20 maggio 2014
Made in Italy: il marchio unico nazionale finalmente pronto al decollo?
Sabato 17 maggio, il Consorzio Conosci di Conflavoro – Confederazione piccole e medie imprese, associazione nazionale che raggruppa circa 35mila imprese italiane attive nei diversi settori del Made in Italy, è divenuto ufficialmente il soggetto gestore per l'assegnazione del Marchio Unico Nazionale e della Certificazione Volontaria di Conformità d'Origine e Tipicità Italiana.
Il presidente di Conflavoro, Roberto Capobianco, annuncia gli obiettivi del progetto:
Massima visibilità, recupero di buona parte del valore economico, circa 60 miliardi di euro, generato dalla contraffazione o clonazione di prodotti spacciati per italiani ed ancor più l'assunzione di un nuovo primato mondiale determinato dall'adozione di un Marchio Unico Nazionale commercialmente strategico per la conquista di ulteriori quote di mercato e per meglio approcciare e soddisfare le richieste dei diversi mercati mondiali.
Il progetto del marchio unico Made in Italy viene da lontano: nel 2004 Roberto Laurenzi, autore del progetto e ad oggi proprietario del marchio registrato, presenta al ministero dello Sviluppo economico un progetto teso allo sviluppo di iniziative per la costruzione di una politica economica industriale comune italiana. L'anno successivo il ministero dello Sviluppo economico, emanò i bandi “Industria 2015”, programma decennale mirante a stabilire le linee strategiche della politica industriale in modo moderno, integrando non solo la produzione manifatturiera ma anche i servizi avanzati e le nuove tecnologie.
Il progetto fu presentato nel 2011 e si classificò primo nell’ambito della valorizzazione del made in Italy e del riposizionamento dei prodotti italiani nei mercati stranieri. Venne anche assegnato un budget di 5 milioni di euro ma, come troppo spesso accade, il tutto è rimasto impantanato nei meandri della burocrazia per i successivi anni.
Ora l'assegnazione della gestione del progetto al Consorzio Conosci di Conflavoro potrebbe finalmente far decollare l'iniziativa che, nelle stesse stime del MISE, potrebbe portare ad un incremento nei primi 12 mesi del Pil nazionale tra lo 0,8 e l'1,5% per un totale di 300.000 nuovi posti di lavoro, mentre nel secondo anno dall’1,8 al 2,4% con 400.000 posti di lavoro, con l'effetto ulteriore di attrarre imprese straniere, incentivate a produrre in Italia per beneficiare degli effetti del marchio.
Esprime soddisfazione Roberto Laurenzi che ha dichiarato al sito Agricolae, portale per la promozione dell'agroalimentare italiano nel mondo:
Il marchio unico nazionale è stato registrato al fine di rimediare alla frammentazione produttiva e alla difficoltà in termini di approccio al mercato tipica italiana attraverso una strategia comune che potesse aggregare e che potesse rappresentare un elemento di convergenza e identificazione. Era previsto inoltre, da abbinare al marchio, un servizio di anticontraffazione con il quale quella parte di utenti che acquista inconsciamente prodotti falsificati avrebbe avuto possibilità di riconoscere immediatamente quello che è un prodotto italiano. Dato che il marchio fa la differenza anche in termini di posizionamento sugli scaffali. Se oggi si dovesse fare un calcolo brutale, emergerebbe che tutte le produzioni nazionali non riuscirebbero mai a far fronte alla richiesta mondiale: l’intento è quello di posizionare i prodotti italiani ai più alti target di mercato accedendo a un livello di remunerazione alto. Per fare questo occorre che la certificazione abbia valore in ambito nazionale ma anche internazionale e che possa garantire il consumatore finale e valorizzare le produzione italiane. Quindi prevedendo limiti molto stringenti: come quello del divieto di usare materie prime straniere nel caso siano già a disposizione in Italia. E prevedendo tra le altre cose che i dipendenti siano almeno per il 70 per cento italiani.