6 aprile 2017
Il divieto di soppressione del marchio del produttore (art. 20 co. 3 cpi) si riferisce necessariamente al marchio d’impresa?
Il divieto di soppressione del marchio del produttore di cui all’art. 20 co. 3 CPI consente all’impresa licenziataria di utilizzare qualsiasi riferimento all’impresa licenziante a prescindere da quanto pattuito nel contratto?
La Cassazione è stata recentemente investita (Cass. Civ. sez. 1, sentenza 7969/2017) di un caso in cui una nota società (licenziante), titolare del brevetto di un trattamento anti odore per tessuti, aveva concesso ad un’altra impresa (licenziataria) il diritto all’uso di tale trattamento sui suoi prodotti, con contestuale licenza d’uso del marchio utilizzato dalla prima per identificare il trattamento.
La licenziataria, tuttavia, citando in giudizio la titolare del brevetto, vantava il diritto di apporre sul proprio prodotto, da essa trattato con il trattamento concessole in licenza, qualsiasi riferimento e/o marchio istituzionale dell’azienda (marchio peraltro molto noto) titolare del relativo brevetto e non solo il marchio del prodotto, come invece era stato stabilito nel contratto, in virtù di quanto stabilito dall’art. 20 co. 3 Codice Proprietà Industriale.
I giudici di merito avevano però rilevato che l’utilizzo fatto dalla licenziataria dei marchi istituzionali dell’impresa non era da considerarsi meramente descrittivo (ai sensi dell’art. 21 CPI), in quanto esso suggeriva al consumatore l’esistenza di un legame commerciale strettissimo tra il produttore del prodotto (la licenziataria) ed il colosso mondiale titolare del brevetto del trattamento impiegato dalla licenziataria nel prodotto, se non addirittura una produzione diretta da parte di quest’ultimo, anche con possibili profili di discredito.
In sostanza, secondo la licenziataria, essa avrebbe diritto all’uso anche dei marchi istituzionali della licenziante, in virtù della necessaria indicazione di provenienza prevista dall’art. 20 co. 3 [1], secondo cui è vietato sopprimere il logo del produttore, pertanto, l’impiego del marchio oggetto di contestazione sul prodotto non era da considerarsi solo descrittivo, ma vieppiù necessario, proprio nel rispetto della disposizione di cui all’art. 20 co. 3 CPI.
Ma la Corte di Cassazione, cui la licenziataria ha promosso ricorso avverso le pronunce dei giudici di prime e seconde cure, con la sua decisione, ha confermato quanto chiarito nel merito, rilevando un fine meramente parassitario nell’uso del marchio istituzionale dell’impresa e stabilendo che l’unico marchio legittimamente indicabile sul prodotto dalla licenziataria è quello consentito dal produttore nel contratto, relativo al solo prodotto (trattamento), non anche quindi quello istituzionale dell’impresa che lo produce.
Stante ciò, può dedursi che il divieto di soppressione del logo del produttore di cui all’art. 20 co. 3 CPI non implica che la licenziataria possa utilizzare qualsiasi riferimento all’impresa licenziante (come il suo marchio istituzionale). La licenziante può ben decidere, con disposizione contrattuale, che la prima utilizzi solo ed esclusivamente il suo marchio di prodotto e non quello istituzionale; in tal caso, quanto stabilito dall’art. 20, secondo tale pronuncia della Cassazione, viene comunque rispettato.
[1] Art. 20 co. 3 Codice Proprietà industriale: Il commerciante può apporre il proprio marchio alle merci che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti o le merci.
Annalisa Spedicato
Avvocato, si occupa di diritto della Proprietà Industriale e Intellettuale, Diritto dei Nuovi Media, Dati Personali. Area legale “MACROS”