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4 gennaio 2023

Louboutin contro Amazon: la responsabilità per violazione dei diritti conferiti dal marchio UE del gestore di una piattaforma di vendita online che adotta un modello di business “ibrido”

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è recentemente pronunciata su un caso riguardante la questione della responsabilità degli intermediari nell’ambito dell’attività delle piattaforme online che utilizzano una strategia commerciale “ibrida” per la promozione e distribuzione di beni dei terzi ospitati dalla piattaforma, qualora tali beni risultino contraffattivi di marchi altrui.


Nella controversia giunta all’esame della Corte di Giustizia, in merito alla quale si è pronunciato con la sentenza del 22 dicembre 2022 (cause riunite C‑148/21 e C‑184/21), le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull'interpretazione dell'articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del Regolamento (UE) 2017/1001. Tale controversia è sorta tra il sig. Christian Louboutin, nella causa C‑148/21, contro Amazon Europe Core Sàrl, Amazon EU Sàrl e Amazon Services Europe Sàrl e, nella causa C-184/21, contro Amazon.com Inc. e Amazon Services LLC e ha ad oggetto il presunto utilizzo, da parte di Amazon, di segni identici al marchio dell'Unione Europea di titolarità del sig. Louboutin e senza il suo consenso, per prodotti identici a quelli per i quali questo marchio è registrato.

Come osservato nelle conclusioni del 2 giugno 2022 presentate dall’Avvocato Generale Maciej Szpunar, le costanti innovazioni nel settore di Internet, le cui esigenze di tutela hanno giustificato un’ampia protezione degli intermediari in tale ambito, hanno parimenti comportato una considerevole evoluzione del modello dei mercati online. Amazon, in particolare, non può essere considerata un marketplace tradizionale.

Infatti, Amazon è sia un noto distributore sia il gestore di un mercato online. Sul suo sito di vendite online Amazon pubblica sia annunci relativi ai propri prodotti, da essa venduti e spediti a suo nome, sia annunci di venditori terzi. Le sue modalità di funzionamento prevedono, inoltre, che la spedizione dei prodotti messi in vendita da terzi sulla piattaforma possa essere presa in carico da questi ultimi o da Amazon stessa, che stocca detti prodotti nei suoi centri di distribuzione e li invia agli acquirenti a partire dai propri locali.

Questi elementi, che fanno di detta società un modello "ibrido", creano un contesto di analisi nuovo della questione se il gestore di un tale mercato online possa essere considerato direttamente responsabile della violazione dei diritti dei titolari di un marchio commessa su una siffatta piattaforma in ragione dell’asserito uso, da parte sua, di detto marchio ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, del Regolamento n. 2017/1001, e sono alla base delle questioni pregiudiziali sottoposte nell’ambito delle cause in esame.

Tali cause offrono quindi alla Corte di Giustizia l’opportunità di precisare la nozione di "uso" e, in tal modo, i principi che devono governare la questione della responsabilità diretta degli intermediari online ove una violazione al diritto dei marchi sia compiuta sulle loro piattaforme.

Dal 2016, il signor Louboutin, designer francese di scarpe e borse di lusso, ha registrato il colore rosso, applicato alla suola di una scarpa con tacco alto, come marchio UE.

Amazon gestisce siti web per la vendita online di una varietà di prodotti che offre sia direttamente, a proprio nome e per proprio conto, sia indirettamente, fornendo un mercato online a venditori terzi. Questo operatore offre anche ai venditori di terze parti servizi di stoccaggio e spedizione aggiuntivi per i loro prodotti.

Il sig. Louboutin ha rilevato che, su tali siti Internet, compaiono regolarmente annunci di vendita di scarpe con suola rossa che, a suo avviso, si riferiscono a prodotti la cui messa in circolazione non era oggetto del suo consenso. Invocando una violazione dei diritti esclusivi conferiti dal marchio di cui trattasi, ha quindi promosso due ricorsi per contraffazione nei confronti di Amazon dinanzi al Tribunale distrettuale di Lussemburgo e al Tribunal de l'entreprise francophone de Bruxelles.

Ciascuno di questi tribunali ha deciso di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea diverse questioni pregiudiziali.

Tutte le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte nelle cause C‑148/21 e C‑184/21 concernono l’interpretazione della nozione di "uso" ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, del Regolamento n. 2017/1001.

