17 febbraio 2016
Marchi costituiti da parole di uso comune in lingua straniera e giudizio di contraffazione
Nel confronto tra marchi ai fini del giudizio di contraffazione, non si può prescindere dalla considerazione che questi siano composti da parole di uso comune (nella specie, in lingua straniera) quando ci si trovi di fronte a locuzioni del linguaggio comune che, nel loro complesso, dal punto di vista semantico risultano differenti, evocando concetti differenti per il contesto il cui la parola comune è inserita.
In particolare, a fronte di una marcata espressività, l’effettiva portata distintiva dei segni deve ritenersi conferita anche dall’insieme di elementi denominativi e grafici e non esclusivamente concentrata nell’elemento denominativo di cui il termine comune possa di per sé costituire il “cuore”.
Non rientrano nel divieto di cui all’ art. 13 CPI i c.d. segni espressivi quando privi di aderenza concettuale con i prodotti che sono destinati a contraddistingure.
A differenza che nel marchio complesso, in cui vi è una composizione di più elementi, anche dotati di autonoma capacità caratterizzante, la cui forza distintiva è comunque affidata ad uno di essi che ne costituisce il “cuore” in forza della sua originalità, nel “marchio di insieme” i vari elementi che lo compongono, singolarmente considerati mancano di distintività ed è soltanto la combinazione a cui danno vita, ovvero appunto il loro insieme, che può avere, per come viene percepito dal mercato, un valore distintivo, più o meno accentuato.
Il marchio rinomato non coincide con il marchio celebre e non sempre risulta necessaria una grande rinomanza, dovendo ritenersi sufficiente che il segno sia conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o servizi contraddistinti, requisito da valutarsi tenuto conto della quota di mercato detenuta dal marchio, dell’ intensità ed estensione geografica e della durata del suo uso, nonchè dell‟entità degli investimenti realizzati per promuoverlo.
Nel sistema dei segni distintivi esiste un generale principio di “preclusione per coesistenza”, per il quale il titolare di un marchio anteriore non può chiedere l’annullamento di un marchio posteriore, o opporsi al suo uso, laddove l’utilizzazione simultanea e di lunga durata è tale da non pregiudicare più la funzione del marchio preregistrato, consistente nel garantire ai consumatori l’origine dei prodotti o servizi.
Fonte: Giurisprudenza delle imprese