25 luglio 2011
Corte d’Appello Perugia 25/07/2011 [Marchio - Contraffazione - C.d. contraffazione grossolana - C.d. prezzo vile]
SENTENZA
Pubblicata mediante lettura del dispositivo
Nella causa
Contro
Au.Fe., nato (...), residente in Sinalunga, Via (...) ed ivi elettivamente domiciliato
- libero -
Imputato
del delitto p. e p. dall'art. 474 c.p. perché deteneva e poneva in vendita 42 occhiali e 66 flaconi di profumo recanti i marchi contraffatti; in particolare deteneva e poneva in vendita i seguenti occhiali:
(…)
Appellante
l'imputato, avverso la sentenza emessa in data 27.6.2007 dal Giudice monocratico del Tribunale di Perugia, con la quale fu dichiarato colpevole del delitto a lui ascritto e fu condannato alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali. Fu concesso l'indulto di cui alla legge 241/06 sulla intera pena. Fu ordinata la pubblicazione della sentenza, per una sola volta e a spese dell'imputato, sul quotidiano La Nazione di Firenze. Fu disposta la confisca e la distruzione di quanto in sequestro. Fu condannato al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita Or. S.A., demandando la relativa liquidazione alla separata sede civile.
Venne concessa in favore della parte civile una provvisionale pari ad Euro 1.500,00, oltre che alla rifusione delle spese di costituzione e difesa in favore della costituita parte civile, liquidate in Euro 1.800,00 a titolo di onorario ed Euro 200,00 a titolo di spese, oltre rimborso forfettario, I.V.A. e C.A.P. come per legge.
Con costituzione di Parte Civile:
- Or. S.A., con sede a Parigi (Francia), 14, Rue (...), in persona del legale rappresentante Sig. Jo.Mo., nato (...), elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Da.Za. del foro di Perugia, in Via (...), che la rappresenta e difende in forza di procura speciale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza emessa il 26/6/2007 il Tribunale di Perugia (in composizione monocratica) riteneva Au.Fe. responsabile della violazione dell'art. 474 c.p. avendo detenuto per la vendita n. 42 occhiali e n. 66 flaconi di profumo recanti marchi contraffatti (come dall'elencazione di cui al capo di imputazione).
Accadimento accertato in Perugia il (...).
Il giudice di primo grado escludeva la possibilità di concedere all'imputato le attenuanti generiche, alla luce dei precedenti penali specifici, e lo condannava alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa, oltre alla pena accessoria della pubblicazione della sentenza sul quotidiano "La." di Firenze, dichiarando la pena interamente condonata.
Con la medesima sentenza il Tribunale condannava l'Au. al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile "Or. S.A." di Parigi, da liquidarsi in separato giudizio civile, assegnando una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad Euro 1.500,00. Il giudice di primo grado riteneva provata la responsabilità dell'Au. alla luce della testimonianza di uno dei militari della Guardia di Finanza che lo avevano sorpreso nell'ambito delle "Fi." di Perugia, nel mente esponeva su di un banchetto la propria merce costituita da occhiali e flaconi di profumi i cui loghi e marchi prestigiosi avevano destato immediato sospetto, avuto riguardo alle apparenti anomale modalità di confezionamento, non presentando neppure le custodie. In qual frangente l'Au. era risultato anche privo di documenti e di partita I.V.A. oltre che privo delle fatture di acquisto della merce che poneva in vendita.
La contraffazione dei marchi dei prodotti emergeva inoltre dai risultati di accertamenti tecnici fatti eseguire nel corso del indagini ed acquisite agli atti.
Nel corso del giudizio la parte civile era stata inoltre autorizzata a far fotografare alcuni flaconi di profumo sequestrati. Le immagini erano state inviate alla casa produttrice che aveva confermato il giudizio di contraffazione, essendo risultato come il liquido contenuto nei flaconi di profumo in sequestro, denominato "Ac.", presentava una colorazione diversa rispetto a quella propria del profumo originale.
Avverso detta sentenza veniva proposto appello nell'interesse dell'imputato prospettandosi due censure alla sentenza di primo grado.
