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21 dicembre 2021

Gucci e la (vittoriosa) solitudine delle “lettere prime”

di Valentina Gazzarri

È stato un percorso difficile quello affrontato da Gucci (Guccio Gucci S.p.A.) nell’ultimo quinquennio. 


Quando si è una luxury company del suo livello, le sconfitte sono sicuramente dure da digerire e devono esserlo state veramente tanto quelle che l’hanno vista soccombere per ben due volte dinanzi ai giudici di merito del Tribunale di Firenze, prima, e della relativa Corte d’Appello, poi.

Ma andiamo nel dettaglio della vicenda.

Gucci è titolare di numerosi marchi costituiti dalla sola lettera “G” o dalla coppia di lettere “GG” (queste ultime spesso presentate come marchio figurativo, con i due segni in posizione speculare)

L’articolo 7 del Codice di Proprietà Industriale include espressamente le lettere tra i possibili oggetti di legittimo marchio.

Naturalmente, essi devono presentarne tutti i requisiti per essere validi, tra i quali il carattere distintivo. In relazione a questo ultimo aspetto, va da sé che per accedere alla tutela detti segni non devono essere divenuti di uso comune (es. le lettere non devono indicare qualità o destinazione o caratteristiche di un prodotto nel linguaggio corrente o negli usi commerciali).

Inoltre, non si deve cadere nell’errore di ritenere le lettere dei marchi deboli e, cioè, tutelati in misura più modesta rispetto all’uso di marchi simili, perché apparentemente segni molto essenziali.

C’è di più: una lettera (o una combinazione di lettere) può addirittura assurgere allo stato di marchio di rinomanza, qualora essa sia conosciuta ad una parte significativa del pubblico di consumatori interessati ai prodotti/servizi contraddistinti dal segno medesimo (per citare la descrizione della rinomanza adottata dalla Corte di Giustizia Europea, C-375/97, 14.09.1999General Motors). La stessa Gucci ha rivendicato la rinomanza dei propri marchi anteriori citati sopra nella causa intentata contro il cittadino cinese Zhao Yong, titolare dei due marchi italiani n. 1197772 "  " e n. 1355749 " ".

Parte attrice ha chiesto che i due marchi venissero dichiarati nulli per difetto di novità, costituendo contraffazione delle proprie registrazioni anteriori, nonché l’inibitoria della produzione e/o commercializzazione e/o pubblicità e/o offerta in vendita dei prodotti recanti i marchi Gucci.

La notorietà del marchio composto dalla lettera “G” o dalla coppia di lettere “GG” di parte attrice è lapalissiana.

Tuttavia, in questa vicenda, il primo colpo di scena lo provoca il Tribunale di Firenze che, con sentenza n. 988/2015 del 24.03.2015, ha accolto solo parzialmente l’azione di nullità della società Gucci, rigettando soltanto una registrazione su due di quelle contestate.

A questo punto, la casa di moda toscana ha probabilmente percepito che la strada verso la vittoria fosse in salita. Quanto fosse ripida questa salita, però, forse non se lo immaginava.

Infatti, con sentenza n. 1006/2016 del 15.06.2016 la Corte di Appello competente ha rigettato la richiesta di nullità per entrambi i segni della parte convenuta, ritenendo che i marchi del Sig. Yong presentassero delle differenziazioni (in particolare, il riempimento in neretto della gobba della “G” e la sottigliezza del carattere utilizzato nel marchio n. 1197772) idonee ad escludere nel consumatore ogni rischio di confusione ed associazione.

Non è bastato neanche invocare la notorietà del marchio azionato per ottenere un esito diverso. Invero, detto aspetto ha giocato un ruolo sfavorevole per parte attrice perché secondo la Corte d’Appello un marchio notorio è un segno già impresso in modo consistente nella mente del consumatore. Pertanto, il consumatore di riferimento sarebbe, a suo dire, già abituato a riconoscerlo e distinguerlo da qualsiasi altro segno similare. Perciò, il potere di attrattiva del marchio “G” di Gucci non potrebbe essere compromesso da un segno successivo non idoneo ad ingannare la clientela a cui si rivolge, in quanto qualificata ed esperta.

Occorre ammettere che le decisioni sopra menzionate si discostano sensibilmente dalle correnti dottrinali e giurisprudenziali maggioritarie sul tema, trascurando di considerare la tutela rafforzata spettante ai marchi notori e concentrandosi bensì sulla valutazione del rischio di confusione.

Così Gucci, come una belva ferita, benché allo stremo delle forze, ha sferrato il suo ultimo attacco ed ha eccepito anche in sede di legittimità che il suo marchio dovesse accedere ad una tutela rafforzata quale quella ultramerceologica.

