14 ottobre 2020

Cigni neri e cigni bianchi

Gli europei hanno creduto per secoli che tutti i cigni fossero bianchi finché non scoprirono che in Australia ce ne erano anche neri, seppur rari. Del resto già Giovenale (I-II secolo d. C.) lo citava in una similitudine: «[...] uccello raro sulla terra, quasi come un cigno nero» (rara avis in terris, nigroque simillima cygno).

Un singolo evento è sufficiente, quindi, a invalidare un convincimento frutto di un'esperienza millenaria. La storia si ripete ma a volte va per saltum: i ‘cigni neri’ sono appunto eventi rari, di grandissimo impatto e prevedibili solo a posteriori, come ci insegna Nassim Nicholas TALEB (Il cigno nero. Come l'improbabile governa la nostra vita, 2014): “il ‘cigno nero’  è un evento isolato, che non rientra nel campo delle normali aspettative, poiché niente nel passato può indicare in modo plausibile la sua possibilità”.

Questo spiega perché l’immagine nera è preferita nettamente a quella bianca, quando viene riprodotta l’immagine d un cigno in un marchio. Le aziende sanno, o più probabilmente intuiscono, che quando presentano al loro target un ‘cigno nero’ possono contare, in partenza, su un plus addizionale di attenzione. Il ‘cigno nero’ sorprende e va oltre le normali aspettative del consumatore, abituato all’immagine famigliare dei cigni bianchi che galleggiano nei laghetti della nostra infanzia.

A ciò si aggiunga che semanticamente il segno da sempre è simbolo di eleganza, raffinatezza, regalità che lo denota significativamente.

Basti pensare alla lunga tradizione del logo della SWAROVSKI, che lo ha anche tradotto in forma tridimensionale.

 

Questo segno, inoltre, è fortemente memorizzabile, se si riflette un attimo a come funziona la nostra memoria. Quando si riattivano i ricordi, questi non vengono semplicemente registrati, come se fossero stati fotografati, ma vengono selezionati, organizzati e incasellati nelle rappresentazioni della nostra mente, le immagini, cioè,  di una determinata situazione o fatto che ci creiamo richiamandoci alle nostre sensazioni, emozioni, ed  esperienze del nostro vissuto. Come arrivano al nostro cervello vengono classificate e sistemate in appositi scomparti.

 

Per chiarire, tutti abbiamo predefinita nella nostra mente l’immagine di un ‘cigno’ sicuramente bianco. Quando arriva un ‘cigno nero’, viene inserito nello scomparto generale dei ‘cigni’ dove avrà una sua collocazione speciale, data la  sua rarità. Da qui una forte attrattiva e distintività intrinseca del segno.

Lo strumento percettivo per rapportare il segno ‘cigno’ alla realtà è l’analogia, con cui si crea una connessione tra una nuova rappresentazione mentale e quella anteriore che abbiamo nella nostra mente (HOFSTADTER D. R., SANDER E., Analogy, 2018). Nelle circostanze questa analogia, permette al consumatore di specie di identificare e riconoscere il marchio nella sua funzione distintiva. Dal cigno, bianco o nero che sia, che evoluisce nello specchio d’acqua di Villa Borghese, mi connetto per analogia con tutte le mie rappresentazioni mentali in tema, incrementandone di volta in volta il relativo stock.

Se mi perdonate la divagazione scientifica, tutto questo mi è venuto in mente quando in occasione dell’ultimo Salone nautico di Genova è stato presentato il concept di un super yacht, denominato Avanguardia, che dichiaratamente è stato indicato come il progetto  di uno yacht pensato e realizzabile nelle forme di un ‘ cigno’, con lo scafo ed i ponti neri. Il geniale progetto, dovuto al noto designer Pierpaolo Lazzarini, ha suscitato grande interesse per la sua originalità tra gli addetti ai lavoro, la stampa quotidiana ed i giuristi, come vedremo subito.

Le immagini che seguono sono tratte dal concept. La prima mostra con tutta evidenza l’evocazione, e forse qualcosa di più, di un cigno:

La seconda, l’innovazione tecnologica apportata all’imbarcazione in cui la cabina di pilotaggio, con l’aiuto di un apposito braccio, viene portata a livello del mare per distaccarsi e operare auonomamente come il tender dello yacht.

