26 febbraio 2016
Cosa ci insegna il diario di Anna Frank su copyright, pubblico dominio e content mining
Dall’inizio del nuovo anno il Diario di Anna Frank è uno degli argomenti di punta di blog e quotidiani online. Come è noto Anna Frank è morta nel 1945 nel campo di concentramento di Bergen-Belsen in Germania; i suo scritti, comprese le versioni del famoso diario sono quindi entrati nel pubblico dominio il 1 gennaio 2016.
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Immediatamente, il 2 gennaio Olivier Ertzscheid, docente presso l’Università di Nantes, pubblica l’originale testo del diario in lingua olandese sul suo blog. Allo stesso tempo, anche la parlamentare francese Isabelle Attard dal Partito dei Verdi lo mette on-line sul suo sito web, al motto di Viva Anna Frank, via il Pubblico Dominio. Forti entrambi del diritto comunitario e dell’importanza della libertà intellettuale nonostante i diari e le versioni a stampa degli stessi siano da tempo oggetto di una complicata controversia legale. Il testo olandese pubblicato da Ertzscheid e Attard proviene da una vecchia versione ridotta, che la Fondazione Anna Frank aveva messo nel mercato nel 1991 e successivamente sostituita con una versione completa.
Sia in Francia sia in Olanda, la tutela in termini di diritto d’autore è conforme alla direttiva UE sul copyright e similmente all’Italia, l’opera cade nel pubblico dominio 70 anni dopo la morte del suo autore o, nel caso di più autori, di quello che muore per ultimo. Emanuel Meyer dall’Istituto Federale della Proprietà Intellettuale svizzero, sottolinea che anche per la legge svizzera, la protezione del copyright scade 70 anni dopo la morte dell’autore. Alla fine del periodo di tutela le opere, ricadendo nel pubblico dominio, assumono un nuovo status (PDM Public Domain Mark) e possono liberamente essere riutilizzate da chiunque per nuovi usi culturali, educativi o commerciali. Il pubblico dominio è un’area di grande valore per l’Europa, finalizzata a promuovere l’innovazione. Il 25 gennaio 2016 il Parlamento Europeo ha celebrato il giorno del pubblico dominio, che ricorre il primo giorno di ogni nuovo anno e segna la fine del periodo di protezione del copyright sulle opere creative, periodo di tutela che varia da Paese a Paese.
Come funziona negli USA
Negli USA il pubblico dominio è soggetto a norme diverse, e il calcolo è più complicato. Nel 1998, a seguito dell’entrata in vigore del Digital Millennium Copyright Act (DMCA), il copyright si è esteso fino a 70 anni dalla morte dell’autore, come in Europa. Con qualche differenza. In virtù delle norme precedenti il DMCA tutte le opere pubblicate prima del 1923 sono di pubblico dominio, quelle pubblicate tra il 1923 e 1963 sono nel pubblico dominio solamente “se il copyright non è stato rinnovato” (prima del 1978 la tutela doveva essere richiesta attraverso registrazione) o “se l’opera è stata pubblicata senza un adeguato avviso di copyright”. Negli Stati Uniti si inizierà perciò ad assistere all’ingresso nel pubblico dominio di alcune opere a partire dal 2019, proprio a seguito dell’estensione imposta dalle revisioni del 1978 e 1998 poi. A seguito di queste norme il Diario di Anna Frank verrà rimosso dal sito Wikimedia Foundation che è sotto giurisdizione USA.
Questo perché l’estensione della tutela accordata alle opere – anche straniere a seguito del trattato internazionale URRA Uruguay Round Act – ciò che è stato pubblicato dopo il 1978 è tutelato in termini di copyright per 95 anni dalla pubblicazione. Il Diario fu pubblicato nel 1947 negli Stati Uniti e perciò rimane sotto copyright fino al 2042
Il giornalista Yves Kugelmann – membro del consiglio di amministrazione della Fondazione e capo redattore della rivista ebraica Tachles – sostiene che se Attard avesse affrontato seriamente il problema, avrebbe dovuto considerare i tanti decreti relativi a autori francesi i cui diritti d’autore sono estesi da leggi speciali, come nel caso del “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry – uno dei libri più venduti di tutti i tempi – che pubblicato post mortem nel 1943, un anno prima de Saint-Exupéry fosse ucciso in azione come pilota. Normalmente il libro sarebbe divenuto di pubblico dominio il 1 gennaio 2015 – 70 anni dopo la morte del suo autore – ma in Francia, opere di autori che sono morti per la Patria durante le due guerre mondiali ottengono un extra di tutela di 30 anni. Questo significa che il piccolo principe dovrebbe entrare nel pubblico dominio nel 2045.
