13 novembre 2020

Cosa c’entra Sant’Agostino con la Proprietà Intellettuale?

Aurelio Agostino d'Ippona (in latino: Aurelius Augustinus Hipponensis; Tagaste, 13 novembre 354 - Ippona, 28 agosto 430) è stato un filosofo, vescovo e teologo romano di origine nordafricana e lingua latina.

Conosciuto come Sant'Agostino, è Padre, dottore e santo della Chiesa cattolica, il maggiore rappresentante della Patristica, ed è stato definito «il massimo pensatore cristiano del primo millennio e certamente anche uno dei più grandi geni dell'umanità in assoluto». Così leggiamo in Wikipedia, l’enciclopedia dei nostri tempi.

La domanda, dunque, suona provocatoria, ed in effetti lo è. Il fatto resta che Sant’Agostino e la sua opera più celebre, Le confessioni, sono tra i più citati in filosofia, teologia, letteratura e varie scienze cognitive per l’acutezza e l’attualità del pensiero e la chiarezza della sua espressione. Io stesso, quando si è trattato di definire le emozioni, ne ho ripreso quella che sembra una battuta di Oscar Wilde: “Tutti sappiamo cosa sono le emozioni, ma non chiedetemi di descriverle.”

L’opera di Sant’Agostino è però immensa per cui ho la sensazione che quelle citazioni lascino del tutto impregiudicato il senso di tutto quello che c’è dietro. Voglio dire cioè che – per restare ai giorni nostri – la situazione sia quella di chi vuol far credere di conoscere ed aver letto un’opera celebre senza averlo fatto. La storiella del potere evocativo del profumo delle merendine di Proust la ritroviamo in continuazione, anche in Internet, ma chi può dire di aver veramente letto per intero la ponderosa opera della Recherche? E per restare nell’attualità e la melanconica decadenza della cultura nel nostro Paese, non vorrei che Gigi Proietti finisse per essere ricordato per alcune barzellette - senza nulla toglier loro al valore artistico delle loro messe in scena - e non per le sue straordinarie interpretazioni del Coriolano e Giulio Cesare di William Shakespeare.

Per tornare alle Confessioni, mi sono concesso recentemente (corona-virus permettendolo) il lusso mentale di colmare quella che ho considerato una vergognosa lacuna, prendendomi il carico di una loro attenta lettura. Uso a ragion veduta il termine carico, perché l’opera – per chi non è addetto ai lavori, come i curati o i teologi – non è assolutamente digeribile per un comune mortale, per cui assolvo il lettore da qualsiasi senso di colpa se ancora non le avesse lette. Onestamente, chi può dire di avere una conoscenza men che superficiale della dottrina, terribilmente complicata, e del ruolo avuto dal Santo in quei tempi lontani? Un santo, un filosofo, un dotto e lì mi fermerei, salvo intese, come usano dire i nostri governanti.

Ma, e qui sta la grandezza del genio, tra la teoretica dottrinale e il travagliato percorso della sua conversione, Sant’Agostino fa emergere, qua e là, le sue osservazioni e interpretazioni della realtà, che è sempre la stessa, e non solo quella contingente, storicamente limitata, del suo tempo. Lascia i panni del teologo e prende quelli dell’uomo della strada, con un cambiamento stupefacente di ruolo e di linguaggio.

Memorabili in tal senso sono l’analisi psicologica della violenza di gruppo e della noia esistenziale dei giovani (Libro I, Un furto di pere) dello smarrimento dell’uomo di fronte alla morte (Libro IX, A Ostia durante il ritorno in Africa), resi con una visione premonitrice sconcertante. A un certo punto, proseguendo nella lettura mi sono imbattuto nel capitolo sulla memoria (Libro X) e l’analisi delle sue funzionalità, e su questo vorrei trattenere la vostra attenzione.

Due volte ho incontrato nel testo, incuriosito, il termine rappresentazione. Va dunque chiarito preliminarmente cosa s’intende oggi per rappresentazione mentale e quali sono i suoi legami con le forme oggetto della Proprietà Intellettuale per verificare se la sua presenza nelle Confessioni sia casuale o, invece, voluto e pertinente.

Il problema, infatti, è tutt’altro che teorico.

L’ordinamento giuridico, non solo il nostro, attribuisce alle forme meritevoli di tutela (intese come il risultato dell’integrazione delle informazioni sensoriali all’immediata comparsa dell’oggetto) il potere esclusivo di sfruttamento economico. Devono essere, in parole più semplici, distintive. Se così è, la loro riproduzione non è consentita; nel caso contrario è illecita. Come si capisce, la risposta al dubbio non è di poco conto.

Si pone dunque il problema dell’identità delle forme, senza della quale il loro riconoscimento da parte dei pubblici interessati e la comparazione con altre forme non sarebbe possibile. Ma la domanda, a questo punto, è: il pubblico cosa vede, come sente, cosa ascolta, cosa tocca di quell’oggetto tutelato dalla P.I.? In sintesi, come percepisce la forma considerata e perviene all’identificazione della sua identità.