Il manufatto solleva una serie di interrogativi giuridici che coinvolge diversi titoli della Proprietà intellettuale e che interessano lo scope of protection del marchio.

Innanzi tutto sorge spontanea la domanda: qual' è la forma di tutela ammissibile e più adeguata? Non c’è dubbio che ci troviamo di fronte ad un’opera creativa assolutamente originale, sia esteticamente che tecnicamente. La prima normativa che ci viene in mente è, dunque, il Diritto d’autore (DA), del quale sussiste la condizione di ammissibilità: la riferibilità dell’opera ad un autore determinato.

Nelle circostanze, non è dubbio che lo yacht Avanguardia porta inequivocabilmente la firma del suo autore, anche se uno può dimenticarne il nome. Va del resto detto che si tratta di un esemplare unico, dl costo stimato di 500 milioni $, molto probabilmente non replicabile. Nell’ambito del DA si è posto, tuttavia, il quesito se questa disciplina  sia applicabile al lay-out di una imbarcazione. Allo stato, può ritenersi dalla giurisprudenza di merito (Tribunale Venezia, RG 2236/2018; Tribunale Genova, ordinanza 27/06/2018) che emerga, in una visione oggi allargata del concetto di architettura, una tendenza affermativa, sia per la forma esterna che per l’arredamento degli interni. Del resto non si vede perché la conclusione dovrebbe essere diversa visto il riconoscimento della tutelablità del concept e del lay-out degli esercizi commerciali operato, tra l’altro, dalla Cassazione nel caso KIKO.

Sempre nel contesto della normativa del DA credo sia anche da prendere in considerazione la protezione del design, quando presenti ‘valore artistico’. Si è già detto della straordinaria originalità estetica e tecnica del progetto e non vedo preclusione alcuna all’applicazione del DA alla più disparata varietà di oggetti e manufatti industrialmente riproducibili. E pur vero che le connotazione dello yacht in esame sembrerebbero escludere questa prospettiva, ma teoricamente non è da escludere che il carattere individuale del design sia replicabile. Mi pare, infatti, che quella forma onestamente possa assumere la denotazione di una e vera scultura e quindi accreditarsi di un valore artistico.

Più critica, invece, l’applicazione del diritto di marchio. Si tratterebbe di un marchio di forma e quindi entrerebbe in gioco l’art. 9 CPI con i suoi divieti e limitazioni. La norma – ricordo – non consente la registrazione di un marchio se il prodotto consiste esclusivamente di una forma, o di una sua caratteristica,  naturale o standard necessitata, o di una forma che si esaurisce in una funzione tecnica, o se aggiunge al prodotto un valore sostanziale. Esclusa la forma naturale (che non va confusa con quella dell’animale ‘cigno’) o standard, “occorre verificare in concreto se l’estetica delle scelte progettuali sia del tutto avulsa dalla scopo tecnico che quelle stesse scelte perseguono”, come è stato osservato . E questo non mi pare sia il caso della caratteristica del braccio che converte la cabina di governo nel tender dello yacht  (che figura nella seconda immagine) che assolve del tutto alla funzione tecnica.

Anche la ultima situazione, quella del valore sostanziale, sembra giustificare appieno il comportamento di un possibile acquirente che sarà determinato definitivamente dall’aspetto così particolare dello yacht e dalla sua innovazione tecnica. In breve, non mi pare che la via del design sia percorribile.

A ben guardare, poi, le tre fattispecie previste dall’art. 9 CPI si risolvono nella perdita della capacità distintiva del marchio. Ma come può parlarsi di distintività quando non è realisticamente pensabile un mercato in cui quello yacht nasce ed è destinato a restare un unicum?

Mi auguro che il concept possa tradursi in realtà e che le mie notazioni non si esauriscono in un esercizietto fine a sé stesso, ma c’è un aspetto della questione che emerge dal caso in esame, davvero emblematico, e che mi preme sottolineare.

