5 dicembre 2016
Contraffazione di marchio per uso di segno simile e concorrenza sleale
Quando i servizi commercializzati dalle parti sono assolutamente sovrapponibili non solo come settore merceologico ma anche come pubblico di riferimento e segmento di mercato, è sufficiente anche una tenue somiglianza tra i segni per inferire la confondibilità.
La possibilità che il pubblico creda che i servizi provengano dalla medesima impresa, o eventualmente da imprese economicamente legate, è estremamente elevata qualora vi sia identità dei segni (sotto il profilo visivo, grafico e concettuale) e sovrapponibilità dei servizi.
L’attività illecita consistente nell’usurpazione o nella contraffazione di un marchio mediante l’uso di segni distintivi o simili a quelli legittimamente utilizzati dall’imprenditore concorrente, può essere dedotta sia a fondamento di un’azione reale, a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, che, congiuntamente, di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità tra i rispettivi prodotti.
In virtù del principio dell’unitarietà dei segni distintivi (il quale rinviene la sua ratio nella tendenziale convergenza dei differenti segni distintivi verso la stessa finalità) l’inibitoria può estendersi: a) alla denominazione sociale, nell’ipotesi in cui due imprese operino nello stesso mercato, non è lecito inserire nella propria ditta o denominazione sociale una parola che già faccia parte di marchio di altro imprenditore; b) ai marchi; c) al nome a dominio.