Il Mein Kampf di Hitler e il Diario di Anna Frank
Sono numerosi gli autori morti nel 1945 e tra questi vi sono sia Adolf Hitler sia Anna Frank che ricadono entrambi nel pubblico dominio dal 1 gennaio 2016. I diritti sul libro di Hitler Mein Kampf sono di proprietà dello Stato di Baviera che ne proibì la pubblicazione fin dagli anni Cinquanta.
Tuttavia anche prima del fenomeno Internet non si contavano le versioni e le traduzioni non autorizzate a stampa che circolavano nei vari Paesi. A seguito delle numerose versioni digitali pirata dalle improbabili traduzioni e in vista dell’imminente scadenza dei diritti, nel corso del 2015 fu affidato all’Istituto tedesco di storia contemporanea la realizzazione di un’edizione di oltre 2000 pagine, annotata e commentata, disponibile gratuitamente in Germania. Lo scopo era quello di contestualizzare e neutralizzare il testo, così da impedirne un uso improprio. Qualcuno, apprezzando il lodevole sforzo, ha avanzato dei dubbi sulla reale incisività dell’iniziativa motivando che in un mondo dominato dalla rapidità di versioni digitali prontamente scaricabili, mettere in piedi un’opera monumentale richiede tempi estremamente lunghi data la necessità di precisione per i commenti e le annotazioni.
Per quanto riguarda i diari di Anna Frank, la Fondazione Anna Frank (AFF) – fondata da Otto Frank e che ha sede a Basilea – sta tendando di impedire che cadano nel pubblico dominio e sta valutando come procedere per un’azione legale. La Fondazione sostiene di detenere ancora la titolarità dei diritti e già lo scorso anno aveva annunciato la possibilità di dichiarare il padre di Anna, Otto Frank co-autore del libro, dopo aver chiesto il parere legale di alcuni esperti. Essendo Otto Frank morto nel 1980 molti vedono un tentativo di allungare fino al 2051 il periodo di tutela, per questioni meramente economiche (diritti editoriali).
La contesa sui diritti del Diario che racconta il nazismo
Secondo la Fondazione il padre di Anna, Otto Frank avrebbe selezionato le pagine dai diari originali (che sono due) scegliendo quelle da pubblicare e tagliando le parti più intime e personali, in particolare stralciando alcuni passaggi critici nei confronti della famiglia e della madre. La prima stesura del diario fu scritta da Anna a 13 anni, nel giugno 1942, in una piccola soffitta sopra ad un magazzino ad Amsterdam. Poi ci fu una riscrittura due anni dopo. Il lavoro di editing sui diari comporta che si debba concretamente ricondurre a Otto Frank una corresponsabilità come autore della versione del libro pubblicata a noi oggi nota e tradotta in varie lingue. I cambiamenti apportati, secondo i legali della Fondazione, costituiscono “una nuova opera”, per la quale Otto Frank detiene il diritto d’autore. In altri termini, la prima tesi della Fondazione è che si deve porre distinzione tra le due versioni dei diari e la versione stampata che è una selezione redatta ed edita da Otto. L’avvocato francese Agnès Tricoire, specializzata in diritto della proprietà intellettuale sostiene però che «Se accettiamo le argomentazioni della fondazione, significa che ha mentito per anni dicendo che Anna Frank era l’unica autrice del diario».