Il fatto è che - allo stato attuale delle conoscenze - tutto avviene dentro di noi, nel nostro cervello che non fotografa la realtà del mondo esterno ma la converte in una rappresentazione mentale: l’immagine cioè che un individuo si crea di una determinata situazione richiamandosi alle sensazioni e alla memoria. Queste immagini affluiscono continuativamente nel nostro cervello; si crea in tal modo una connessione tra una nuova rappresentazione mentale e una anteriore che già si trova depositata. Lo strumento cognitivo per rapportare l’immagine alla realtà è l’analogia che permette al ricettore della forma di identificarla e riconoscerla nella sua funzione distintiva.

Ciò ricordato, vediamo ora cosa scrive Sant’Agostino, (Libro X, La memoria) partendo naturalmente dalla memoria in cui le nostre rappresentazioni mentali vanno a depositarsi per essere richiamate al momento opportuno.

Giungo allora ai campi e vasti quartieri della memoria”:

  • la memoria copre, innanzi tutto, i più diversi campi, ma già il riferimento ai quartieri lascia presagire la loro organizzazione in aree delimitate.

“...dove riposano i tesori delle innumerevoli immagini di ogni sorta di cose”:

  • sono dunque le immagini, che noi creiamo, quelle che costituiscono i contenuti, i tesori, della memoria, introducendo Sant’Agostino la prospettiva metodologica dell’introspezione.

“...introdotte dalle percezioni”:

  • le cose non sono mai come le vediamo, ma come le percepiamo. Sant’Agostino intuisce che la realtà esterna viene introdotta nella nostra mente, attraverso la sua conversione nella rappresentazione delle immagini, così come la percepiamo con i nostri sensi.

“...dove pure sono depositati tutti i prodotti del nostro pensiero, ottenuti amplificando, riducendo o comunque alterando le percezioni dei sensi”:

  • nello store (deposito) finiscono anche i prodotti del nostro pensiero che risultano dalla elaborazione della nostra mente. Le rappresentazioni, infatti, sono soggette a continue modificazioni imposte dalle amplificazioni, riduzioni o alterazioni delle nostre percezioni. Basti pensare alle illusioni ottiche o alle riduzioni delle tracce mnestiche nel corso del tempo subite dai nostri ricordi. Ma quello che colpisce è la visione qui sottesa di una concezione della mente e della struttura del cervello in tutta il suo dinamismo e plasticità che le evidenze delle neuro scienze porranno in evidenza. Possiamo dire oggi che la memoria non è un organo passivo di mera registrazione, ma una struttura complessa che interagisce con altre rilevanti funzioni (basti pensare al ruolo dei sentimenti) che costruisce e ricostruisce in continuum immagini, esperienze e ricordi.

“...e tutto ciò che vi fu messo al riparo e in disparte e che l’oblio non ha ancora inghiottito e sepolto”:

  • ancora una volta non può non stupire l’osservazione della funzione della memoria di garanzia e protezione (al riparo). del nostro passato, attraverso la selezione utilitaristica di quello che serve ricordare da quello che è meglio dimenticare perché superfluo, inessenziale e inutile alla sopravvivenza ella nostra condizione umana (e qui affiora il filosofo). Non dimenticando che questo impoverimento può essere inconsapevole, da noi diretto come nel caso della rimozione freudiana, ma anche l’effetto di una forza incontrollabile che può inghiottirci e seppellirci, l’oblio.

“Quando son là dentro, evoco tutte le immagini che voglio...lì si dispongono per specie...vanno a riporsi ove staranno a riporsi...per richiamarle e rivederle all’occorrenza”:

  • La capacità di assorbimento delle informazioni da parte della memoria non è infinita, come appena visto. Il nostro cervello si difende e organizza - osserva acutamente il Nostro - utilizzando lo strumento delle categorie, secondo generi, classi, tipi, specie - gerarchicamente sistemate come farà più tardi Linneus per il mondo animale - grazie alle quali le informazioni e le immagini rappresentate vengono riposte in appositi scomparti, in modo tale da essere richiamate e riviste all’occorrenza. Una evocazione, anzi ri-evocazione che anticipa la recall dei contenuti dei file identificati tramite keywords nei computer: una sconvolgente, inconsapevole preveggenza del Santo.

“Dalla stessa copiosa riserva traggo via via sempre nuovi raffronti tra le cose sperimentate o udite sulla scorta dell’esperienza credute, non solo collegandole al passato, ma intessendo sopra di esse anche azioni, eventi e speranze future, e sempre a tutte pensando come cose presenti”:

  • Per finire, il Santo ancora una volta umilmente si fa uomo e dalla somma teologia passa alla concretezza dei nuovi raffronti tra le cose sperimentate e le esperienze credute, alle cose presenti. La memoria come anticamera del fare. Si comprende poi, dalle espressioni riferite, che per Sant’Agostino il tempo non esiste, se non nella successione tra il passato, il presente ed il futuro, chiave interpretativa della patologia di tutti gli istituti della Proprietà Intellettuale.

E così il cerchio si chiude, partendo dalle rappresentazioni mentali che alimentano la nostra memoria per arrivare alla comparazione tra le forme e le identità, operando per collegamenti, associazioni e analogie, problema centrale della Proprietà Intellettuale.

Si scioglie in tal modo la riserva implicita nell’interrogativo iniziale.

N.B.: Correva l’anno 400 D.C., quando Sant’Agostino scriveva le sue Confessioni.


@2020 - Prof. Avv. Stefano Sandri