• Disegni e modelli

21 luglio 2022

Tribunale Ancona 21/07/2022 [Disegni e modelli - Contraffazione - Settore dell'arredamento - Concorrenza sleale - Risarcimento del danno - Rapporto di concorrenzialità tra soggetti che esercitino contemporaneamente un'attività industriale o commerciale]

Disegni e modelli - Contraffazione - Settore dell'arredamento - Concorrenza sleale - Risarcimento del danno - Rapporto di concorrenzialità tra soggetti che esercitino contemporaneamente un'attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune - Concorrenza sleale per imitazione servile ex art. 2598, n. 1, del codice civile, di una serie di modelli - Contestata la violazione del diritto d'autore - Giudizio di confondibilità.


SENTENZA

n. 918/2022 pubbl. il 21/07/2022

(Presidente: dott. Sergio Casarella - Relatore: dott.ssa Gabriella Pompetti)

 

Nella Causa iscritta in I grado al n. RG 3838/2017, trattenuta in decisione alla udienza a trattazione scritta del 13/01/2022, scaduti in data 04/04/2022 i termini di cui agli art. 190-281 quinqiues c.p.c., e promossa da:

POLTRONA FRAU S.P.A. (P. IVA 05079060017) e CASSINA S.P.A. (P. IVA 00976180968), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore,  rappresentate e difese anche disgiuntamente dagli avv.ti Fabrizio Jacobacci, Barbara La Tella, Maddalena Deagostino, Antonio Squillace e Matteo Squillace ed elettivamente domiciliate presso lo studio di quest’ultimi sito ad Ancona al Viale della Vittoria n. 7, giuste deleghe rispettivamente apposte a margine dell’atto di citazione ivi riassunto e dell’atto di citazione in riassunzione depositato in data 01/06/2017;

- attrice in riassunzione -
 

CONTRO
 

ATOM DIVANI E POLTRONE S.R.L. (P. IVA 01446030437), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti. Manlio Massi e Clelia Piccinini del Foro di Macerata e con questi elettivamente domiciliata ad Ancona alla Via Leopardi n. 2 presso lo studio dell’avv. Alessio Stacchiotti, giusta delega a margine della comparsa di costituzione e risposta depositata in data 20/02/2018;

- convenuta in riassunzione -

 

OGGETTO: “concorrenza sleale ex art. 2598 n. 1 e 3 c.p.c. e azione ex art. 156 l.d.a.: inibitoria; risarcimento del danno”

 

CONCLUSIONI

Alla udienza del 13/01/2022 i procuratori delle parti hanno precisato le rispettive conclusioni come da relativo verbale di udienza da intendersi ivi integralmente richiamato e trascritto.

 

FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Con atto di citazione notificato in data 29/05/2017 le società Poltrona Frau s.p.a. e Cassina s.p.a. riassumevano dinanzi al Tribunale di Ancona, Sezione Specializzata delle Imprese, il giudizio introdotto nel 2014 (RG 4407/2014) dinanzi al Tribunale di Bologna che -con sentenza n. 634/2017 (pubblicata il 13/04/2017)- dichiarava la propria incompetenza territoriale in favore del Tribunale Dorico (cfr. sentenza in atti).

Le società attrici rassegnavano le seguenti e testuali conclusioni:

“Voglia il Tribunale Ill.mo, respinta ogni contraria istanza, eccezione, deduzione: NEL MERITO

- dichiarare la convenuta responsabile e condannarla per contraffazione del modello comunitario n. 000920913-0016, avente ad oggetto il design della sede “Vittoria” di Poltrona Frau, per tutti i motivi esposti nel presente atto;

- dichiarare responsabile e condannare la convenuta per concorrenza sleale ex art. 2598, n. 1) e 3), Cod. Civ. ai danni delle attrici, per tutti gli argomenti di cui al presente atto;

- dichiarare responsabile e condannare la convenuta per violazione ex art. 156 l.d.a. dei diritti di utilizzazione economica spettanti a Cassina sulla poltrona LC2 e a Poltrona Frau sul letto “I RONDO’ SEI”, per tutti gli argomenti di cui al presente atto di citazione;

conseguentemente:

- inibire alla convenuta la produzione, commercializzazione, offerta in vendita, importazione o esportazione e pubblicizzazione dei modelli di mobili “MAXIME”, “EURO”, “EDOARDO”, “BOSTON”, “CLELIA”, “RELAX”, “VICTOR”, “ELISABETH”, “ALBA”, “MINOSSE 2”, “NOTTURNO”, “PARIDE”, “CRISTINA”, “A 134 OFFICE”, “HAMILTON”, “CHESTERFIELD” e “CHESTERFIELD BIG”, e “HOMME C”, in quanto prodotti, pubblicizzati e commercializzati in violazione dei diritti delle attrici, nonché integranti concorrenza sleale in loro danno;

- ordinare la rimozione dal sito www.atomdivani.it, nonché inibire per il futuro qualsiasi utilizzo su tale sito internet o su altro materiale promo-pubblicitario di ogni riferimento ed immagine dei suddetti modelli di mobili, in quanto pubblicizzati e commercializzati in violazione di diritti esclusivi delle attrici ed integranti concorrenza sleale in loro danno;

- dichiarare responsabile e condannare la convenuta al risarcimento del danno sofferto dalle attrici a causa degli illeciti subiti, nella somma da quantificarsi in corso di causa;

in via istruttoria:

- ordinare alla convenuta di esibire le scritture contabili e commerciali relative alla vendita dei prodotti oggetto di causa ai sensi degli artt. 121 c.p.i. e 210 c.p., nonché di fornire tutti gli elementi utili per l’identificazione dei soggetti implicati nella produzione e distribuzione dei prodotti in violazione, come previsto dall’art. 156 bis l.d.a.;

- disporre a carico della convenuta una sanzione pecuniaria pari ad Euro 2.000,00 per ogni mobile commercializzato in violazione dell’inibitoria e di Euro 2.000,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’emanando provvedimento o in altra misura che codesto Ill.mo Tribunale vorrà disporre;

- ordinare la pubblicazione dell’emanando provvedimento a cura delle attrici ed a spese della convenuta su un quotidiano a tiratura nazionale e due riviste di settore a caratteri almeno doppi del normale. Con il favore delle spese ed onorari di giudizio oltre Iva e Cpa come per legge” (cfr. conclusioni rassegnate alle pag. 39-41 dell’atto di citazione in riassunzione; parzialmente modificate sia con il foglio di PC depositato in data 02/01/2018 che in quello depositato in data 11/01/2022; fin da ora si evidenzia che la difesa della società attrice ha sostanzialmente rinunciato alla domanda di contraffazione del modello comunitario n. 000920913-0016, avente ad oggetto il design della sede “Vittoria” di Poltrona Frau” a seguito della dichiarazione di nullità da parte del Tribunale di Torino del 08/06/2016, come fra l’altro era stato dichiarato già alla pag. 26 dell’atto di citazione in riassunzione; cfr. anche quanto precisato dalla difesa attorea nella memoria di replica; nel foglio di PC del 11/01/2022 non ha riprodotto la domanda diretta a far “dichiarare responsabile e condannare la convenuta ex art. 156 l.d.a. dei diritti di utilizzazione economica spettanti a Poltrona Frau sul letto “I RONDO' SEI” “ che era stata riproposta dalla controparte nel “foglio” di precisazione delle conclusioni del 02/10/2018, ma non riformulata in quello dell' 11/01/2022, come si vedrà infra. Modificava infine la domanda in relazione ai modelli oggetto di imitazione alla luce delle risultanze della espletata CTU).

La prima udienza (indicata in citazione per il 03/10/2017) veniva differita al 13/03/2018 con decreto del precedente G.I. (dott. Di Tano) con decreto emesso ex art. 168 bis quinto comma c.p.c. in data 16/06/2017.

Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 20/02/2018 si costituiva in giudizio la società Atom Divani E Poltrone s.r.l. (di seguito semplicemente Atom) chiedendo il rigetto di tutte le domande attoree siccome infondate, si opponeva alle richieste istruttorie avanzate dalla difesa delle società attrici ed insisteva in quelle formulate (cfr. conclusioni rassegnate nella citata comparsa).

Alla prima udienza del 13/03/2018 il precedente G.I. (dott. Di Tano) ammetteva la prova per testi richiesta dalla difesa di parte convenuta (ad eccezione dei cap. nn. 1, 2, 3, 7, 9, 10, 11, 12, 13 e 14 per le ragioni espressamente indicate) e riservava all’esito la decisione sulla richiesta di CTU avanzata dalla difesa attore (cfr. relativo verbale di udienza).

Alla udienza del 17/05/2018 il nuovo G.I. dott. S. Casarella ammetteva la prova per testi anche sul cap. 1 mentre confermava il rigetto della prova sul cap. 2; si procedeva quindi all’escussione dei testi ammessi di parte convenuta ovvero Principi Franco, Orizi Lorenzo, Potetti Antonio, Andrea Bellini.

Veniva fissata l’udienza di PC per il 26/06/2018 (cfr. relativo verbale di udienza).

Alla  udienza del 09/10/2018 (alla quale la causa giungeva a seguito del rinvio  determinato dall’adesione alla astensione indetta da UOC, vedasi verbale del 26/06/2018) la causa veniva trattenuta in decisione all’esito della concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. (le parti depositavano le rispettive comparse conclusionali e memorie di replica).

Con ordinanza del 18/04/2019 il Collegio rimetteva la causa in istruttoria ordinando alla convenuta ex art. 210 c.p.c. l’esibizione della documentazione indicata in citazione e nella seconda memoria depositata ex art. 183 comma VI n. 2 c.p.c.; disponeva CTU per la descrizione dei prodotti e la valutazione delle interferenze nominando CTU l’Ing. Andrea Soldatini; disponeva CTU contabile nominando CTU il dott. Comm. Andrea Muzzonigro (cfr. ordinanza in atti).

Successivamente, con ordinanza del 27 giugno 2019, ritenuta fondata la richiesta attorea, il G.I. ordinava  ad  Atom l’esibizione delle  scritture contabili,  già oggetto del precedente ordine,  anche relative agli anni dal 2015 e sino al 20 maggio 2019, assegnando termine per il deposito al 20 luglio 2019.

La convenuta ha pacificamente adempito all’ordine di esibizione così come integrato.

In data 25 giugno 2019, i due CTU nominati prestavano giuramento di rito

Il CTU Ing. Soldatini depositava la propria relazione tecnica (contenente anche le risposte alle osservazioni tecniche dei CT di entrambe le parti) in data 21/02/2020.