I giudici del rinvio desiderano sapere, sostanzialmente, se l’articolo 9, paragrafo 2, del Regolamento (UE) 2017/1001 debba essere interpretato nel senso che occorre ritenere che il gestore di una piattaforma di vendite online usa un marchio in un’offerta di vendita pubblicata da un terzo su detta piattaforma quando, da una parte, pubblica in maniera uniforme sia le proprie offerte sia offerte di terzi senza distinguere nella loro visualizzazione in ragione della rispettiva origine e facendo comparire il proprio logo di noto distributore su detti annunci e, dall’altra, offre ai venditori terzi servizi complementari di stoccaggio e spedizione dei prodotti pubblicati sulla sua piattaforma, informando i potenziali acquirenti del fatto che si farà carico di tali attività. I giudici del rinvio chiedono inoltre alla Corte se la percezione di un internauta normalmente informato e ragionevolmente attento rilevi ai fini dell’interpretazione della nozione di «uso» ai sensi di detta disposizione.

La Corte di Giustizia UE, con la pronuncia in esame, fornisce importanti chiarimenti sulla questione della responsabilità diretta del gestore di un sito di vendita online integrato in un marketplace online per le violazioni dei diritti del titolare di un marchio dell'Unione europea derivanti dal fatto che un segno identico a questo marchio appaia negli annunci di venditori terzi su questo mercato.

Si ricorda che, ai sensi del Regolamento (UE) 2017/1001 sul marchio UE, la registrazione di un marchio UE conferisce al suo titolare il diritto di vietare a terzi l'uso, nella vita professionale, di un segno identico a tale marchio per beni o servizi identici a quelli per i quali è registrato.

La Corte osserva anzitutto che la nozione di "uso" non è definita dal regolamento sul marchio UE. Tuttavia, questa espressione implica, da un lato, un comportamento attivo e un controllo, diretto o indiretto, dell'atto che costituisce l'uso. Infatti, solo un terzo che detiene tale controllo è effettivamente in grado di far cessare l'uso di un marchio posto in essere senza il consenso del suo titolare.

L'uso di un segno identico o simile ad un marchio del titolare da parte di un terzo presuppone, invece, quanto meno che quest'ultimo utilizzi il segno nell'ambito della propria comunicazione commerciale. Un soggetto può quindi consentire ai suoi clienti di utilizzare segni identici o simili ai propri marchi, senza che lo stesso faccia uso di detti segni. In questo modo la Corte ha ritenuto che, nei confronti del gestore di un mercato online, l'uso di segni identici o simili ai propri marchi, nelle offerte di vendita pubblicate su tale mercato, sia attuato esclusivamente dai clienti venditori di questo operatore e non da quest'ultimo, poiché non utilizza tale segno nell'ambito della sua comunicazione commerciale.

La Corte osserva, tuttavia, che, nell'ambito della sua giurisprudenza precedente, non è stata messa in discussione la questione in relazione all'incidenza del fatto che il sito di vendita online includa, oltre al mercato online, offerte per la vendita del gestore stesso di questo sito, mentre le cause in esame dinanzi alla CGUE riguardano proprio tale impatto. 

La Corte rileva che tale questione si pone indipendentemente dal fatto che il ruolo di un siffatto operatore possa, se del caso, essere esaminato anche dal punto di vista di altre norme giuridiche, e che, sebbene la valutazione di un tale uso da parte dell'operatore sia in ultima analisi di competenza del giudice nazionale, può fornire elementi di interpretazione del diritto dell'Unione che possono essere utili al riguardo.

Così, nel caso di specie, i giudici del rinvio si chiedono se, oltre al venditore terzo, anche il gestore di un sito web di vendita online che integra un mercato online, come Amazon, che utilizza, nella propria comunicazione commerciale, un segno identico ad un marchio di un altro per prodotti identici a quelli per i quali tale marchio è registrato, possa essere ritenuto responsabile della violazione dei diritti del titolare di tale marchio.

Al riguardo, in materia di comunicazione commerciale, la Corte di Giustizia precisa che l'uso di un segno identico ad un marchio altrui da parte del gestore di un sito web che integra un mercato online nella propria attività di comunicazione presuppone che tale segno appaia, agli occhi del terzo come parte integrante della stessa e, quindi, rientrante nella sua attività.

La Corte ricorda che, nell'ipotesi in cui il prestatore di un servizio utilizzi un segno identico o simile ad un marchio altrui per promuovere prodotti che un suo cliente commercializza avvalendosi di tale servizio, tale prestatore di servizi utilizza egli stesso tale marchio segno quando lo usa in modo tale da stabilire un collegamento tra detto segno e i servizi forniti da detto prestatore di servizi.