Essa, lo ricordiamo, non solo prescinde dal “principio di relatività” tipica dei marchi ordinari, essendo accordata anche nei confronti di segni che contraddistinguono prodotti/servizi non identici/affini a quelli contrassegnati dal marchio notorio, ma dispensa altresì l’organo giudicante dall’esame del rischio di confusione.

Fortunatamente per la casa di moda, la Corte di Cassazione ha accolto l’interpretazione proposta da parte attrice, in quanto conforme alla sua stessa giurisprudenza (ha richiamato, a tal proposito, la celebre sentenza n. 26000/2018), nonché a consolidata giurisprudenza comunitaria (ex multis, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, C-487/07, L’Oreal; Corte di Giustizia dell’Unione Europea, C-408/2001, Adidas-Salomon e Adidas Benelux).

Così, il giudice di legittimità ha sottolineato che per condurre l’analisi circa la tutela del marchio rinomato, se è pur vero che deve sussistere un certo grado di somiglianza tra il segno contestato ed il marchio notorio, non è altresì richiesto che detta somiglianza debba condurre ad un rischio di confusione. Piuttosto, da essa deve scaturire soltanto un nesso tra i segni in conflitto.

I requisiti per accordare tutela ad un marchio notorio sono altri.

Oltre all’utilizzo del segno posteriore senza giustificato motivo, in particolare, viene richiesto dalla normativa che detto uso possa portare al contraffattore un indebito vantaggio, o arrecare al titolare del marchio rinomato un pregiudizio.

Il vantaggio deriva dal summenzionato nesso tra i marchi in comparazione: infatti, il consumatore che abbia già nella mente il marchio notorio, assieme a tutti i valori e la reputazione da esso evocati, potrebbe essere indotto ad acquistare consapevolmente i prodotti contrassegnati dal segno posteriore. Detta scelta potrebbe essere dettata proprio dal desiderio di possedere qualcosa contrassegnato da un marchio molto simile a quello “famoso”, magari con il fine di farlo passare per autentico all’esterno.

Da ciò ne consegue che il contraffattore si inserisce indebitamente nella scia dell’appeal del marchio anteriore, approfittando parassitariamente degli investimenti effettuati dal titolare per affermare la brand identity ad esso connessa.

Il pregiudizio per il titolare può declinarsi nelle forme della dilution by bluring e dilution by tarnishment.

Nel primo caso, il marchio notorio subisce gli effetti pregiudizievoli derivanti dall’indebolimento del suo carattere distintivo per il venir meno della sua unicità sul mercato e dalla compromissione del suo potere di attrazione (v. brand identity).

Nel secondo caso, viene ad essere compromessa la reputazione del marchio rinomato qualora il terzo utilizzi il segno contestato per prodotti/servizi di qualità scadente o comunque non in linea con l’immagine del marchio anteriore.

Come sottolineato dai giudici Ermellini, è chiaro che “[…]una estesa commercializzazione di prodotti recanti segni identici o simili a marchi rinomati possa fondatamente cambiare le abitudini della clientela cui tali articoli sono normalmente indirizzati, soprattutto di quella che è orientata all’acquisto per il carattere esclusivo del prodotto, per l’elevatissimo target del medesimo, la quale, per non incorrere nel rischio che il suo costoso accessorio di lusso possa essere confuso con uno contraffatto, può dirigersi verso altre marche altrettanto rinomate”.

In altre parole, occorre evitare che la clientela cessi di acquistare i prodotti contrassegnati da un marchio notorio, soprattutto quando di lusso, perché indistinguibili da quelli contraffatti.

Alla luce di quanto sopra, è irrilevante la circostanza per cui un consumatore sia indotto o meno in errore sull’origine imprenditoriale del prodotto recante il marchio contraffatto.

Altra cosa è, invece, l’intensità della tutela di un marchio notorio. È ovvio che più il carattere distintivo e la notorietà del marchio di cui si tratta sono rilevanti, più facilmente sarà ammessa l’esistenza di una violazione; inoltre, più l’evocazione del marchio ad opera del segno successivo è immediata e forte, più aumenta il rischio che l’uso attuale o futuro del segno tragga un vantaggio indebito dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio o rechi loro pregiudizio.

Così Gucci, avendo già avuto riconoscimento dai giudici di seconda istanza della somiglianza tra i segni in comparazione e della rinomanza del marchio azionato, non può che tirare un sospiro di sollievo per il successo conquistato in sede di legittimità.

Con tale vittoria (che dovrà ricevere conferma dai giudici di merito ai quali spetta il compito di rivalutare l’interferenza dei due segni alla luce dei principi enunciati dalla Corte Suprema), la casa di moda fiorentina può aggiungere un altro tassello nel complesso mosaico della lotta alla disaffezione del consumatore attratto dal lusso.
 


Avv. Valentina Gazzarri
Bugnion S.p.a.