Credits: it.wikipedia.org
Altra tesi della Fondazione è sulla clausola della legge francese che stabilisce che un lavoro pubblicato postumo prima del 1995 rimane protetto per 50 anni dopo la pubblicazione iniziale. Le versioni “originali” dei diari furono pubblicate postume nel 1986 in olandese e nel 1989 in francese, quindi possibile tutela fino 2037 o 2040 rispettivamente. Come dice Meyer distinguendo tra le differenti versioni del diario e il libro a stampa “per le opere di pubblicazione postuma, è possibile che ci sia una protezione speciale per l’editore. Quindi non è completamente escluso che continui la tutela del diario originale. Ma il diritto svizzero non contempla una tale disposizione”.
I diritti commerciali e la giusta causa di salvaguardare la memoria
Alla base dei tentativi di prolungare il periodo di tutela vi sono tuttavia motivazioni che alcuni considerano condivisibili. Le memorie di Anna Frank non sono semplicemente un’opera dell’ingegno, ma rappresentano una preziosa testimonianza storica la cui libera circolazione comporterebbe il rischio di manipolazioni revisioniste qualora finisse nelle mani sbagliate. Esattamente come è accaduto (all’incontrario) per il Mein Kampf di Hitler. La principale preoccupazione della Fondazione, è quella di prevenire l’intervento dei negazionisti e di preservare l’opera da eventuali fraintendimenti e/o revisioni.
Una manovra dall’apparenza indubbiamente forzata, che incontra però il sostegno di accademici come Guy Birenbaum, che si è espresso a favore della proposta della Fondazione ritenendola finalizzata alla giusta causa di preservare la natura del documento e la memoria della sua autrice.
Che il diario di Anna Frank sia una testimonianza di grande valore storico è incontestabile e proprio su questa consapevolezza una recente decisione del tribunale olandese ha ribadito il diritto fondamentale della libertà di ricerca scientifica nell’uso di tecniche di data mining su contenuti – anche soggetti a tutela – se effettuate per scopi di ricerca. La sentenza della corte distrettuale di Amsterdam dello scorso 23 dicembre 2015 illustra perfettamente la tensione fra la libertà di ricerca scientifica e la tutela del diritto d’autore. Il caso riguardava la realizzazione di riproduzioni del Diario di Anna Frank per fini scientifici da parte di Huygens ING un istituto di ricerca dell’Accademia Reale Olandese delle Arti e delle Scienze (KNAW) che con l’associazione olandese Anne Frank Stichting – casa museo di Anna Frank – aveva creato dei file XML dal Diario al fine di effettuarne un’analisi testuale.
Anna Frank, le battaglie legali e l’identità ebraica
In realtà sono due le fondazioni che si occupano di gestire i documenti e la memoria di Anna Frank. La prima nata nel 1957 è la Casa Anna Frank, situata ad Amsterdam in Olanda che si occupa di amministrare il museo nell’abitazione dove la famiglia Frank si nascose dal 1942 al 1944. La seconda è la Fondazione svizzera Anne Frank Fonds creata nel 1963 dal padre di Anna, Otto Frank (unico sopravvissuto ai campi di concentramento) che gestisce i diritti d’autore del “Diario” e che ne detiene i diritti. Al fine di impedire speculazioni commerciali, le due associazioni hanno lavorato insieme fino ai primi anni del 2000. Successivamente si sono succedute una serie di battaglie legali, su questioni di copyright e di marchi e nel 2011 quella relativa alla gestione di 10mila documenti d’archivio, lettere e fotografie, che ognuna delle due fondazioni rivendicava come propri. Come riporta il Post in un articolo del 2013 “La fondazione svizzera li aveva prestati nel 2007 al museo olandese che li aveva esposti e non li aveva più restituiti sostenendo di essere il legittimo proprietario. Nella sua sentenza, il tribunale ha stabilito invece che l’archivio dovrà tornare a Basilea dal primo gennaio 2014”. Ma alla base delle liti vi è una spaccatura “filosofica” sul modo di comunicare la reale immagine di Anna che ciascuna delle due Fondazioni percepisce in modo differente. La fondazione svizzera rimprovera alla Casa di aver trasformato Anna in un’icona fuori dal contesto dell’Olocausto, sganciata dall’identità ebraica.