In primo luogo si rilevava come il Tribunale non avesse tenuto nella debita considerazione la grossolanità della falsificazione dei marchi degli oggetti sequestrati, che non erano quindi idonei a creare confusione nei potenziali acquirenti rispetto ai segni distintivi originali, avuto riguardo alle macroscopiche differenze tra i prodotti sequestrati e gli originali, che i militari intervenuti erano stati immediatamente in grado di cogliere e che erano state confermate dagli accertamenti tecnici disposti. Situazione che doveva comportare l'assoluzione dell'imputato in quanto il fatto contestato non costituiva reato, o con altra formula liberatoria. In subordine si evidenziava l'eccessività del trattamento sanzionatorio.
In data odierna la Corte prendeva atto della regolarità della notifica del decreto di citazione a giudizio nei confronti dell'imputato e della sua presenza.
Dopo di che le parti processuali rassegnavano le loro rispettive conclusioni: il Procuratore Generale e la Parte Civile Or. s.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedevano la conferma della sentenza di primo grado; nell'interesse di Au.Fe. ci si riportava ai motivi di gravame, chiedendone l'accoglimento.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene la Corte come l'appello proposto nell'interesse di Au.Fe. sia infondato e vada pertanto rigettato, con conseguente conferma della sentenza emessa dal Tribunale di Perugia. Nel caso di specie perfettamente sussistente deve ritenersi il reato contestato. Secondo la costante giurisprudenza del S.C. infatti "integra il delitto di cui all'art. 474 c.p. (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi), la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto; né, a tal fine, ha rilievo la configurabilità della cosiddetta contraffazione grossolana, considerato che l'art. 474 c.p. tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell'acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell'ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell'inganno e nemmeno ricorre l'ipotesi del reato impossibile, qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno" (confr. cass. n. 31451/2006). Ed ancora "il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi tutela in via principale e diretta non l'acquirente, bensì la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi, che individuano le opere dell'ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione; pertanto, ai fini della valutazione della grossolanità della falsificazione, l'attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione deve essere apprezzata non con riferimento al momento dell'acquisto, bensì in relazione alla visione degli oggetti nella loro successiva utilizzazione da parte di un numero indistinto di soggetti" (confr. cass. n. 333324/2008). Si veda sul punto anche cass. n. 45545/2005.
Giurisprudenza alla luce della quale neppure il mero prezzo "vile" costituisce, quindi, circostanza di per se idonea ad escludere il reato contestato.
In definitiva il reato di falso deve ritenersi sussistente non occorrendo per il suo perfezionamento l'avere tratto in inganno il singolo acquirente, dovendosi concordare con le conclusioni sul punto espresse dal giudice di primo grado. Ed infatti anche se l'acquirente non viene tratto in inganno, essendo consapevole della contraffazione di quanto ha acquistato, sussiste tuttavia il rischio, per effetto della circolazione dei beni muniti di segni distintivi contraffatti, di trarre in inganno la generalità dei consociati, portati a credere, vedendo fare sfoggio dell'oggetto con un preciso logo impresso, che si tratti di un modello autentico (di qui la lesione del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice).
Il primo motivo di appello deve quindi essere rigettato.
Quanto al secondo motivo di gravame, attinente le censure mosse in ordine alla determinazione della pena, rileva la Corte come il trattamento sanzionatorio non appaia in alcun modo eccessivo, avuto riguardo alla complessiva condotta dell'imputato, al numero degli oggetti di cui era entrato in possesso e alle sue connotazioni soggettive. Au.Fe. è infatti soggetto gravato da precedenti penali, anche specifici, che lo connotano come un soggetto dedito stabilmente all'attività criminosa.
Anche il secondo motivo di appello deve essere quindi respinto
La sentenza appellata deve essere quindi confermata, con conseguente condanna di Au.Fe. al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio, nonché di quelle di difesa della parte civile Or. s.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, che si liquidano in complessivi Euro 1.000,00 oltre C.N.A., I.V.A. oltre ad accessori di legge.
P.Q.M.
Visti gli artt. 605 e 592 c.p.p.,
conferma la sentenza emessa dal Tribunale di Perugia in composizione monocratica in data 27.6.2007 nei confronti di Au.Fe. e dallo stesso appellata, e condanna l'appellante al pagamento delle spese del grado, nonché di quelle di difesa della parte civile che liquida in complessivi Euro 1.000,00 oltre CNA, IVA e rimborso forfetario come per legge. Assegna il termine di giorni 90 per il deposito della motivazione della sentenza.
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