• Brevetti per invenzione

20 marzo 2015

La battaglia contro il Patent Trolling in USA: giro di vite decisivo contro il business delle cause brevettuali

Dopo la bocciatura in Senato dello scorso anno, torna sui banchi del Congresso la proposta di legge di riforma della normativa brevettuale americana. Nei primi giorni di febbraio il senatore Repubblicano Bob Goodlatte, difatti,  ha riaperto il dibattito sul c.d. Innovation Act, testo legislativo concepito e strutturato quale incisivo strumento di repressione dell’ormai dilagante fenomeno del c.d. patent trolling.

I patent trolls sono società – normalmente di dimensioni contenute – le quali acquistano da terzi titoli brevettuali – o, in alcuni casi, registrano propri brevetti – senza l’effettivo intento di sfruttarli a fini innovativi, ma allo scopo esclusivo di utilizzare i diritti di privativa così ottenuti come “legal weapons”, attraverso modalità operative che possono variare di caso in caso.

Nella maggior parte delle ipotesi, secondo lo schema tipico del trolling, l’impresa acquista i titoli brevettuali in grandi quantità e a prezzi minimi – spesso da aziende in stato di fallimento – per poi intraprendere azioni legali nei confronti di altre aziende, le quali vengono accusate di violazione del diritto di privativa.

E’ a questo punto che entra in gioco la strategia di suasion su cui si impernia il meccanismo del trolling: e imprese citate, al fine di sottrarsi alle spese processuali che dovrebbero sostenere per difendersi dalle accuse – quasi sempre temerarie – di infringement, preferiscono spesso “venire a patti” con il troll, il quale lucra così sulle somme pagate dall’impresa vittima per comporre la lite.

In altri casi, la tattica persuasiva adottata dai trolls risulta così sottile da costringere l’azienda a pagare senza neanche instaurare il giudizio, ovvero attraverso la semplice prospettazione di una possibile azione giudiziaria.

Anche in questa ipotesi un ruolo decisivo è svolto dall’attività di suasion perpetrata dal troll, il quale costringe di fatto la vittima ad acquistare – a prezzo elevatissimo – i titoli brevettuali della cui violazione è accusata, quale unica via per sottrarsi all’azione di patent infringement. 

Come risulta evidente, il guadagno conseguito dalla imprese trolls viene così ad essere quasi interamente rappresentato dai proventi di un parassitario business of litigation, anziché dal legale sfruttamento del titolo di privativa acquisito.

Il risultato finale non è difficile da immaginare: da un lato, il sostanziale stallo dei titoli brevettuali, i quali non vengono impiegati a fini di innovazione scientifica o tecnologica ma di mera speculazione; dall’altro, il pregiudizio economico delle imprese che, schiacciate dai costi legati all’acquisto dei brevetti o a onerosi patteggiamenti con i trolls, sono in molti casi costrette a chiudere i battenti.

Come da più parti evidenziato, a ben vedere, il radicamento del fenomeno del trolling in suolo statunitense, con incidenza significativamente maggiore rispetto all’Europa, è stato nel corso degli anni ampiamente favorito dalla diffusa tendenza – da parte dei patent offices americani – di adottare parametri di valutazione dei requisiti di brevettabilità estremamente elastici.

Invero, non risulta difficile comprendere come la prassi consolidata di concedere titoli di privativa anche a fronte di invenzioni banali, connotate da un gradiente minimo di originalità, faciliti notevolmente il gioco dei patents trolls, i quali possono agevolmente munirsi dei brevetti necessari all’attuazione della propria strategia di ricatto.

A ciò si aggiunga che l’assenza, nella legislazione statunitense, di meccanismi di imputazione delle spese processuali in capo alla parte soccombente, incentiva grandemente le iniziative di lite temeraria dei trolls, incoraggiando l’instaurazione di controversie per patent infringement anche vistosamente infondate.

Ebbene, il testo di riforma, oggi tornato nelle aule del Congresso, si propone di ripartire proprio da quelle falle della normativa di cui il patent trolling si alimenta e da cui trae la linfa necessaria alla propria sopravvivenza.

In particolare, tra i punti chiave del nuovo Innovation Act, vi è l’introduzione, sulla scia di quanto statuito da recenti pronunce della Supreme Court 1, di un meccanismo di fee-shifting – ovvero di addebitamento delle spese legali al soccombente – per la maggior parte delle vertenze in materia di patents infringement, quale deterrente contro l’instaurazione di liti a finalità speculative.