In data 10/02/2020 la difesa di parte convenuta depositava istanza volta ad ottenere la nullità ex art. 157 c.p.c. della predetta perizia in quanto il CTU avrebbe esorbitato dai propri compiti nella risposta ai quesiti peritali.

Con ordinanza emessa fuori udienza dal nuovo G.I. (dott.ssa Pompetti Gabriella designata tale con DP n. 249/2019) in data 04/04/2020 riteneva che “ l’eccezione di nullità della consulenza sollevata ex art. 157 c.p.c. dalla difesa della convenuta non attiene a questioni relative al suo procedimento, e come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., ma è fondata su argomentazioni difensive di merito che verranno valutate ed esaminate dal Collegio unitamente al merito” e disponeva la prosecuzione del giudizio con l’espletamento della CTU contabile già in precedenza disposta.

Il CTU dott. Muzzonigro depositava il proprio elaborato in data 14 giugno 2021, i consulenti tecnico-contabili delle parti depositavano le rispettive osservazioni alla relazione nei 30 giorni successivi ed in data 9 settembre 2021 il CTU depositava ulteriori osservazioni in risposta alle memorie dei consulenti di parte.

Si giungeva così alla udienza del 13/01/2022 ove – fatte precisare le conclusioni- venivano assegnati termini massimi per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica (atti ritualmente depositati da entrambe le parti).

Nel foglio depositato in data 11/01/2022 la difesa delle  attrici rassegnava le seguenti e testuali conclusioni: “Voglia il Tribunale Ill.mo, respinta ogni contraria istanza, eccezione, deduzione, e preso atto delle conclusioni raggiunte dal CTU tecnico Ing. Andrea Soldatini e dal CTU tecnico-contabile Dott. Andrea Muzzonigro: In via principale, nel merito: - dichiarare responsabile e condannare la convenuta per concorrenza sleale ex art. 2598, n. 1) e 3), Cod. Civ., per tutti gli argomenti esposti in atti; - dichiarare responsabile e condannare la convenuta per violazione ex art. 156 l.d.a. dei diritti di utilizzazione economica spettanti a Cassina sulla poltrona LC2 per tutti gli argomenti illustrati in atti; conseguentemente: - inibire alla convenuta la produzione, commercializzazione, offerta in vendita, importazione o esportazione e pubblicizzazione dei seguenti modelli di mobili: (i) la poltrona MAXIME, (ii) la poltrona EURO, (iii) la poltrona/divano AARON, (iv) il divano BOSTON , (v) il divano CLELIA, (vi) la poltrona RELAX, (vii) la sedia HAMILTON HIGH, (viii) il letto ALBA, (ix) il letto MINOSSE 2, (x) il letto NOTTURNO, (xi) il letto PARIDE, (xii) le sedie CRISTINA e CRISTINA OFFICE, (xiii) la sedia A 134 OFFICE, (xiv) la sedia HAMILTON, (xv) la poltrona HOMME C, in quanto prodotti, pubblicizzati e commercializzati in violazione dei diritti delle attrici, nonché integranti concorrenza sleale in loro danno, come risultante all’esito della CTU tecnico-giuridica dell’Ing. Soldatini;

- ordinare la rimozione dal sito www.atomdivani.it e dall’attuale sito internet www.albanidivani.com, nonché inibire per il futuro qualsiasi utilizzo su tali siti internet o su altro materiale promo-pubblicitario di ogni riferimento ed immagine dei suddetti modelli di mobili, in quanto pubblicizzati e commercializzati in violazione di diritti esclusivi delle attrici ed integranti concorrenza sleale in loro danno;

- dichiarare responsabile e condannare la convenuta al risarcimento del danno sofferto dalle attrici a causa degli illeciti subiti, in una somma non inferiore a quella individuata nella relazione del CTU contabile Dott. Muzzonigro (Euro 96.126,18) ed in applicazione del criterio della retroversione degli utili, e comunque incrementata degli ulteriori danni di immagine e non patrimoniali sofferti dalle attrici come illustrati in atti e da determinarsi in via forfettaria;  - disporre a carico della convenuta una sanzione pecuniaria pari ad Euro 2.000,00 per ogni mobile commercializzato in violazione dell’inibitoria e di Euro 2.000,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’emananda sentenza o in altra misura che codesto Ill.mo Tribunale vorrà disporre; - ordinare la pubblicazione dell’emananda sentenza a cura delle attrici ed a spese della convenuta su un quotidiano a tiratura nazionale e due riviste di settore a caratteri almeno doppi del normale. In ogni caso: Con il favore delle spese ed onorari del presente giudizio e di ogni precedente fase, oltre IVA e CPA, come per legge”.

All’esito la causa veniva trattenuta in decisione dal Collegio.


Orbene ciò sinteticamente ma doverosamente riportato e passando all’esame del merito della controversia questo Tribunale ritiene in primo luogo fondata la domanda attorea avanzata ex art. 2598 n. 1 c.c. e ex art. 156 L.d.a.

A tal proposito è bene rilevare fin da ora che la fattispecie prevista dall'art. 2598 cod. civ., presuppone innanzitutto la sussistenza di un rapporto di concorrenzialità tra soggetti che esercitino contemporaneamente un'attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune.

Nel caso in esame non può esservi dubbio dell’esistenza del predetto rapporto di concorrenzialità fra le odierne parti in causa (si evidenzia che non risulta accertato che la società convenuta sia stata cancellata dal registro delle imprese; circostanza quest’ultima non solo mai dichiarata dalla difesa della convenuta ma da quest’ultima recisamente contestata; la difesa della convenuta -infatti- ha dichiarato che per mero errore materiale era stata inserita nel registro delle imprese la cancellazione così come emergente dalla visura che era stata depositata dalla difesa attorea; infatti –nella visura camerale depositata dalla difesa della Atom in allegato alla istanza del 24/06/2019 e datata 20/02/2019-si legge “01/02/2022 inizio attività di poltronificio (attività erroneamente cessata in data 03/05/2018”).

Nel rispetto di termini deputati alla fissazione del “thema decidendum” (e tento conto della intervenuta rinuncia attorea alla domanda di accertamento della  contraffazione del  modello comunitario n. 000920913-0016, avente ad oggetto il design della sede “Vittoria” di Poltrona Frau) la difesa delle due società attrice ha denunciato (in primis) la concorrenza sleale per imitazione servile ex art. 2598 n. 1 c.c. da parte della convenuta di una serie di modelli (ovvero quelli indicati alle pagg. 26-26 dell’atto di citazione in riassunzione e riportati poi nelle conclusioni) ivi compresi quindi anche quelli della poltrona LC2, del letto I Rondò Sei e della sedia Vittoria (cfr. anche quanto specificato alle pagg. 12 e alle pagg. 26 e ss dell’atto di citazione in riassunzione; si dirà infra del Modello Maxime della convenuta con riferimento al modello Vanity Fair dell’attrice).

La difesa attorea ha denunciato anche la violazione del diritto d’autore con riferimento alla poltrona Lc2 e al letto I Rondò SEI (cfr. sempre pagg. 19-25 dell’atto di citazione in riassunzione; si è già detto della sostanziale rinuncia alla pretesa relativa al letto I Rondò Sei).

A tal proposito è bene rammentare in diritto (per quanto ivi d’interesse) che:

- come è noto, l'imitazione rilevante ai sensi dell'art. 2598, n. 1, c.c. non esige la riproduzione di qualsiasi forma del prodotto altrui, ma solo quella che cade sulle caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante, e cioè idonee, in virtù  della  loro capacità distintiva,  a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa, sempre che la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle caratteristiche funzionali del prodotto (Cass. 12 febbraio 2009, n. 3478; cfr. pure Cass. 26 novembre 2008, n. 28215; Cass. 19 gennaio 2006, n. 1062 tutte citate e confermate dalla Cass. con la sentenza del 2020 n. 8944);

- detto illecito, pertanto, presupponendo un pericolo di confusione non genericamente riferito ad altri prodotti rinvenibili in commercio, ma specificamente attinente ai prodotti di un altro imprenditore in rapporto di concorrenza, non può discendere dalla mera circostanza che coincidano forme, disegni, colori od altri elementi dell'aspetto esteriore del prodotto imitato e del prodotto imitante, si da renderli non distinguibili da parte dei possibili acquirenti, ma esige un "quid pluris", costituito dall'identificazione od identificabilità, sempre dal punto di vista del potenziale compratore, della paternità del prodotto imitato, cioè della sua provenienza da un determinato imprenditore. Solo in presenza di tale situazione l'iniziativa dell'imitatore può creare quella confondibilità "con il prodotto e con l'attività  di un'impresa concorrente", cui la norma in esame condiziona la qualificabilità dell'imitazione servile come concorrenza illecita;