Le cose non sono mai come le vediamo, ma come le percepiamo. E questo lo si sa. Nella percezione le cose non sono ferme, immobili e stabili ma vivono di una vita propria, anche se non ce ne diamo conto. E’ il fenomeno che Rudolf ARNHEIM (Arte e percezione visiva, 2004) il celebre gestaltista, ha studiato e descritto come tensioni guidate.

Nella figura a) predomina l’effetto della centralità del punto rosso. Nella figura b) il punto rosso tende a gravitare verso l’angolo N-E. La figura c) evidenzia la posizione del punto rosso che verrà effettivamente percepita e memorizzata, a distanza di spazio e di tempo, e che risulta dalla combinazione della tensione esercitata dal punto a) + b). Nella percezione il punto si avvicinerà al confine del quadrato, ma risulterà abbassato all’altezza del punto centrale che esercita la sua attrazione.

Questa situazione non è priva di conseguenze giuridiche quanto all’ambito e ai confini di protezione dei diritti di Proprietà intellettuale. Per restare esemplificativamente nel diritto di marchio, ho sempre sottolineato che il marchio è un processo, un processo vitale qualificato dalla sua intrinseca mobilità, plasticità e dinamicità: nasce, vive, cresce, si modifica, decade e si estingue.  La normativa lo riconosce attraverso diversi istituti che registrano l’impatto del tempo sul segno: la volgarizzazione, il secondary meaning, la decadenza, la convalidazione, il rinnovo, l’annullamento. La dottrina, anche MANSANI L., (La capacità distintiva come concetto dinamico, 2007).

Anche nel diritto d’autore le opere letterarie vivono ovviamente, di una loro vita, se non altro per la continua interlocuzione tra autore e lettore che ne modifica il contenuto in continuum (ECO U., Saggio sugli specchi,1985). Analogamente accade nei brevetti dove l’invenzione è costantemente sottoposta alla possibilità di cambiamenti e diversità di applicazioni.

Alcuni esempi tratti dalla giurisprudenza possono chiarire questi concetti. Questa immagine

(ma già c’era il precedente storico di SABEL PUMA) è stata riconosciuta proteggibile come marchio figurativo e correttamente confondibile con altra immagine in posizione invertita. Ma il punto è un altro: l’immagine coglie un movimento incompiuto del balzo della belva che include la postura dell’animale in riposo e quella dell’aggressione alla preda. C’è una attesa sospesa, un’azione in essere. Il marchio ci dice quello che vediamo, un momento intermedio di un processo che ha un suo punto di partenza ed un suo terminale, ma non ci dice quello che intuitivamente percepiamo e che entra però nell’ambito di protezione del marchio, data la rilevanza determinante del ruolo della percezione del consumatore riconosciuto espressamente dalla giurisprudenza comunitaria. In altre parole avremmo comunque contraffazione se venisse rappresentato un leone che in pausa sbadiglia o che sta divorando una gazzella.

La stessa logica è sottesa alla c.d. teoria del completamento amodale (KANIZSA G, Grammatica del vedere, 1980) secondo la quale nella percezione noi vediamo le parti degli oggetti che restano occluse alla visione. Nel famoso panda del WWF l’immagine non ha contorni definiti ma noi possiamo ricostruire le parti mancanti nelle nostre rappresentazioni mentali dove già albergano le immagini del panda . L’orsetto che ci guarda curioso è in attesa di qualcosa, è vigile, si muove e la sua immagine si completa senza difficoltà, e come tale è inclusa nell’area della protezione legale.

Torniamo, per finire, al nostro super yacht. La sua forma include ed enfatizza il movimento nella proposta operatività dell’innovazione tecnologica. Un meccanismo trasforma la cabina di governo nel suo tender. La funzione tecnica e l’apparenza estetica si incorporano nell’idea della rappresentazione di un cigno che scivola sull’acqua. Realtà e finzione si fondono. L’impressione globale dell’osservatore si espande nel movimento previsto della funzione tecnica. In posizione di riposo, il ‘cigno’ rimanda alla sua dinamicità e mobilità.

Resta solo da trarne le conclusioni e se, giuridicamente parlando, l’investimento di 500 milioni di dollari sia del tutto sicuro.

 


@2020 - Prof. Avv. Stefano Sandri