Altra novità è la previsione di rigorose regole di trasparenza, volte a scongiurare la dilagante pratica dei trolls di celarsi dietro società fantasma (c.d. shell companies).

La proposta di legge prevede, difatti, stringenti obblighi di disclosure in capo a coloro i quali agiscano per la violazione del titolo di privativa, tra cui quello di indicare immediatamente l’identità dei reali titolari dei brevetti e di ogni altro soggetto che sia portatore di interessi economici rispetto al titolo oggetto di causa, nonché di coinvolgerli nella controversia instaurata (c.d. mandatory joinder).

Nuove misure sono inoltre previste sul piano strettamente procedurale, attraverso l’introduzione di più snelle procedure di valutazione della validità dei brevetti in sede di giudizio.

Invero, si è osservato come un’accelerazione dei tempi processuali consentirebbe di ridurre notevolmente il rischio che le aziende accusate, scoraggiate dal dilatarsi delle tempistiche del processo, decidano di accettare le proposte di transazione formulate dai trolls.

Il testo di riforma è stato accolto con entusiasmo dalla maggior parte delle aziende tecnologiche leader statunitensi, tra cui Facebook e Microsoft, le quali hanno in più occasioni evidenziato come un’efficace repressione del patent trolling costituisca una premessa ineludibile per l’innovazione e il progresso tecnologico.

Al contempo, non sono mancate voci dissenzienti, le quali hanno puntato il dito contro l’eccessivo rigore della nuova disciplina, la quale, si è osservato, oltre a colpire i patent trolls, finirebbe con il penalizzare anche tutte quelle aziende che acquistano titoli brevettuali per legittimi scopi di sfruttamento economico e sperimentazione tecnologica, per i quali l’instaurazione di azioni di patents infringement diventerebbe ingiustificatamente macchinosa e complessa.

In particolare, gli oppositori della riforma hanno sottolineato che l’imposizione di vincoli così stringenti potrebbe rivelarsi estremamente pregiudizievole per le imprese più piccole, le quali , in caso di violazione dei propri titoli di privativa da parte di terzi, sarebbero chiamate ad assolvere un onere probatorio eccessivamente gravoso, che potrebbe in taluni casi indurle a desistere dal promuovere l’azione.

In realtà, si tratta di obiezioni poco condivisibili. A ben vedere, difatti, le aziende maggiormente esposte al rischio di trolling – e dunque principali beneficiarie della riforma – sono proprio quelle di piccole o medie dimensioni- prevalentemente startup firms- le quali più di tutte risentono dell’impatto, economicamente devastante, del patent trolling.

Se, difatti, difficilmente i grandi colossi hi-tech possono essere annientati dall’azione dei trolls, i costi legali che le piccole imprese si trovano a sostenere per fronteggiare un troll attack causano frequentemente il totale dissesto dell’azienda, alla quale non resta altra alternativa che abbandonare il mercato.

Com’è agevole intuire, ad essere danneggiata, oltre all’economia delle singole imprese bersaglio dei trolls, è l’innovazione, e quindi la concorrenza, che dell’innovazione si alimenta.

Al riguardo, è importante evidenziare che nella maggior parte dei casi, le più appetibili vittime del trolling sono proprio le imprese che, a prescindere dalle dimensioni, risultano più prolifiche sul piano della innovazione; più un’azienda è innovativa, più risulta agevole per il troll intentare azioni di patents infringement.

Le conseguenze per il sistema sono quanto mai evidenti. Da un lato, il timore di subire attacchi da parte dei trolls esercita un effetto depressivo sugli investimenti nell’innovazione; dall’altro, la strategia estorsiva su cui si basa il trolling comporta l’automatica estromissione dal mercato delle imprese più deboli, le quali non sono in grado di sostenere i costi della controversia o di acquistare i brevetti dal troll.

Una “selezione naturale” che, purtroppo, non ha nulla a che vedere con quella “competition on the merits” sulla quale soltanto può fondarsi l’innovazione.
 

[1] v. Octane Fitness, LLC v. Icon Health & Fitness, Inc, 29 Aprile 2014, con la quale la Supreme Court ha espressamente riconosciuto ai giudici di merito la possibilità di derogare alla c.d. American rule e di imputare alla parte sconfitta le spese di giudizio “when the losing party has acted in bad faith, vexatiously, wantonly, or for oppressive reasons”.

 


© 2015 - Concetta Pecora
pubblicato originariamente sul sito: medialaws.eu