- l'imitazione servile delle caratteristiche di un prodotto altrui (nel senso appena sopra precisato) integra gli estremi della concorrenza sleale, a prescindere dall'esistenza di una tutela (o di una valida tutela) brevettuale del prodotto imitato. In particolare nella citata sentenza del 2020 n. 8944 la S.C. ha affermato (testualmente) che: “Ora, in linea di principio, non è corretto escludere che a fronte della medesima condotta contraffattiva l'interessato possa avvalersi sia della tutela spettantegli in ragione della registrazione del modello (artt. 31 ss. c.p.i.), sia di quella, di carattere generale, elargita contro l'imitazione servile (art. 2597, n. 1 c.c.). E infatti, se il prodotto presenta una forma individualizzante, tale da essere percepibile dal consumatore medio, quella forma ha in sé carattere distintivo, per modo che all'altrui attività di contraffazione potrà reagirsi indipendentemente dal fatto che si sia proceduto alla registrazione del modello. E' da ricordare infatti, che, al fine della registrazione, il modello deve avere carattere individuale: deve cioè suscitare, nell'utilizzatore informato, una impressione generale che differisce da quella suscitata in altro modello o disegno divulgato in precedenza (art. 33, comma 1, c.p.i.). Vengono in definitiva in questione due distinte soglie di tutela: se la forma ha carattere solo individuale, il modello riceve protezione unicamente in ragione dell'avvenuta registrazione e per la durata di cui all'art. 37 c.p.i.; se, invece, la forma è percepibile anche dal consumatore medio, è ammesso il cumulo tra la tutela accordata dalla registrazione del modello e quella operante contro gli atti di concorrenza confusoria e, segnatamente, contro l'imitazione servile. Il titolare del modello può certamente avere un interesse a far valere, in giudizio, sia la domanda basata sulla violazione del proprio diritto di privativa che l'imitazione servile: potrebbe difatti temere che il contraffattore opponga, fondatamente, la nullità del brevetto e considerare, quindi, la necessità di prospettare in causa l'imitazione servile delle forme del proprio prodotto, siccome percepibili anche dal consumatore medio; ma egli potrebbe anche decidere di adottare una tale strategia sulla base della semplice considerazione dei risultati favorevoli che da essa possano discendere (ad esempio, sul piano risarcitorio, avendo riguardo ai danni ulteriori 4 patiti per effetto della altrui commercializzazione di un prodotto confondibile col proprio da una più ampia platea di consumatori: una platea costituita da quegli utilizzatori — riconducibili, per l'appunto, alla figura del consumatore medio — che erano in grado di apprezzare la forma distintiva di esso). Sarebbe scorretto, d'altro canto, ritenere che, con riferimento alla fattispecie della contraffazione del modello, il positivo accertamento dell'imitazione servile, sanzionata dall'art. 2598, n. 1, c.c. implichi l'allegazione e la prova di condotte anticoncorrenziali ulteriori, come solitamente sostenuto con riferimento agli illeciti che riguardano altre privative, diverse dal marchio (con riferimento al marchio si suole affermare, invece, che l'attività contra jus, consistente nell'appropriazione o nella contraffazione del marchio, mediante l'uso di segni distintivi identici o simili a quelli legittimamente usati dall'imprenditore concorrente, possa essere da quest'ultimo dedotta a fondamento non soltanto di un'azione reale, a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, ma anche, e congiuntamente, di un'azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità fra i rispettivi prodotti: Cass. 19 giugno 2008, n. 16647; Cass. 29 gennaio 2019, n. 2473). Nel caso della contraffazione del modello e dell'imitazione servile la medesima condotta di riproduzione delle forme del prodotto non impedisce infatti il concorso dei due illeciti, giacché la configurazione dell'uno o dell'altro di essi dipende solo dal diverso parametro di cui ci si avvale per dar ragione del valore (rispettivamente individuale o distintivo) delle dette forme, che è nel primo caso l'utilizzatore informato e nel secondo il consumatore medio: e, ove il modello presenti, oltre che carattere individuale, un connotato distintivo riconoscibile dal consumatore medio, il titolare della privativa potrà avvalersi anche dei rimedi codicistici contemplati per l'illecito confusorio (art. 2598, n. 1 c.c.).Ora, questa Corte ha affermato, in più occasioni che, in quanto inserito nel contesto dell'art. 2598 n. 1, c.c., che tratta della concorrenza confusoria, il divieto dell'imitazione servile tutela soltanto l'interesse a che l'imitatore non crei confusione con i prodotti del concorrente, realizzando le condizioni perché il potenziale acquirente possa equivocare sulla  fonte di produzione; e ha pure precisato che tale  interesse é  senz'altro soddisfatto dalla presentazione del prodotto con la precisa indicazione che lo stesso è fabbricato da un diverso imprenditore (Cass. 19 gennaio 2006, n. 1062; nel medesimo senso: Cass. 3 agosto 1987, n. 6682; Cass. 9 novembre 1983, n. 6625). Sempre secondo la giurisprudenza di legittimità (e quella di merito appare orientata nel medesimo senso), la circostanza che il prodotto rechi un marchio idoneo ad attribuirne l'origine a un determinato produttore può — certamente — non essere sempre sufficiente ad escludere la concorrenza per imitazione servile: ma è certamente riservato al giudice del merito l'apprezzamento circa il fatto che tale marchio non adempia alla sua funzione qualificante e distintiva (Cass. 19 febbraio 1997, n. 1541). In conclusione, in ipotesi di contraffazione del modello la tutela accordata per la violazione della privativa può concorrere con quella prevista per la concorrenza confusoria per imitazione servile se il prodotto rechi una forma individualizzante, tale da essere percepibile, oltre che dall'utilizzatore informato, anche dal consumatore medio; spetta in questo caso al giudice del merito accertare se l'apposizione del marchio sul prodotto con cui è realizzata l'imitazione sia idoneo ad escludere, in base alle circostanze del caso, la confondibilità dei prodotti e il detto apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, salvo che per il mancato esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti o per l'anomalia motivazionale che si traduce in violazione di legge costituzionalmente rilevante”;

- Quindi la tutela contro la concorrenza sleale per imitazione servile ha diversa natura, diversa essenza, rispetto alla tutela assicurata dalle norme che regolano la brevettabilità dei prodotti;

- In effetti, la originalità del prodotto, come considerata dalla disciplina della concorrenza illecite, è diversa dalla originalità richiesta per la brevettabilità. Per questa occorrono, secondo la S.C. (vedasi sentenza del 1997 sopra citata), novità ed originalità, mentre per escludere la imitazione confusoria è sufficiente la capacità distintiva, intesa come forma che differenzia il prodotto sul mercato e nelle valutazioni dei consumatori dei beni similari offerti da imprese concorrenti (la S.C. nella citata sentenza afferma in particolare: “Deve ribadirsi la legittimità dei principi enunciati laddove con essi si è sottolineata la diversa essenza e la diversa operatività della normativa sui brevetti e della normativa che disciplina la concorrenza sleale per confusione dei prodotti. Quest'ultima opera su piani eminentemente concreti, nel mercato, ed anche in riferimento a prodotti privi di quei caratteri di originalità e di novità che possono fare brevettare il prodotto. L'altra normativa, quella che disciplina l'attribuzione del brevetto, esige il riscontro delle menzionate caratteristiche di originalità e novità. Questa - può affermarsi - tende soprattutto a proteggere la realizzazione la capacità creativa dell'individuo, e, quindi, la originalità della creazione nei suoi veri aspetti, ideali ed economici; l'altra, è diretta ad operare in difesa di realizzazioni anche meno qualificate sul piano della creatività, ma, solitamente, in un contesto di esigenze più mercantili. Ed allora, riconoscendo la legittimità dei principi enunciati dalla corte territoriale; la insindacabilità del concreto giudizio di confondibilità tra i prodotti delle parti e della loro collocazione temporale nel mercato; la incongruenza, per i motivi addotti dai giudici del merito, del riferimento alla sentenza del tribunale  di Milano concernente la asserita nullità del brevetto n.950276; deve concludersi, nell'esecuzione del controllo di legittimità richiesto a questa Corte, che la censura formulata dal ricorrente non ha fondamento giuridico”. Di qui la irrilevanza – nel caso in esame- della pronuncia di nullità del modello comunitario n. 000920913-0016 da parte del Tribunale di Torino nella causa tra l’odierna attrice e BMA);

- riconosciute ad un prodotto caratteristiche distintive sue proprie, non necessariamente nuove od originali - indispensabili, invece, per la brevettabilità - non è legittima la condotta del concorrente che di quelle caratteristiche distintive si appropri;

- l'accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale comporta una presunzione di colpa, ex art. 2600 c.c., che onera l'autore degli stessi della dimostrazione dell'assenza dell'elemento soggettivo ai fini dell'esclusione della sua responsabili;

- In tema di concorrenza sleale, il rapporto di concorrenza tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, comporta che la comunanza di clientela non è data dall'identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall'insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti, uguali ovvero affini o succedanei a quelli posti in commercio dall'imprenditore che lamenta la concorrenza sleale, che sono in grado di soddisfare quel bisogno (cfr. fra le tante anche in motivazione Cass. 2018 n. 12364).

Orbene applicando i superiori principi e precisato che l'illecito si concreta nella confondibilità del prodotto con quello del concorrente, nella specie, deve verificarsi se i prodotti della convenuta imitano quelli dell’attrice ed in particolare se la forma dei prodotti imitati abbiano capacità distintiva, cioè la idoneità ad essere riconosciuti complessivamente per la loro provenienza.

Sul punto vengono in rilievo le risultanze della espletata CTU (da intendersi ivi integralmente richiamata e condivisa essendo stata condotta con rigoroso metodo analitico, con esame dettagliato di tutta la documentazione depositata e scevro da vizi logici e metodologici essendo stata svolta nel pieno rispetto del contraddittorio; infatti l’eccezione di nullità sollevata ex artt. 156-157 c.p.c. dalla difesa della convenuta è infondata, come già ritenuto dal G.I. con motivazione che ivi si conferma. Il CTU ha inoltre dato compiuta quanto esaustiva risposta non solo al quesito peritale ma anche alle osservazioni tecniche dei CTP di entrambe le parti).

Al nominato CTU era stato sottoposto il seguente quesito: “ Il CTU, esaminata la documentazione agli atti ed acquisita dalle parti quella necessaria, esprima il suo motivato parere sui seguenti argomenti:

- Dica il CTU se i modelli individuati al paragrafo [33] dell’atto di citazione in riassunzione ed ivi descritti e raffigurati nel prospetto prodotto sub. Doc. 7 di parte attrice (anche indipendentemente da eventuali diverse denominazioni utilizzate dalla convenuta per distinguere i medesimi modelli) riproducano le linee essenziali e/o risultino simili e/o confondibili con i corrispondenti modelli di Poltrona Frau S.p.A. e Cassina S.p.A. citati nel paragrafo [33] dell’atto di citazione e riprodotti sub Doc. 7, avendo come riferimento il rischio di confusione per il consumatore medio ed i parametri normalmente utilizzati per i raffronti tra prodotti in materia di diritto d’autore e concorrenza sleale “.

