16 maggio 2016
Contraffazione del marchio di impresa, concorrenza sleale e risarcimento del danno
La tutela del marchio di impresa registrato, accordata dalla direttiva, opera sia in caso di identità, sia in caso di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi, ed è finalizzata a scongiurare il rischio di confusione tra i prodotti, che si sostanzia nella possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti o servizi in questione provengano dalla stessa impresa o eventualmente da imprese economicamente legate tra loro.
Il predetto rischio deve essere valutato globalmente, dipendendo da diversi fattori: dalla notorietà del marchio di impresa sul mercato, dal grado di somiglianza tra il marchio e il contrassegno e tra i prodotti o servizi contraddistinti.
Integra gli estremi della contraffazione del marchio di impresa e di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 n.1, la commercializzazione di beni (nella fattispecie capi di abbigliamento sportivo) riportanti i caratteri distintivi del marchio registrato della cui tutela si discute (nel caso in esame, il marchio registrato “RED BULL”, caratterizzato dalla raffigurazione di due tori in posizione di attacco), in quanto l’utilizzazione da parte dell’imprenditore concorrente del marchio contraffatto è finalizzato a richiamare alla mente del consumatore il prodotto dell’impresa concorrente ed è idoneo ad ingenerare il rischio di confusione di cui all’art. 20 lett. b) del c.p.i.
Accertata la sussistenza della contraffazione del marchio di impresa e della concorrenza sleale, la condanna al risarcimento del danno per lucro cessante non potrà essere accordata là dove l’attore non abbia provato l’esistenza di un nesso eziologico tra il danno subito e l’atto illecito, non potendosi quest’ultimo presumere dalla circostanza che ogni vendita realizzata dall’autore della violazione sia una vendita non realizzata dal titolare del diritto.
Fonte: Giurisprudenza delle imprese