Tra un anno si aggiungerà ai marchi europei già esistenti una nuova tipologia di marchio.
Infatti, tra le nuove norme introdotte con il regolamento comunitario lo scorso marzo, ve ne è una, che entrerà in vigore tra poco meno di un anno (1 ottobre 2017), che prevede il così detto "marchio di certificazione".

Si tratta di un marchio che potrà registrare ogni soggetto che si prefigga come scopo quello di certificare prodotti o servizi. Si deve tuttavia trattare di un soggetto che non commercializzi direttamente gli stessi, ma si limiti ad appurare che il marchio sia apposto solamente su prodotti o servizi che soddisfino certi standard dettati, a seconda dei casi, dal materiale, dal procedimento di fabbricazione, dalla qualità, dalla precisione o da altre caratteristiche.

Le qualità che il marchio di certificazione deve garantire devono essere esplicitate nel regolamento d’uso, che dovrà accompagnare la domanda di registrazione.

Per coordinare questa nuova tipologia di marchio con il "marchio collettivo", il legislatore europeo ha previsto che, tra le caratteristiche che il "marchio di certificazione" potrà garantire, non vi è la provenienza geografica del prodotto o servizio.
È previsto inoltre che, non solo il depositante deve essere un soggetto che non commerci direttamente i prodotti o servizi contraddistinti, ma che tale caratteristica debba averla ogni eventuale successivo soggetto che volesse divenire titolare del marchio stesso a seguito di trasferimento.

In ragione del fatto che non è detto che tutte le legislazioni nazionali europee contemplino un istituto simile (per esempio, ad oggi, il "marchio di certificazione" non è previsto nella legislazione nazionale italiana), il regolamento prevede che la trasformazione di un marchio di certificazione, non potrà avvenire in quegli Stati europei che, tra le loro norme, non prevedono una figura equivalente.

L’intento del legislatore europeo è evidente: creare un marchio che possa essere atto a valorizzare caratteristiche di un prodotto o servizio che non derivino necessariamente dall’ubicazione geografica. Potrebbe essere il caso di prodotti realizzati con un materiale peculiare o sviluppati con un particolare procedimento o con specifica precisione. Per la valorizzazione di queste il legislatore stesso ha pensato ad un ente che si ponga al di sopra delle persone, fisiche o giuridiche, che possono concretamente utilizzare il marchio stesso, affinché costui svolga una suprema funzione di garanzia delle qualità promesse. - See more at: http://www.bugnion.it/marchi_det.php?m=Contributi&id=558&session_menu=Marchi,%20disegni%20e%20modelli#sthash.L8Ku5wB4.dpuf

Mai come in questo momento, in cui addirittura la stampa 3D consente di realizzare tutte le componenti di un edificio, la protezione del progetto, sia esso di industrial design come di architettura, assume un’importanza cruciale, per gli architetti come per i committenti, privati e pubblici.

Fondamentale sotto questo profilo è anzitutto la disciplina del diritto d’autore, che per il design è ammessa nel nostro Paese solo per le creazioni di più rilevante qualità, quelle considerate dalla critica capolavori del design o addirittura esposte nei musei, ma per le opere dell’architettura non incontra questo limite e richiede il solo requisito della creatività, e non anche quello del valore artistico. In entrambi i casi è importante tener presente che la protezione riguarda anche la riproduzione dell’opera, che l’autore ha il diritto di vietare, o di autorizzare solo dietro compenso.

Ed è chiaro che questa è una rilevante fonte di possibili introiti, anche nel campo dell’architettura, se solo si pensa, ad esempio, alla frequenza con cui opere famose dell’architettura contemporanea vengono usate come “sfondo” nelle pubblicità, con la funzione di “nobilitare” i prodotti pubblicizzati, così sfruttando (indebitamente, in mancanza di autorizzazione) i diritti del titolare.