Il consulente tecnico – nel rispondere al suddetto quesito (e senza alcun travalicamento del predetto)- si è attenuto ai principi di diritto appena sopra delineati (vedasi in particolare quanto precisato dal CTU nella premessa -4.1- di cui alle pagg. 6 e 7 ove il consulente precisa: “Quella che è in gioco è la confondibilità in grado di portare il consumatore medio al “disorientamento” sulla provenienza imprenditoriale del prodotto, disorientamento che non necessariamente si verifica in caso di generica similitudine, o persino di identità, tra le forme considerate. Si pensi a tutte quelle (innumerevoli) situazioni in cui una forma sia completamente standardizzata e quindi adottata tout court da una molteplicità, o addirittura dall’universalità dei produttori di un determinato oggetto. È evidente che in casi del genere il consumatore trova di fronte a sé svariati prodotti dalle forme molto simili o addirittura identiche. Ma è altrettanto evidente che dall’identità tra questo genere di forme non discenda un tema confusorio, perché la standardizzazione della forma fa sì che questa non possa comunicare alcuna specifica indicazione di provenienza. La confondibilità richiamata dalla disciplina della concorrenza, e segnatamente dall’art. 2598 n. 1 c.c. (che pacificamente riconduce il tema dell’imitazione della forma all’ambito della concorrenza confusoria, e quindi a quello dei segni distintivi), presuppone la capacità distintiva di una forma, ovvero che essa possieda elementi i quali, nella percezione del consumatore medio: 1. eccedano la standardizzazione (forma non usuale, idonea a rendere il prodotto riconoscibile), e; 2. esprimano un effettivo messaggio di provenienza del prodotto (percezione del prodotto come segno distintivo). Le competenze fondamentalmente tecniche del CTU, così come gli elementi disponibili agli atti, possono fornire all’organo giudicante un supporto in ordine al punto 1., cioè per la ricerca, nei modelli attorei (si parla dei modelli POLTRONA FRAU la cui riproduzione è contestata appunto su un piano concorrenziale), di caratteristiche di forma che appaiono non strettamente convenzionali, e come tali di potenziale distintività. Al contrario il punto 2., oltre a sottendere valutazioni giuridiche che coinvolgono il coordinamento con vari istituti (la disciplina del modello registrato in primis), implicherebbe una ricostruzione storico-commerciale estensiva che non può certo competere al CTU (il quale del resto neanche avrebbe i mezzi per farla). Ai fini quindi della valutazione sulla potenziale standardizzazione delle forme di cui al punto 1., ci si baserà sugli elementi tecnici evincibili dal materiale agli atti, e su considerazioni afferenti alla percezione generale comune, lasciando all’organo giudicante il compito di valutare se, dal punto di vista giuridico, le suddette caratteristiche di potenziale distintività (ove riscontrate) determinino una distintività reale e oggettiva delle forme in esame, o invece un più generico (e in ipotesi non tutelabile) messaggio di “attrazione”, e se in particolare ed a tal fine siano o meno sufficienti gli elementi di carattere “storico” forniti dalla parte attrice coinvolta”. Le suddette premesse metodologiche, improntate  ai principi di diritto appena sopra richiamati,  vengono poi confermate e ribadite dall’ausiliario alla pag. 22 nella parte relativa alla risposta alle osservazioni tecniche del CT di parte attrice ove testualmente afferma: “Come già spiegato, limitandoci alle considerazioni giuridiche di base strettamente necessarie per l’interpretazione del quesito peritale, riteniamo del tutto pacifico che un giudizio di generica somiglianza e persino identità tra prodotti non possa di per sé condurre all’automatica (ed affermativa) conclusione di rischio confusorio; in nessun modo riscontriamo che il suddetto automatismo sarebbe sancito da “generali criteri della concorrenza per imitazione servile”; anzi, la consolidata giurisprudenza si conforma semmai a quanto espresso ad esempio da Cass. 3478/2009: “non essendo tuttavia compresi nella tutela medesima [la tutela concorrenziale ex art. 2598 n. 1 c.c. - n.d.r.] gli elementi formali dei prodotti imitati che nella percezione del pubblico non assolvano ad una specifica funzione distintiva del prodotto stesso, intesa nel duplice effetto di differenziarlo rispetto ai prodotti simili e di identificarlo come riconducibile ad una determinata impresa.” Come autorevolmente sintetizzato in “Vanzetti, Di Cataldo, Man. Dir. Ind., Ottava edizione 2018, Parte prima, §43”, “Il fatto che la forma del prodotto vada qui considerata come segno distintivo ne subordina la tutela contro l’imitazione servile alle condizioni generali di tutelabilità appunto dei segni distintivi. Si dovrà dunque trattare di forma […] non banale, standardizzata, ma  idonea  a rendere  il prodotto riconoscibile.”   Conseguentemente,  il raffronto tecnico  richiesto  dal  Giudice  può  avere  un  senso  soltanto  se   correlato  a  caratteristiche (potenzialmente) distintive dei prodotti attorei. Ciò ulteriormente chiarito, si conferma che la risposta al quesito peritale non può che riguardare i seguenti aspetti, di ausilio tecnico all’organo giudicante: stabilire se sulla base degli elementi addotti da parte attrice, di quelli più in generale evincibili dal materiale agli atti, e con, al più, il ricorso a elementi derivabili dalla percezione generale comune, sia individuabile un contenuto di potenziale distintività nei modelli attorei; e se essendo in effetti presenti nei modelli di ATOM quel contenuto, da ciò possa derivare un rischio di confusione (il cui passaggio da potenziale a reale è subordinato alla valutazione, non tecnica ma giuridica, di effettiva distintività). Tutto il resto, comprese eventuali valutazioni su risvolti “parassitari” della condotta di ATOM, e/o su oneri di differenziazione che spetterebbero comunque alla stessa ATOM, è da considerarsi esterno al quesito e comunque estraneo alle competenze e ai poteri del CTU”. Quanto appena riportato consente, altresì, di rigettare – come anticipato- l’eccezione di nullità ex art. 157 c.p.c. sollevata dalla difesa di parte convenuta. Come già evidenziato dal G.I. le doglianze poste a fondamento della citata eccezione non rientrano nell’alveo applicativo delle citate disposizioni in quanto parte convenuta si duole dell’asserito travalicamento da parte dell’ausiliario dei suoi compiti. La suddetta affermazione è del tutto smentita dalle stesse premesse metodologiche del CTU il quale aveva già efficacemente risposto a simili doglianze già espresse dal CT di parte convenuta. Infatti correttamente il CTU alle pagg. 22-24 ha affermato: “Alla luce di quanto esposto al punto precedente, e cioè dei ben precisi limiti entro cui si è mossa la valutazione dello scrivente, troviamo del tutto infondate le osservazioni di parte convenuta su presunti indebiti ampliamenti dell’indagine peritale rispetto a quanto consentito.  Ponendosi a carico del “titolare” del segno (in questo caso, la forma del prodotto) l’onere di addurre fatti dimostrativi della capacità distintiva, spetterà al Giudice, cRomeepsepiretg.anto., d2i1sv7o1lg/e2re0u2n2a vdaelulta2zi1on/0e 7/2022 giuridica, volta a stabilire se la dimostrazione attorea a questo riguardo sia da ritenersi soddisfacente. Lo scrivente CTU si è infatti limitato a circoscrivere, adottando un criterio differenziale basato essenzialmente sul materiale agli atti senza alcuna sostanziale attività di indagine, eventuali caratteristiche potenzialmente eccedenti la standardizzazione, e quindi dotate di un qualche potenziale individualizzante. Sempre con lo scopo di fornire al Giudice tutto il supporto tecnico che gli possa essere utile, si è poi proceduto a un confronto tecnico tra i prodotti, focalizzato appunto sull’eventuale presenza di tali caratteristiche anche nei modelli ATOM. Niente oltre a questo si è ritenuto di dover concludere, nel contesto di una risposta al quesito peritale che comunque riteniamo fruttuosa ed esaustiva. Nell’analisi sui singoli modelli abbiamo dunque tenuto in debito conto ciò che ragionevolmente, e sempre secondo i criteri già enunciati, apparisse riconducibile a usuali standard del settore, e non a caso si sono di volta in volta identificati, ove riscontrabili, dei sottoinsiemi ristretti di caratteristiche aventi un potenziale distintivo. In proposito, la mera presenza sul mercato di alcuni prodotti simili a quelli attorei, o di riconosciute imitazioni, fatto peraltro che parte convenuta pretende di dimostrare senza però chiari elementi fattuali (la documentazione fotografica presentata con le osservazioni non permette di risalire alla fonte, alle circostanze di diffusione, alla datazione dei prodotti mostrati), non è in grado di offrire un confortare una conclusione di standardizzazione per le caratteristiche di cui ai sottoinsiemi appena citati. Queste ultime caratteristiche, oggettivamente, per la maggior parte dei modelli sono in comune tra i prodotti ATOM e i prodotti POLTRONA FRAU. Su questo piano di confronto, ATOM continua a sostenere la rilevanza di alcune differenze che però non possono reputarsi significative al livello sintetico che è quello al quale è corretto operare, come già più sopra argomentato”). In sintesi e per quanto d’interesse il CTU (Ing. Soldatini) ha accertato che:  - tutti i modelli ATOM in esame sono genericamente simili ai corrispettivi modelli di POLTRONA FRAU (si evidenzia che la difesa di parte convenuta non ha mai eccepito nel corso delle indagini peritali – sia di quelle relative all’accertamento eseguito dall’Ing. Soldatini sia di quelle relative all’accertamento espletato dal dott. Muzzonigro sulla base delle risultanze della prima CTU- che i modelli esaminati erano diversi da quelli indicati da parte attrice. Le contestazioni mosse quindi sul punto per la prima volta in sede di comparsa conclusionale non solo sono tardive ma sono anche destituite di fondamento in quanto il CTU Ing. Soldatini ha visionato i modelli riportati e raffigurati al doc. n. 7 fasc. att. Rispetto al quale nessuna contestazione è stata mai mossa; per cui nessuna rilevanza possono avere le eventuali difformità descrittive contenute nell’atto di citazione giacchè i modelli contestati sono pacificamente quelli raffigurati nel citato doc. n. 7. Lo stesso CTU nella relazione in atti né dà contezza tanto che invitava “il CTP delle parti attrici, ing. Rondano, a fornire versioni più chiare delle immagini di cui al Doc. sub 7 citato nel quesito” preciRsaendpoesrutb.itno .do2p1o 7ch1e/:2“0il 2C2TPddeellle2p1ar/t0i 7/2022 attrici provvedeva a fornire il materiale richiesto (Doc. 2 allegato), che veniva condiviso con il CTP di parte convenuta Arch, Gazzillo”; e su tale documentazione si è svolto compiuto quanto rituale contraddittorio tecnico come emerge dalla documentazione allegata alla relazione; vedasi in particolare le note scritte depositate dai consulenti di entrambe le parti; cfr. in particolare allegati nn. 6 e 7 alla CTU. Appare doveroso evidenziare che il CT di parte convenuta nella nota scritta di cui allegato n. 6 provvede a descrivere ciascun prodotto inserito nel su citato doc. n. 7. il CTP Gazzillo procede inoltre all’esame comparativo dei modelli di cui al citato do.  N.  7  condotto  tramite  schede analitiche depositate. Il CTU ne dà una compiuta descrizione alle pagg. 1-6 dell’elaborato depositato in data 21/02/2020. Tanto che né il CT di parte convenuta né la difesa ha mai sollevato eccezioni al riguardo prima del deposito della comparsa conclusionale né ha mai formulato richieste di rettifica e/o integrazione della CTU);

