in quanto in tal caso viene a mancare il carattere della novità, che costituisce condizione per ottenerne validamente la registrazione.
Ai marchi dotati di un’elevata forza distintiva, in quanto privi di attinenza concettuale al prodotto contraddistinto, si deve riconoscere una tutela caratterizzata da una maggiore incisività rispetto a quella dei marchi “deboli”, dovendo ritenersi illegittime le variazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del nucleo individualizzante.
Si parla del rischio di associazione tra segni distintivi quando il pubblico sia portato a ritenere che sussistano, tra diverse imprese, rapporti di natura contrattuale, quale, ad esempio, un rapporto di licenza di marchio, in base al quale ad un’impresa venga consentita la produzione e la commercializzazione di uno stesso prodotto, ma, per esempio, ad un minor costo per un consumatore con ridotte capacità di spesa; sicché il rischio di associazione sull’origine dei prodotti non è alternativo al rischio di confusione: anche in presenza di differenze di qualità dei prodotti o di modalità della loro offerta al pubblico, l’acquirente ben può ritenere che gli stessi produttori abbiano posto sul mercato una differente linea di prodotto, ovvero abbiano concesso ad un diverso produttore l’uso del marchio.
La somiglianza tra due marchi va valutata alla luce di un esame globale, visivo, fonetico e concettuale, che, quindi, non deve essere “analitico” bensì basarsi sull’impressione complessiva prodotta dai marchi a confronto in considerazione dei loro elementi distintivi e dominanti, per cui, ad esempio, differenze fonetiche possono essere neutralizzate dalle somiglianze visive; e ciò tenuto conto della normale diligenza ed avvedutezza dei consumatori che eseguiranno il “confronto” tra il marchio che “vedono” al momento di effettuare un acquisto e quello che “ricordano” dell’altro. Ciò anche nel caso di marchi complessi, caratterizzati ad esempio da un elemento denominativo e da un elemento figurativo, salvo che la capacità distintiva sia, in siffatti casi, affidata ad uno solo (o a più di uno) degli elementi che lo compongono (c.d. cuore del marchio); nel qual caso l’esame da parte del giudice deve effettuarsi in modo parcellizzato per ciascuno degli elementi dotati di capacità caratterizzante.
Fonte: Giurisprudenza delle imprese