Una seconda problematica importante riguarda la “ripresa” con varianti dell’opera dell’architettura o del design. Se l’opera sulla quale si interviene è ancora protetta (e questo è tutt’altro che improbabile, visto che il copyright dura sino alla scadenza del settantesimo anno successivo alla morte dell’autore), l’esclusiva riservata al suo titolare comprende anche le elaborazioni di essa, cioè le varianti che conservino comunque gli elementi espressivi dell’opera originaria. È invece sempre consentito trarre semplicemente “spunto” dalle opere preesistenti per realizzarne di nuove, che delle prime riprendano soltanto lo “stile”.

La categoria delle opere derivate non esiste invece rispetto al design registrato (e a quello non registrato, che però ha una protezione di durata solo triennale, mentre gli effetti della registrazione, se viene rinnovata di quinquennio in quinquennio, possono arrivare a venticinque anni complessivi), che è l’unica tutela esistente per le opere di industrial design dotate di carattere individuale, ma non anche di valore artistico: qui infatti tutto ciò che ha accesso alla tutela per definizione non rientra nell’esclusiva attribuita alle opere precedenti, perché lo stesso criterio che serve per stabilire se un’opera è proteggibile serve anche a stabilire se essa non viola i diritti altrui. Il criterio è infatti sempre quello dell’impressione generale: se la nuova opera produce un’impressione generale diversa da quella suscitata dalle opere preesistenti, essa in pari tempo è considerata meritevole di tutela ed è esclusa dall’ambito di protezione di tali opere anteriori. Ciò che è richiesto è tuttavia una differenza visibile e in grado di incidere sulle caratteristiche dominanti del modello: l’adozione di una nuova tecnica può dunque dare luogo ad una nuova opera protetta solo se è suscettibile di riverberarsi in modo significativo anche sul piano estetico.

Un terzo tema di grande importanza è rappresentato dal diritto morale d’autore, che nel caso delle opere dell’architettura è particolarmente importante sotto il profilo del c.d. diritto all’integrità dell’opera. Questo punto è certamente molto controverso, dal momento che la norma di riferimento (l’art. 20 legge sul diritto d’autore) vieta sotto questo profilo le modifiche che possano essere pregiudizievoli all’onore e alla reputazione dell’autore, intesa essenzialmente come reputazione artistica. Il tema – che ha formato oggetto di un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale di cui si è sentita l’eco anche fuori degli ambienti giuridici, in particolare in relazione alle interruzioni pubblicitarie dei film trasmesssi per televisione – si presta ovviamente ad un’ampia discrezionalità da parte del Giudice al quale la questione dovesse venire sottoposta. Peraltro l’art. 20, comma 2° legge sul diritto d’autore proprio con specifico riferimento alle opere dell’architettura prevede la facoltà per il committente di apportarvi le modifiche che “si rendessero necessarie”, intendendosi come tali quelle imposte da ragioni tecniche, giuridiche e – almeno secondo una parte della giurisprudenza – anche economiche. Si deve ancora aggiungere che l’art. 22, comma 2° legge sul diritto d’autore stabilisce che “l’autore che abbia conosciute ed accettate le modificazioni della propria opera non è più ammesso ad agire per impedirne l’esecuzione o per chiederne la soppressione”: questa norma è stata infatti letta da una parte della dottrina come fondata su un implicito riconoscimento da parte dell’autore della non lesività rispetto al proprio onore e alla propria reputazione delle modifiche approvate: e ciò potrebbe giustificare la conclusione che modifiche della stessa tipologia non possano a loro volta ritenersi tali.

Ma fuori di queste ipotesi la possibilità per l’autore di opporsi anche a modifiche di opere già realizzate che le stravolgano esiste: ed è un diritto su cui sarà importante fare una riflessione, che entro certi limiti può coinvolgere anche gli enti pubblici, a tutela della qualità architettonica delle nostre città.

 


 © 2017 - Avv. Cesare Galli
Prof. Ord. di Diritto Industriale, Università di Parma – Studio IP Law Galli, Milano