- tuttavia, per quanto riguarda considerazioni più specificamente funzionali a una valutazione di confondibilità si precisa che: i modelli ATOM MAXIME, EURO A-107, AARON; BOSTON, CLELIA, RELAX, ALBA, MINOSSE 2, NOTTURNO, PARIDE, CRISTINA,, CRISTINA OFFICE, sedia A 134 OFFICE, HAMILTON HIGH (per un numero complessivo di 14 modelli) rappresentano sostanziali riproduzioni di corrispettivi modelli POLTRONA FRAU coinvolgenti (anche) caratteristiche potenzialmente distintive  di questi ultimi, per cui non è in partenza denegabile un rischio di confusione (si evidenzia che per mero errore il CTU nelle conclusioni ha inserito i modelli Elisabeth e Vittoria per i quali invece si è esclusa la imitazione; mentre ha omesso il modello Hamilton Higth);

- modelli ATOM  ELISABETH  e CHESTERFIELD rappresentano sostanziali  riproduzioni di corrispettivi modelli di POLTRONA FRAU, con riferimento ai quali non è tuttavia stato possibile individuare caratteristiche potenzialmente distintive, per cui si ritiene di escludere un rischio di confusione;

- i modelli CONTEMPORANEO, CHESTERFIELD BIG, MELANIA presentano caratteristiche di differenziazione, rispetto ai modelli di POLTRONA FRAU, che permettono di negare alla radice un rischio di confusione;

-  il modello ATOM HOME C è una riproduzione integrale dell’opera LC2 di CASSINA (cfr. conclusioni rassegnate alle pagg. 16-17 della consulenza tecnica e confermate anche alla luce delle osservazioni tecniche dei CTP).

In particolare – con riferimento ai singoli modelli oggetto di contestazione- il CTU ha proceduto correttamente e dettagliatamente all’esame comparativo dei singoli modelli accertando (sempre con metodo analitico ed in ossequio ai principi sopra esposti) che:


1) Poltrona VANITY FAIR vs. poltrona MAXIME (Allegato 1 di 1MPA; pag. 9 della CTU)

In base a quanto evincibile dagli elementi disponibili, gli elementi estetici salienti e potenzialmente distintivi della poltrona VANITY FAIR risiedono essenzialmente nella marcata bombatura dei braccioli, in rapporto a una superficie di seduta proporzionalmente più ridotta, bombatura che si accorda (e si raccorda) con la marcata curvatura della parte superiore dello schienale.

Tali elementi sono riprodotti con uguale foggia nel modello MAXIME di ATOM, che riprende anche alcuni elementi secondari (ma che nell’assieme possono concorrere alla distinzione del modello) quali il disegno delle impunture e una percepibile divaricazione del lato esterno dei braccioli.

Lievi differenze nella proporzione e nel dimensionamento relativo tra le parti della poltrona, per quanto percepibili ad un’osservazione analitica delle forme messe tra loro a confronto diretto, non sono da ritenersi rilevanti ai fini della percezione sintetica della forma quale quella che il consumatore medio riceve, posto di fronte a uno solo dei modelli (e all’ipotetico raffronto con la memoria della forma altrui). Con riferimento al citato modello – considerate le contestazioni addotte dalla difesa della convenuta in comparsa conclusionale e memoria di replica- occorre evidenziare che il predetto veniva espressamente indicato sia nell’originario atto di citazione dinanzi al Tribunale Bolognese (vedasi in particolare pag. 8, pag. 25 nella parte in cui viene descritta il corrispondente modello della Frau Vanity Fair con il richiamo al doc. n. 1 e poi pag. 37 contenente le precisazione delle conclusioni) sia nell’atto di citazione in riassunzione (vedasi in particolare pag. 12, pag. 27 nella parte in cui viene descritta il corrispondente modello della Frau Vanity Fair con il richiamo al doc. n. 1 e poi alla pag. 42 contenente le conclusioni rassegnate come sopra riportate). Per cui non può esserci dubbio che anche tale modello sia stato oggetto delle domande attoree.


2) Poltrona LYRA vs. poltrona EURO - A 107 (Allegato 2 di 1MPA; pag. 10 della CTU)

La forma della poltrona LYRA appare distinguersi per l’evoluzione sinuosa e assottigliata dei braccioli, per la seduta particolarmente ampia e profonda in rapporto all’altezza dei braccioli stessi e dello schienale, nonché per la curvatura del bordo superiore di quest’ultimo. I medesimi elementi sono riscontrabili nella poltrona ATOM modello EURO A-107, che in verità appare come una piena riproduzione della poltrona LYRA, al di là di scarti dimensionali o comunque di natura minore, non percepibili o comunque irrilevanti sul piano dell’osservazione sintetica.


3) Divano EDOARDO vs. divano AARON (Allegati 3a e 3b di 1MPA; pag. 10 della CTU)

Nel divano EDOARDO, più che i piedi sferici che hanno tra l’altro una visibilità piuttosto ridotta, e la forma complessiva dei braccioli che non si discosta da stilemi percepiti come classici, a richiamare l’attenzione è la lavorazione capitonné sullo schienale limitata a una linea orizzontale e che esclude un’ampia porzione superficiale di base dello schienale medesimo. Il divano AARON della ATOM presenta una soluzione estetica collimante, senza che si notino elementi di differenziazione, anche eventualmente in altre parti della struttura, al di là di una certa, ma non sufficientemente significativa, alterazione delle proporzioni.


4) Divano BONNIE vs. divano BOSTON (Allegati 4a e 4b di 1MPA; pag. 10 della CTU)

Nel divano BONNIE di POLTRONA FRAU la lavorazione a losanghe dello schienale forma nella zona superiore un motivo a pieghe dritte parallele molto marcato e che incide piuttosto profondamente anche il bordo superiore dello schienale. Non del tutto usuale appare anche l’evoluzione con marcata rientranza, quasi a spigolo, delle facce frontali dei braccioli. Entrambi questi elementi sono presenti nel modello BOSTON della ATOM, sia nella variante a 2 posti sia nella variante a 3 posti. Alcune differenze rilevabili analiticamente nella forma dei  piedini, nel  disegno del  capitonné, nelle proporzioni tra schienale e seduta, non si ritengono idonee ad alterare la percezione sintetica di uguaglianza tra le forme dei due prodotti confrontati;


5) Divano DREAM vs. divano CLELIA (Allegati 5a e 5b di 1MPA; pag. 11 della CTU)

Nel modello DREAM di POLTRONA FRAU si nota i che i due cuscini (uno per ciascun posto a sedere e non particolarmente “gonfi”) formanti la seduta del divano coprono, nella vista frontale, una porzione dei due braccioli, che così appaiono poco emergenti dalla seduta stessa. Anche la base del divano  ha un uno sviluppo particolarmente massiccio e coprente. Ancorché di modesta portata, si ritiene che questi elementi considerati in sintesi e nel contesto possano avere una qualche valenza distintiva. Si trovano queste caratteristiche anche nel divano CLELIA di ATOM, vuoi nella versione a 2 posti vuoi in quella a 3 posti, senza apporto di differenze che non siano minori varianti dimensionali, e quindi capaci di alterare la percezione sintetica della forma in raffronto a quella del prodotto POLTRONA FRAU.


6)Poltrona FUMOIR vs. poltrona RELAX (Allegato 6 di 1MPA; pag. 11 della CTU)

La poltrona FUMOIR ha una seduta molto bassa e priva di cuscino; il corpo unitario a pozzetto che forma al contempo braccioli e schienale definisce facce frontali slanciate e sinuose. ATOM adotta queste stesse soluzioni estetiche, con differenze che di nuovo sono relegabili a un ambito (quello delle alterazioni dimensionali di un ordine di grandezza minore) non in grado di incidere sull’impatto estetico complessivo del prodotto.<

 

7) Divano MASSIMO vs. divano CONTEMPORANEO 3 (Allegato 7 di 1MPA; pag. 11-12 della CTU)

La linea geometrica del divano MASSIMO di POLTRONA FRAU, contrariamente ai casi precedenti, appare invero della massima semplicità secondo i paradigmi usuali del divano cosiddetto “moderno”, e lo scrivente non identifica elementi che possano concorrere all’attribuzione di una vera e propria personalità a questo modello, elementi che del resto neppure la parte attrice è stata in grado di evidenziare con sufficiente nitidezza. Peraltro, e a maggior ragione in un contesto – per così dire – di convenzionalità della forma, in cui assume un peso anche una differenza non trascendentale in valore assoluto, appaiono in questo caso valorizzabili delle apprezzabili distinzioni tra il modello di ATOM e quello di POLTRONA FRAU. Lo spessore delle spalle/braccioli è sensibilmente diverso, così come l’altezza dello zoccolo di base in rapporto all’altezza complessiva del divano. Anche per effetto di tali differenze, parametrate nel contesto di caratteristiche generali convenzionali, non è possibile considerare il divano CONTEMPORANEO una riproduzione del divano MASSIMO.
 

8) Poltrona 1919 vs. poltrona ELISABETH (Allegato 8 di 1MPA; pag. 12 della CTU)

Per la poltrona 1919 si può evidentemente parlare di una reinterpretazione di un modello classico, in particolare  una  cosiddetta “bergère”.  Non appare tuttavia evidente  per via di quali peculiarità stilistiche tale reinterpretazione possa acquisire una vera e propria identità estetica rispetto ai modelli classici, e in particolare quelli riconducibili allo stile cosiddetto “Chesterfield”. Lo stesso CTP Rondano non fornisce una chiave interpretativa precisa in proposito, limitandosi a segnalare il capitonné sullo schienale,  che tuttavia, in questo caso, ha un utilizzo discreto e in linea con i canoni di utilizzo standardizzati di questo motivo. Il piattino posacenere potrebbe offrire un contributo, ma il confronto deve operare sulla versione che ne è priva, come ne è priva la poltrona prodotta da ATOM (modello ELISABETH). Pur nell’innegabile prossimità tra le forme dei due modelli, non è in questo caso possibile, ad avviso dello scrivente, coinvolgere in tale giudizio di congruenza il discernimento di caratteristiche potenzialmente distintive (cfr. anche le risposte del CTU alle osservazioni dei CTP; vedasi in particolare -quanto alle risposte al CT di parte attrice- quanto correttamente il CTU ha risposto alle pagg. 20-21 ove ha affermato: “Si fa notare in primo luogo che, per quanto riguarda il modello 1919 di POLTRONA FRAU lo stesso CTP Rondano afferma nella sua prima memoria: “Reinterpretazione del classico modello a bergère, la poltrona 1919 aggiunge, rispetto alle sue progenitrici, la forza del caratteristico capitonné, utilizzato per lo schienale”. Nessuna particolare rilevanza viene assegnata a altre caratteristiche, e in particolare ai supporti laterali per la testa, che si intendono dunque riconducibili ai modelli classici, e non può essere diversamente essendo quel genere e forma di “ali” di supporto per la testa un elemento tipico della poltrona bergère. Non ci sono dunque i presupposti per considerare né i supporti per la testa, né la rientranza delle facce frontali dei braccioli come caratteristiche potenzialmente distintive. Con riferimento alla rientranza appena citata, si fa anche notare che nel modello 2019 tale rientranza è ben diversa da quella del divano BONNIE, ove essa è nettamente più brusca e pronunciata”).


