• Marchi registrati

13 marzo 2012

Tribunale Bologna 13/03/2012 [Marchio - Contraffazione - Requisiti per l'applicazione]

SENTENZA

Nei confronti di:

X.Y.

nato il (...) z. (C.)

Contumace

IMPUTATO

del delitto p. e p. dagli artt. 81, 517, 474, 648 c.p. per aver detenuto per vendere ovvero posto in vendita n. 94 capi di abbigliamento con marchio contraffatto "Didle, Topolino e Superman". Accertato in Bologna il 10.01.2007

In esito all'odierna udienza, sentiti:

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Con decreto di citazione a giudizio del 06/07/10 il P.M. in sede ha esercitato l'azione penale nei confronti di X.Y., contestandogli i reati ex artt. 81, 517, 474 e 648 c.p., in epigrafe descritti.

All'odierna udienza, all'esito dell'istruttoria dibattimentale connotata dall'assunzione di prova testimoniale e riproduzione fotografica di campione della merce in sequestro, le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni, in atti riportate.

Ritiene il giudicante che l'imputato debba essere mandato assolt dai reati a lui ascritti, per insussistenza del fatto.

Invero, il teste G.G., in servizio presso il II Gruppo della G.d.F. di Bologna, ha riferito che in data 10/01/07 procedette, unitamente ad altri colleghi, al controllo dell'esercizio commerciale sito in Bologna, via Ferrarese e gestito da X.Y., esercente l'attività di vendita dì abbigliamento. Sul posto rinvennero vari capi di abbigliamento e, precisamente, 39 felpe recanti stampa del marchio "Di- dle", 42 giubbotti recanti stampa "Topolino" e 13 giubbotti recanti la stampa del marchio "Superman", tutti ritenuti contraffatti, perché non accompagnati dal tagliando olografico o dagli altri segni, quali le targhette riportanti per l'appunto, il marchio, che normalmente sono apposti sui capi originali.

Orbene, dai rilievi fotografici eseguiti a campione emerge che i tre gruppi di indumenti sono caratterizzati tutti dalla sola rappresentazione grafica di personaggi (quanto alla "Didle") o stilemi (quanto a "Superman" e "Topolino") dei marchi sopra indicati. Tuttavia, le targhette che valgono ad individuare la provenienza della merce riportano chiaramente i nomi delle ditte verosimilmente cinesi che avevano fabbricato i capi stessi. Addirittura, sul profilo che richiama i tratti del personaggio "Topolino" è stampato il nome della ditta produttrice. Anche i bottoni dei giubbotti, lungi dal richiamare i marchi di cui trattasi, sono stampati con la dicitura delle ditte o, comunque, rimandano a tutt'altra semantica.

Se così è, deve escludersi, in primo luogo, la configurabilità del reato ex art. 474 c.p.: invero, come precisato dalla S.C., il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi previsto dall'art. 474 c.p. non può avere ad oggetto beni che costituiscono una mera imitazione figurativa di prodotti industriali, senza alcun marchio o altro segno distintivo della merce che risulti abusivamente riprodotto ovvero falsificato (Cass. 26/04/01, n. 26754, che tale principio ha affermato in relazione alla vendita di pupazzi riproducenti i personaggi della serie Pokemon, Sansone, Scooby-doo e Winnie The Pooh, privi di qualsiasi marchio riferibile ai licenziatari autorizzati alla produzione e distribuzione; cfr. anche Cass. 19/05/06, n. 28159). In tal senso, i disegni ed i simboli stampati o apposti sui capi di abbigliamento in sequestro rappresentano una mera imitazione di quelli originali, peraltro percepibile ictu oculi, in quanto non solo priva di tutti gli accorgimenti tecnici adottati dalle case madri (tagliandi, ologrammi, etichette con marchio), ma anzi dichiaratamente prodotti da altre ditte.

Sicché, fermo restando l'eventuale illecito civile (sub specie, ad es., di concorrenza sleale), il fatto, come emerso all'esito del dibattimento, non integra il reato ex art. 474 c.p..

Esclusa la configurabilità di detto reato, viene inevitabilmente meno anche l'elemento materiale del reato di ricettazione, pure contestato (per il vero implicitamente) in relazione all'acquisto o ricezione dei capi con marchi contraffatti.

Infine, le considerazioni che precedono inducono ad escludere anche la sussistenza del reato ex art. 517 c.p. (per il quale sarebbe sufficiente anche la semplice imitazione del marchio o segno distintivo, nemmeno necessariamente registrato, avendo il reato ad oggetto la tutela dell'ordine economico): infatti, come pure chiarito dalla S.C., l'imitazione del marchio o segno distintivo, ai fini della integrazione del reato in questione, deve pure sempre essere idonea a trarre in inganno l'acquirente (Cass. 30/04/09, n. 23819: Cass. n. 4534/88). Per contro, le descritte modalità esteriori dei capi di abbigliamento, dichiaratamente prodotti da ditte diverse da quelle titolari dei marchi figurativi, induce palesemente ad escludere l'attitudine del marchio o segno distintivo "imitato" a trarre in inganno il consumatore, il quale, anzi, proprio attraverso le etichette apposte è posto in grado di comprendere agevolmente l'assenza di genuinità del prodotto acquistato.

Per l'effetto, per quanto sin qui esposto e come concordemente richiesto dalle parti, l'imputato deve essere mandato assolto dai reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste. Segue, ai sensi dell'art. 263 c.p.p., la restituzione di quanto in sequestro in favore dell'imputato.

 

P.Q.M.

 

visto l'art. 530 c.p.p., assolve X.Y. dai reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste.

Visto l'art. 263 c.p.p., dispone la restituzione di quanto in sequestro in favore dell'imputato.

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