Così, la Corte ha già statuito che un siffatto prestatore di servizi non utilizza esso stesso un segno identico o simile ad un marchio altrui quando il servizio da esso reso non è assimilabile ad un servizio volto a promuovere la commercializzazione di prodotti muniti di tale segno e non implica la creazione di un nesso tra questo servizio e detto segno, poiché il prestatore di servizi in questione non appare al consumatore, il che esclude qualsiasi associazione tra i suoi servizi e il segno in questione.

Per contro, la Corte ha stabilito che siffatto collegamento esiste quando il gestore di un mercato online effettua, con l'ausilio di un servizio di posizionamento su Internet e a partire da una parola chiave identica ad un marchio di un altro, pubblicità di prodotti di tale marchio offerti per vendita da parte dei suoi clienti sul suo mercato online. Infatti, tale pubblicità crea, per gli utenti di Internet che effettuano una ricerca basata su tale parola chiave, un'evidente associazione tra tali prodotti e la possibilità di acquistarli tramite tale mercato. È per questo motivo che il titolare di questo marchio è autorizzato a vietare a questo operatore tale uso,

La Corte ne deduce che, per determinare se il gestore di un sito di vendita online che integra un marketplace online utilizzi esso stesso un segno identico al marchio di un terzo, che compare negli annunci relativi a prodotti offerti da venditori terzi su tale mercato, occorre valutare se un utente ragionevolmente informato e ragionevolmente attento di questo sito web stabilisca un collegamento tra i servizi di tale operatore ed il segno in questione.

In tale ottica, al fine di valutare se un annuncio pubblicitario, pubblicato sul predetto marketplace da parte di un terzo venditore attivo su quest'ultimo, utilizzando un segno identico ad un marchio altrui possa essere considerato parte della comunicazione commerciale dell'operatore del suddetto sito web, occorre verificare se sia idoneo a stabilire un collegamento tra i servizi offerti da quest'ultimo e il segno in questione, in quanto un utente potrebbe ritenere che sia l'operatore a commercializzare, a suo nome e per proprio conto, il prodotto per il quale viene utilizzato il segno medesimo.

La Corte rileva che, nell'ambito di questa valutazione complessiva delle circostanze del caso di specie, rivestono particolare importanza il modo in cui gli annunci, sia singolarmente che nel loro insieme, sono presentati sul sito web in questione, nonché la natura e l'entità dei servizi forniti dall'operatore stesso.

Per quanto riguarda, da un lato, le modalità di presentazione degli annunci pubblicitari, il diritto dell'Unione richiede la visualizzazione trasparente degli annunci pubblicitari su Internet, in modo che un utente ragionevolmente informato e ragionevolmente attento possa facilmente distinguere le offerte del gestore del sito web da quelle quelli dei venditori terzi attivi sul marketplace online. Tuttavia, la Corte ritiene che l'utilizzo da parte dell'operatore di una modalità uniforme di presentazione delle offerte pubblicate, esponendo contestualmente annunci propri e di venditori terzi ed esponendo il proprio logo quale rinomato distributore sia sul proprio sito web sia su tutti pubblicità, è tale da rendere difficile tale distinzione e da dare quindi l'impressione che sia l'operatore a commercializzare, in nome e per proprio conto,

D'altro canto, la natura e l'entità dei servizi forniti dal gestore di un mercato online ai venditori, ed in particolare quelli consistenti nello stoccaggio, nella spedizione e nella gestione dei resi di detti prodotti, possono anche dare l'impressione, ad un utente informato e ragionevolmente attento, che tali prodotti siano commercializzati dall'operatore, creando un collegamento, agli occhi di tali utenti, tra questi servizi ed i segni che compaiono su questi prodotti e nelle inserzioni di venditori terzi. Tale utilizzatore potrebbe avere l'impressione che sia il suddetto operatore a commercializzare egli stesso, in nome e per conto proprio, i prodotti recanti il ​​suddetto segno. I fatti rilevanti al riguardo sono pertanto che tale operatore:

  • utilizzi una modalità uniforme di presentazione delle offerte pubblicate sul proprio sito web, visualizzando contestualmente gli annunci relativi ai prodotti che vende in proprio nome e per proprio conto e quelli relativi a prodotti offerti da terzi venditori su detto mercato,
  • mostri il proprio rinomato logo di distributore su tutti questi annunci pubblicitari,
  • offra a venditori terzi, nell'ambito della commercializzazione di prodotti contrassegnati dal segno in questione, servizi aggiuntivi consistenti in particolare nel deposito e nella spedizione di tali prodotti.

In effetti - conclude la Corte - dette circostanze possono rendere difficile fare una chiara distinzione e dare normalmente all'utente informato e ragionevolmente attento l'impressione che sia Amazon a commercializzare, in nome e per conto proprio, prodotti Louboutin offerti in vendita da terzi.