9) Letto AURORA DUE vs. letto ALBA (allegato 9 di 1MPA; pag. 12-13 della CTU)

Nel letto AURORA DUE la testata molto ampia e slanciata si prolunga fino a terra a formare due piedi posteriori di supporto del letto ed è interessata da una lavorazione a impunture che esercita un richiamo retrò che contrasta con la linea genericamente “moderna”. Inoltre, il supporto anteriore del letto è definito da un'unica struttura di forma trapezoidale che si estende per tutta la larghezza del letto stesso. Si tratta di caratteristiche potenzialmente distintive  che sono presenti in modo sostanzialmente identico nel letto ALBA di produzione ATOM, al di là di presunte e insignificanti variazioni, in particolare dimensionali, che non incidono sulla percezione estetica complessiva.
 

10) Letto I RONDO' SEI vs. letto MINOSSE 2 (Allegato 10 di 1MPA; cfr. pag. 13 della CTU)

Il letto I RONDO' SEI adotta un’imponente testata con lavorazione a capitonné che si prolunga fino a terra per tutta la larghezza del letto e bordo superiore arcuato. Appare proprio quest’ultima caratteristica a conferire primariamente personalità al letto, caratteristica che si presenta anche nel modello MINOSSE 2 prodotto da ATOM. Quest’ultimo presenta una fascia laterale “giro letto” visibilmente  più alta  rispetto al modello di POLTRONA FRAU, ma se sul  piano analitico tale differenza è discernibile, riteniamo che essa ben difficilmente possa essere apprezzata come elemento incisivo sull’impronta complessiva del prodotto.
 

11) Letto I RONDO' DUE vs. letto NOTTURNO (Allegato 11 di 1MPA; cfr. pag. 13 della CTU)

Il letto I RONDO' DUE, similmente al precedente, adotta un’ampia testata che si estende fino a terra offrendo appoggio posteriore al letto per tutta la sua lunghezza, il cui elemento caratterizzante risiede qui nel profilo laterale a trapezio rettangolo, con una faccia frontale inclinata  rivestita da due voluminosi cuscini. Si assiste a tale configurazione anche nel letto NOTTURNO di ATOM, che anche per il resto non esibisce varianti significative al confronto sintetico.
 

12) Letto NUAGE 2 vs. letto PARIDE (Allegato 12 di 1MPA; cfr. pag. 13 della CTU)

Il letto NUAGE 2 adotta una testata anche in questo caso di ampia superficie e lavorazione capitonné, ma sospesa rispetto al terreno e incurvata (con concavità rivolta posteriormente, o verso l’esterno del letto). Gli stessi spunti stilistici salienti sono adottati nel corrispondente letto di ATOM, con differenze che se sussistono sono comunque indistinguibili secondo l’approccio sintetico più volte richiamato.


13) Sedia VITTORIA vs. sedia CRISTINA (Allegato 13 di 1MPA; cfr. pagg. 13-14 della CTU)

Nella sedia VITTORIA di POLTRONA FRAU su una linea complessiva asciutta e tendenzialmente moderna si innesta un motivo retrò determinato dalla voluta con cui termina superiormente lo schienale pieno e arcuato (a prolungamento  della curvatura delle gambe posteriori), e dalla lavorazione a filetto del fianco di seduta e schienale. In un contesto di pressoché assoluta identicità la sedia CRISTINA di ATOM adotta una combinazione delle medesime soluzioni stilistiche.
 

14) Sedia VITTORIA OFFICE vs. sedia CRISTINA OFFICE (Allegato 14 di 1MPA; cfr. pag. 14 della CTU)

Considerazioni del tutto analoghe a quelle del caso precedente si applicano a questi modelli, visto che seduta e schienale sono gli stessi delle sedie VITTORIA (e CRISTINA), cambiando solo la struttura metallica inferiore di sostegno a cinque bracci curvi con ruote piroettanti. Anche tale struttura è adottata in comune da POLTRONA FRAU e da ATOM per queste varianti OFFICE. La lieve differenza nell’andamento della curvatura riscontrabile in una versione della “CRISTINA OFFICE” non consente di giungere a conclusioni difformi rispetto a quella maturata per il caso delle sedie non da ufficio.
 

15) Sedia FORUM vs. sedia A 134 OFFICE (Allegato 15 di 1MPA; cfr. pag. 14 della CTU)

La sedia FORUM di POLTRONA  FRAU applica  a una poltrona  da scrivania con braccioli caratteristiche di stile analoghe a quelle sopra evocate per la sedia VITTORIA (voluta a ricciolo del bordo superiore, finitura del fianco), con in più l’applicazione della voluta anche al bordo frontale della seduta, l’impronta poggiatesta, e una particolare conformazione dei braccioli a nastro ritorto.

Tali soluzioni, a dispetto di qualche variazione (impronta poggiatesta leggermente diversa, spessori asseritamente non del tutto congruenti ecc.) sono esibite in stretta conformità dalla sedia A134 OFFICE di ATOM.


16) Sedia OXFORD vs. sedia HAMILTON HIGH (Allegato 16 di 1MPA; cfr. pagg. 14-15 della CTU)

Nella sedia OXFORD che trae evidentemente spunto da suggestioni classicheggianti combinate con un “moderno” supporto metallico a ruote, si notano braccioli a pozzetto particolarmente bassi e fini in proporzione a uno schienale imponente e di profilo trapezoidale con un’estesa lavorazione capitonné sulla superficie interna. La sintesi di tali elementi è di fatto la stessa adottata dalla poltrona di ATOM, salvo che per una minima variante nell’angolazione dei bracci del supporto metallico, comunque non significativa rispetto all’immagine complessiva del prodotto.


17) Divano CHESTER vs. divano CHESTERFIELD (Allegato 17 di 1MPA; cfr. pag. 15 della CTU)

Il divano CHESTER, come il nome stesso suggerisce, è una creazione di fortissima impronta classicheggiante, sostanzialmente paradigmatica dello stile “Chesterfield”. Contrariamente ad altri casi sopra esaminati, in cui vari richiami a tale stile erano declinati, rivisti e/o combinati attingendo esiti di potenziale distintività, in questo caso a dire il vero il complesso del prodotto appare come un esempio sostanzialmente paradigmatico di sofà “Chesterfield” la cui – per così dire – “classicità non distintiva” è pacificamente riconoscibile e del resto neppure contraddetta da POLTRONA FRAU. A tale proposito, anche quelli che il CTP evidenzia come (unici) elementi salienti, cioè il plissé dei braccioli che terminano superiormente con riccioli a voluta aperta, e la ricca lavorazione a capitonné del manto, appaiono infatti a loro volta motivi tipici del suddetto stile, e utilizzati proprio secondo i dettami di usuale pertinenza. Per questi motivi, pur nell’indiscutibile sostanziale congruenza tra le forme del modello di ATOM e quelle del divano di POLTRONA FRAU, lo scrivente non ritiene possibile coinvolgere, in tale conclusione di  sovrapponibilità,  delle  caratteristiche che siano dimostrabili come potenzialmente distintive (cfr. anche le risposte del CTU alle osservazioni dei CTP; vedasi in particolare -quanto alle risposte al CT di parte attrice- quanto correttamente il CTU ha risposto alla pag. 21 ove ha affermato: “Quanto alla lavorazione a plissé sui braccioli del divano CHESTER, è evidente e confermato dallo stesso CTP che una lavorazione di quel genere in quella posizione non sia da considerarsi peculiare, e che la peculiarità si ravviserebbe semmai nella fittezza delle pieghe risultanti dalla lavorazione. Siamo di fronte dunque a un’unica, per così dire, sotto-caratteristica, a cui per la sua natura di dettaglio appare problematico assegnare un potere distintivo che si riverberi efficacemente sul modello. Passando al gruppo di modelli per i quali, nelle conclusioni provvisorie, si era denegato il rischio di confusione (per via di differenze più o meno marcate nel raffronto tra i prodotti), le osservazioni del CTP Rondano, anche tenuto conto di quanto appena sopra precisato in relazione al plissé (applicabile anche al modello CHESTER ONE), non apportano in verità alcun nuovo argomento o elemento di rilievo rispetto a quelli già considerati in funzione delle conclusioni provvisori”).


18) Divano CHESTER ONE vs. divano CHESTERFIELD BIG (Allegato 18 di 1MPA; cfr. pagg. 15-16 della CTU)

Considerazioni di base analoghe a quelle appena sviluppate in relazione al divano CHESTER appaiono applicabili al divano CHESTER ONE, nel quale può al  massimo essere rilevabile la peculiarità di una seduta con cuscini particolarmente sottili, e basamento di altezza relativamente ridotta, rispetto allo sviluppo in larghezza del divano. Tuttavia, proprio tale ipotetica peculiarità non è riscontrabile nel modello ATOM, che ha cuscini marcatamente più alti e “tozzi”, e anche un basamento che appare più alto. La differenza in questione, di nuovo tarata sul contesto di caratteristiche generali per il resto convenzionali, porta di fatto a negare che il modello ATOM possa essere considerato una riproduzione del modello POLTRONA FRAU.
 

19) Sedia LIZ vs. sedia MELANIA (Allegato 19 di 1MPA; cfr. pag. 16 della CTU)

Anche per la sedia LIZ, come per il divano MASSIMO sopra esaminato, la semplicità, l’essenzialità geometrica delle linee di sedia “moderna” rasentano la connotazione di archetipo, e l’unico elemento esplicitato da parte attrice come esteticamente saliente o dominante è il profilo arcuato dello schienale,

che però riprende a sua volta un tratto del tutto tipico per questo elemento di una sedia. Su questa base, e considerando la sedia MELANIA di ATOM, non appare lecito parlare di riproduzione, tanto più notando come le gambe posteriori della sedia MELANIA hanno un andamento percettibilmente curvo, che le differenzia dalle gambe dritte della LIZ.