I ricercatori, il content mining e i dati XML
La lite giudiziaria sui testi utilizzati per l’estrazione dei file XML è quindi l’ultima della serie tra le due Fondazioni. La Fondazione svizzera asserisce che i ricercatori hanno usato i facsimili dei diari manoscritti pubblicati nel corso degli anni e quindi edizioni che seppur autorizzate della Fondazione svizzera erano opere tutelate dalla legge. La Anne Frank Fonds ha ritenuto che fossero stati violati i diritti di autore in quanto l’estrazione di contenuto tramite TDM e la conseguenze creazione di file XML non erano azioni da loro autorizzate. Di contro i ricercatori sostengono che lo scopo della ricerca era quello di analizzare annotazioni, cambiamenti nella scrittura e cancellazioni nel testo, non di raccogliere espressioni creative che non sono l’oggetto di questo tipo di ricerche, quindi azioni che esulano dalla sfera della creatività insita nella protezione del diritto d’autore. Di fatto la Corte ha constatato che le eccezioni ai diritti, estrazione di testo da contenuto, content mining (CM) e creazione di file derivati, invocate dai convenuti non erano applicabili.
Tuttavia i convenuti hanno invocato il loro diritto di libertà di ricerca scientifica – come previsto dall’articolo 13 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e pertanto la Corte ha sottolineato il principio di proporzionalità nel valutare l’equilibrio tra il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e il rispetto di qualsiasi diritto fondamentale, riconoscendo alla fine un peso maggiore verso il pubblico interesse della ricerca, inteso come un diritto fondamentale. Una ricerca con tecniche TDM cerca di ricavare conoscenza da grandi quantità di dati che non possono essere ragionevolmente analizzate a mente da una semplice lettura umana.
Si può pertanto affermare in termini di test di proporzionalità che non vi sono mezzi per conseguire tale obiettivo se non utilizzando tecniche di TDM. “L’assenza di disposizioni chiare a livello dell’UE sull’uso del TDM ai fini della ricerca scientifica genera incertezze nella comunità dei ricercatori. Ciò va a discapito della competitività dell’Unione e della sua leadership scientifica in un momento in cui le attività di ricerca e innovazione nell’UE devono essere svolte sempre di più attraverso la collaborazione transfrontaliera e interdisciplinare e su scala più ampia, in risposta alle grandi sfide sociali che intendono affrontare” si legge nella Comunicazione della CE al Parlamento Europeo.
Se i ricercatori non possono fare il loro lavoro…
D’altro canto, la decisione della Corte di stabilire che le azioni di riprodurre (o estrarre dati) da opere – a cui i ricercatori hanno accesso legittimo – sono sempre considerate “infrazioni” determina si debba sempre procedere caso per caso, non fornendo purtroppo alcuna certezza giuridica per i ricercatori del TDM. Sarà compito del legislatore comunitario proporre una eccezione specifica sulla base del documento Text and Data Mining and the Need for a Science-friendly EU Copyright Reform dello scorso aprile 2015 che enuclea i problemi “legali” di azioni di scaricamento dei dati da fonti proprietarie e quindi della conseguente impossibilità per i ricercatori di fare TDM. Il fatto che non vi sia certezza legale, sommata alle misure tecnologiche di protezione rendono imprescindibile l’autorizzazione da parte del produttore.
Di conseguenza, molti ricercatori lasciano perdere una ricerca promettente, scoraggiati dalla difficoltà di affrontare negoziazioni ad hoc.
Negoziazioni che comportano costi diretti (se il produttore esige un pagamento) e indiretti (tempo e risorse da impegnare nella trattativa). Il ruolo del diario di Anna Frank nella questione della libertà accademica nelle procedure TDM sta in qualche modo spingendo il legislatore europeo.
Come riportato da Cristina Gottardi in Data Mining: l’ostacolo del Copyright su Il Bo la Commissione Europea tra le azioni messe in Agenda Digitale intende proporre un’eccezione specifica per consentire il text e data mining da fonti a cui gli utenti hanno già accesso legale dovrebbero essere considerati legittimi e non soggetti a ulteriori autorizzazioni, eccezione che “consenta di superare le frammentarie regolamentazioni nazionali in materia così da aiutare nei loro compiti le “organizzazioni di ricerca di pubblico interesse”.
Dott.ssa Antonella De Robbio
Fonte: CheFuturo!