 

20) Poltrona CASSINA LC2 vs. poltrona HOME C (Allegato 20 di 1MPA; cfr. pagg. 16-17 della CTU)

Per questo modello di CASSINA ci si sposta su un terreno differente, quello cioè del diritto d’autore.

Siamo infatti di fronte a un’opera “museale” del maestro Le Corbusier, icona del razionalismo e per la quale è inequivocabile l’attribuzione del valore artistico previsto dall’art. 2, n. 10, LDA. Tale attribuzione è confermata dalle numerose decisioni giurisprudenziali citate da parte attrice nella sua prima memoria (a cui si rimanda), ed è chiaramente irrilevante l’ipotetica ricorrenza, sul mercato, di episodi di plagio, così come il richiamo al regolamento CE n. 6/2002 del 12 dicembre 2001 anche solo per il fatto che questo riguarda i disegni e modelli registrati (e non appunto le opere autoriali).

La severa struttura in acciaio cromato esterna ed in vista, a contenere cuscini in pelle indipendenti dalla struttura stessa il tutto secondo volumi e geometrie coerentemente parallelepipedi, può ben dirsi un contenuto di natura espressiva che è divenuto una vera e propria icona del razionalismo. Considerando la poltrona HOME C di ATOM, e in questo caso essendo ben possibile ricorrere al semplice raffronto fotografico dei due oggetti uno accanto all’altro, è immediato concludere che essa riproduce gli elementi che sono espressione della creazione intellettuale di Le Corbusier, essendo la prima una riproduzione praticamente integrale della seconda (cfr. anche la risposta del CTU alle osservazioni tecniche del CT di parte convenuta e riportate alla pag. 24 dell’elaborato ove l’ausiliario ha affermato che: “Per quanto riguarda il modello CASSINA LC2, le osservazioni di ATOM non affrontano l’unico nodo realmente pertinente, cioè il carattere creativo e valore artistico di questa opera, che appare in verità indiscutibile e non affetto dalla presenza di eventuali “copie” che possano aver occupato, con maggiore o minore diffusione, il mercato. Anche in questo caso, si pretende che le differenze dimensionali e nella foggia dei cuscini permettano di escludere il plagio, ma il confronto tra i due prodotti posti uno accanto all’altro è eloquente ed evidenzia una congruenza spinta in ogni aspetto significativo del prodotto”).

Orbene -da quanto sopra e dal particolareggiato esame comparativo dei modelli effettuato dal CTU- deve concludersi per la totale confondibilità dei prodotti sopra riportati, alcuni di essi fra l’altro quasi perfettamente identici, sottolineando che si deve considerare la apparenza complessiva del prodotto, così come viene  immediatamente percepita  dal consumatore medio, nel quadro di un giudizio sintetico.

Tutti i prodotti sopra esaminati dal CTU recano una forma individualizzante, tale da essere percepibile, oltre che dall'utilizzatore informato, anche dal consumatore medio.

Restando esclusa la standardizzazione dei modelli esaminati.

Deve altresì escludersi che l'apposizione del marchio delle società produttrici (ovvero le società attrici) possa essere considerato, nella specie e diversamente da quanto sostenuto dalla difesa di parte convenuta, come elemento idoneo a scongiurare la confondibilità dei propri prodotti con quella della società convenuta senza dubbio concorrente (sul punto si richiama anche in motivazione Cass. 1997 n. 1541 – sopra più volte citate- ove si afferma: “la ritenuta confondibilità dei due prodotti non è affatto esclusa dalla circostanza che un marchio possa, di per se, ricondurre quella produzione ad un soggetto anziché ad un altro. Il giudizio di confondibilità consegue ad una valutazione sintetica e complessiva. Se esso è formulato non può essere, e non è, neutralizzato dalla esistenza del marchio - che può attribuire la realizzazione di quel prodotto ad uno specifico produttore - allorché, in concreto, si ritiene che quel marchio non adempia la sua funzione qualificante per le modalità con cui è stato utilizzato. Ed allora, la ritenuta confondibilità dei due prodotti determina, o può determinare, effetti assolutamente incontrollabili nella condotta della clientela, con conseguenza sul piano economico- commerciale affatto imprevedibili. E perciò da evitare ed eliminare).

Né può superare il suddetto giudizio di confondibilità le ulteriori circostanze addotte dalla convenuta ovvero l’apposizione sui propri prodotti del proprio marchio o logo stilizzato “A” e le asserite (invero indimostrate) diverse modalità e tempi della distribuzione.

Invero l’apposizione del solo logo stilizzato “A” e del nome Albani più che differenziare, accentua la confusione in quanto non consente di individuare immediatamente la società Atom come produttrice del prodotto imitato così ingenerando nel “consumatore medio” l’idea, la convinzione o la percezione che possa trattarsi di modelli comunque prevenienti dalla più famosa casa madre (ovvero da Poltrona Frau).

Si rammenta che il divieto dell'imitazione servile tutela l'interesse a che l'imitatore non crei confusione con i prodotti del concorrente, realizzando le condizioni perché il potenziale acquirente possa equivocare sulla fonte di produzione.

Nel caso concreto, a fronte dell'accertamento della sussistenza di un illecito concorrenziale da parte della Atom quest'ultima non ha superato la presunzione di colpa di cui all’art. 2600 c.c, per cui anche l'elemento soggettivo dell'illecito concorrenziale ex art. 2598 c.c. deve ritenersi sussistente.

Inoltre, come emerge dalle risultanze della CTU (vedasi il punto 20), “la Poltrona CASSINA LC2 gode di protezione anche secondo la normativa sul diritto di autore  trattandosi di opera dell'ingegno poiché riveste la caratterizzazione soggettiva tipica del diritto d'autore, nel senso della sua creatività e della novità soggettiva dell'idea da cui la sua elaborazione è scaturita, che rappresentano gli elementi costitutivi del diritto d'autore sull'opera dell'ingegno, e realizzano i requisiti per beneficiare della protezione richiesta sia sotto il profilo della compiutezza espressiva, della sua attitudine ad essere considerata autonomo apporto creativo (cfr. Cass. n. 24594/05, n. 15496/2004)”.

A tal riguardo in diritto va rilevato che:

- Il carattere creativo e la novità dell'opera sono elementi costitutivi del diritto d'autore sull'opera dell'ingegno; ne consegue che, prima ancora di verificare se un'opera possa costituire plagio di un'altra, il giudice del merito deve verificare, anche d'ufficio, se quest'ultima abbia o meno i requisiti per beneficiare della protezione richiesta, e ciò sia sotto il profilo della compiutezza espressiva, sia sotto il profilo della novità (cfr. fra le tante anche in motivazione Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24594 del 23/11/2005; Cass. 2011 n. 25173; Cass. 2014 n. 13524);

- La protezione del diritto d'autore di qualsiasi opera, postula, infatti il requisito dell'originalità (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 581 del 2007 anche in motivazione).

- Si pone dunque la necessità di stabilire se l'opera sia o meno frutto di un'elaborazione creativa originale rispetto ad opere precedenti, ancorchè con due importanti precisazioni: che la creatività e l'originalità sussistono anche qualora l'opera sia composta da idee e nozioni semplici, comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia propria dell'opera stessa, purché formulate ed organizzate in modo personale ed autonomo rispetto alle precedenti; e che la consistenza in concreto di tale autonomo apporto forma oggetto di una valutazione destinata a risolversi in un giudizio di fatto, come tale sindacabile in sede di legittimità soltanto per eventuali vizi di motivazione Sez. 1, Sentenza n. 581 del 2007 anche in motivazione; si vedano tra le altre, in argomento, Cass. 27-10- 2005, n. 20925, e Cass. 2-12-1993, n. 11953);

- Soltanto in relazione ad un opera che abbia il menzionato requisito dell'originalità, la legge sul diritto d'autore, con l'affermazione di carattere generale di cui all'art. 12 c.c., e l'art. 2577 c.c. attribuiscono all'autore il diritto di sfruttare l'opera (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 745 del 2007);

- La Suprema Corte ha già avuto occasione di chiarire che il concetto giuridico di creatività, cui fa riferimento la norma della L. n. 633 del 1941, ex art. 1, non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, riferendosi, per converso, alla personale e individuale espressione di un'oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell'art. 1 della Legge citata, di modo che un opera dell'ingegno riceve protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore, con la conseguenza che la creatività non può essere esclusa soltanto perché l'opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia. (Cass. 5089/04).

Il concetto giuridico di creatività, elevato, come visto, a presupposto della tutela accordata dalla legge 633/1941 al diritto d'autore postula che l'opera dell'ingegno sia frutto di «personale e individuale espressione di un'oggettività appartenente alle categorie elencate in via esemplificativa nell'art. 1 della legge» e consiste non già nell'idea che alla base della sua realizzazione «ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività» (Cass., Sez. I, 28/11/2011, n. 25173) o, come di nuovo da ultimo ribadito in ambito eurounitario, «che rifletta la personalità del suo autore, manifestando le scelte libere e creative di quest'ultimo» (C. Giust. 12.9.2019, C-683/17, Cofemel).

- Va osservato a tale proposito che la creatività, nell'ambito di tali opere dell'ingegno, non è costituita dall'idea in sè, ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende, e che in quanto tale rileva per l'ottenimento della protezione;

Non diverso concetto risulta espresso nella relazione che accompagnava il progetto della legge sopra menzionata, nella quale si sottolinea l'esigenza che "l'opera abbia un merito, sia pure modesto, perché altrimenti non avrebbe il valore creativo che giustifica la protezione e che dà all'opera la necessaria originalità". Il carattere di creatività coincide, in sostanza, con quello di originalità rispetto ad opere precedenti e non può essere, quindi, escluso sol perché l'opera sia composta da idee e nozioni "semplici", comprese nel patrimonio intellettuale di persone "aventi esperienza nella materia", tanto più che come autorevole dottrina ha precisato oggetto della protezione del diritto di autore non è l'idea o il contenuto intrinseco dell'opera, ma la rappresentazione formale ed originale in cui essa si realizza, ai fini della comunicazione ai terzi.

Occorre riconoscere la tutela del diritto di autore, fin dall’epoca della loro creazione, anche ad opere del  design mai oggetto di alcuna registrazione precedente al 19.4.2001, posto che siano rispettati i requisiti (valore artistico e carattere creativo nel senso appena sopra precisato) per accedere a tale protezione (cfr. sul punto anche in motivazione fra le tante Cass. 2015 n. 22118; Sul punto la S.C. ha precisato che: “a seguito dell'intervento della CE (ora UE) nella materia (con la direttiva n. 98/71/CE), l'Italia, con il d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 95, di attuazione dello strumento comunitario ha, da un lato, eliminato il criterio della scindibilità contenuto nell'art. 2, n. 4 LA (sopprimendo 1' inciso: « anche se applicate all'industria, sempreché il loro valore artistico sia scindibile dal carattere industriale del prodotto al quale sono associate») e, da un altro, inserito nell'elenco delle opere protette un nuovo numero, il 10, relativo alle «opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico». Né l'espressione «di per sè ».. contenuta nel menzionato art. 2, n. 10, può essere intesa come una sorta di nuova introduzione, in diversa forma, del citato criterio della scindibilità, atteso che in senso del tutto opposto (ossia, nella direzione dell'eliminazione di quella posizione, tutta interna alla nostra legislazione nazionale) era l'orientamento dell'allora legislatore comunitario (fin dal «Libro verde sulla tutela giuridica dei modelli e disegni industriali», elaborato dalla Commissione CE nel 1991, per finire con l'approdo alla direttiva n. 98/71/CE) teso a dare valore all'opera del design, senza prescindere cioè dal carattere industriale del prodotto in cui sono incorporate, ma lasciando libero in ciascuno Stato nazionale di determinare «l'estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere».).

Venendo al caso di specie, si deve rilevare che nel caso in esame sussistono i requisiti di novità ed originalità in relazione alla suddetta Poltrona CASSINA LC2 come ben evidenziato dal CTU (secondo quanto sopra testualmente riportato) tanto che la predetta assurge ad opera tutelabile, alla luce della normativa invocata, e di cui la poltrona HOME C di parte convenuta costituisce indiscutibilmente un plagio essendone una riproduzione integrale (sul punto si richiamano anche i precedenti citati dalla difesa attorea ovvero ex multis, Tribunale di Milano, 9 gennaio 2014, Cassina S.p.a. c. High Tech S.r.l., doc. 18; Tribunale di Venezia, ord. 15 dicembre 2010, Cassina S.p.a. c. Infurn S.r.l.; Trib. Di Firenze, ord. 7 novembre 2011, Cassina S.p.a. c. Leather Form S.r.l.; Corte di Appello di Firenze, sent. 1685/2016 pubblicata il 17.10.2016; Trib. Firenze, sentenza n. 1115/2015, pubbl. il 01/04/2015, Cassina v. Matrix Internationa S.r.l.)

Si  è già sopra detto che nelle conclusioni depositate in data 11/01/2022 la difesa attorea non ha riportato la domanda relativa alla violazione del diritto d’autore relativa al letto I Rondo’ Sei rispetto alla quale – come si è già visto- lo stesso CTU ne ha valutato la sola imitazione da parte del corrispondente modello della convenuta.

Tuttavia rispetto ad esso non si rinvengono le caratteristiche di cui sopra come emerge dalla stessa descrizione fattane dal consulente. Sul punto si richiama efficacemente anche la sentenza del Tribunale di Torino n. 3257/2016 depositata dalla attrice sub doc. 24 – e che ivi si fa propria- nella quale si è esclusa la natura artistica e creativa del citato modello.

Infatti alla pag. 13 si legge: “non si ravvisano invece particolari connotazioni creative o artistiche nel letto I Rondò Sei, la cui forma – pur certamente elegante- non va oltre il limite della gradevolezza estetica, non presenta peculiarità funzionali ed è assimilabile a molti prodotti presenti sul mercato” (La citata sentenza è stata ritualmente depositata dalla difesa attorea dinanzi al Tribunale di Bologna non essendo fondata la relativa eccezione sollevata dalla convenuta e ciò anche in relazione alla restante documentazione prodotta. Infatti sono stati depositati in giudizio all’udienza del 27 gennaio 2016, perché formatisi successivamente alla scadenza dei termini istruttori scaduti in data 30/10/2014, ovvero, rispettivamente, in data 16 ottobre 2015 (verbale di escussione testi – doc. 22), 23 dicembre 2015 (diffida Poltrona Frau – Cassina /Atom) e 8 giugno 2016, quanto alla sentenza del Tribunale di Torino).

Va rigettata l’eccezione sollevata dalla difesa di parte convenuta la quale ha invocato la moratoria di cui all’art. 239 c.p.i.

Come è noto la citata disposizione (nel testo attualmente vigente dopo la novella da ultimo apportata dall’art. 22 bis del D.L. n. 216/2011 convertito con legge n. 14/2012) recita:” La protezione accordata ai disegni e modelli ai sensi dell'articolo 2, n. 10), della legge 22 aprile 1941, n. 633, comprende anche le opere del disegno industriale che, anteriormente alla data del 19 aprile 2001, erano, oppure erano divenute, di pubblico dominio. Tuttavia i terzi che avevano fabbricato o commercializzato, nei dodici mesi anteriori al 19 aprile 2001, prodotti realizzati in conformità con le opere del disegno industriale allora in pubblico dominio non rispondono della violazione del diritto d'autore compiuta proseguendo questa attività anche dopo tale data, limitatamente ai prodotti da essi fabbricati o acquistati prima del 19 aprile 2001 e a quelli da essi fabbricati nei tredici anni successivi a tale data e purché detta attività si sia mantenuta nei limiti anche quantitativi del preuso”.

Orbene – al di là della questione della compatibilità o meno della citata disposizione con quanto stabilito dall’art. 17 della Direttiva n. 71/98 secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza del 2011 (questione largamente dibattuta anche in giurisprudenza) ciò che rileva in questa sede è l’assenza di svolgimento da parte della convenuta di una attività imprenditoriale di fabbricazione e commercializzazione del prodotto in replica nel periodo 19/04/2000-19/04/2001 (che costituisce il primo presupposto per la citata disposizione) posto che dalle visure camerali depositate in atti emerge che la società Atom è stata costituita in data 13/12/2001 ed è stata iscritta nel registro delle imprese in data 10/01/2002 (come data di inizio di attività di poltronificio è indicata quella del 01/02/2002; per cui è del tutto inconferente il listino prezzi del 1999 depositato dalla difesa di parte convenuta sub doc. n. 5 allegato alla memoria di cui all’art. 183 comma VI n. 2 c.p.c. depositata in data 13/10/2014 in quanto non è riferita alla società convenuta – non ancora costituita- ma alla diversa ditta denominata Atom Imbottiti; ugualmente dicasi in relazione ai testi Potetti e Bellini i quali hanno dichiarato di essere stati dipendenti della convenuta rispettivamente dal 1997 e dal 1998. Le suddette dichiarazioni –  non solo contrastano con le risultanze della visura camerale- ma non sono state upportate da prova scritta non avendo parte convenuta prodotto documentazione a riscontro. Per cui le relative dichiarazioni non possono essere considerate riferite alla odierna convenuta che lo si ripete ha iniziato la relativa attività solamente nel 2002: né vi è prova – ulteriore rispetto  alle suddette dichiarazioni testimoniali- della produzione della poltrona in questione nel periodo 19/04/2000- 19/04/2001. Appare invece verosimile che i suddetti testi facessero riferimento alla ditta Atom Divani di cui era titolare il sig. Albani Enrico e che aveva iniziato la propria attività nel 1983 come dal predetto dichiarato alla udienza del 30/05/2015 del giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale di Torino e il cui verbale è stato ritualmente ivi depositato dalla odierna parte attrice. Per cui trattasi di un soggetto distinto e diverso dalla odierna convenuta. Ne discende quini anche il rigetto delle richieste istruttorie reiterate da parte convenuta con conseguente conferma delle decisioni assunte dai G.I.).

Per cui la convenuta non può vantare nessun diritto acquisito a sostegno della propria iniziativa commerciale contestata da Cassina in questa sede.

La già rilevata assenza dello svolgimento di qualsiasi attività in epoca antecedente al 19/04/2001 esclude la possibilità di invocare la buona fede da parte della odierna convenuta con riferimento al citato art. 239 c.p.i. poiché è rimasto indimostrato il primo presupposto dell’operativà della citata disposizione anche con riferimento alle precedenti versioni succedutesi negli anni.

Infine appare utile rammentare che secondo la S.C. la responsabilità per danni da lesione del diritto d'autore non richiede «l'esistenza di un rapporto concorrenziale fra l'attività   del soggetto che si assume danneggiante e l'attività del soggetto che si assume danneggiato», in quanto l'accertamento della lesione del diritto tutelato dalla norma in questione giustifica di per sé l'azione risarcitoria e ciò perché la legge tutela, in ogni caso, colui che sia stato leso nell'esercizio del suo diritto d'autore; (Cass. 23 luglio 1999, n. 7971; Cass. 2021 n. 21833 in motivazione).

Pertanto la domanda attorea avanzata ex art. 2598 n. 1 c.c merita accoglimento (la circostanza addotta dalla difesa di parte convenuta in sede di comparsa conclusionale secondo il divano Aaron, il divano Boston, il letto Minosse 2 e il letto Paride non sarebbero più in produzione non solo non risulta dimostrata né vi è prova della data di effettiva cessazione della relativa produzione ma sarebbe comunque ininfluente ai fini sia dell’accertamento della responsabilità che della relativa inibitoria).

Inoltre la difesa della società attrice ha lamentato la violazione da parte della convenuta anche del precetto di cui all’art. 2598 n. 3 c.c. (vedasi pagg. 31-34) ritenendo che la sistematica imitazione da parte della convenuta di un gran numero di modelli della Frau e della poltrona C2 di Cassina (facente parte del medesimo gruppo imprenditoriale) comportava un indebito vantaggio per la Atom soprattutto considerando che quest’ultima non aveva dovuto sopportare alcun costo di progettazione, sviluppo, marketing pubblicitario limitandosi a sfruttare gli investimenti effettuati dalle attrici e agganciandosi alla notorietà delle stesse, come era stato già affermato dal Tribunale di Torino nella sentenza del 2016 depositata.

Orbene come è noto la S.C. con riferimento al n. 3 del citato articolo ha affermato che: “la concorrenza sleale parassitaria, ricompresa fra le ipotesi previste dall'art. 2598, n. 3 c.c., che riguarda comportamenti idonei a danneggiare l'altrui azienda con ogni «altro» mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale, si riferisce a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici di cui ai precedenti nn. 1 e 2, onde ove si sia correttamente escluso ... nell'elemento dell'imitazione servile dei prodotti altrui il centro dell'attività imitativa (requisito pertinente solo alla fattispecie di concorrenza sleale prevista dal n. l dello stesso art. 2598) devesi indicare quali siano state le attività del concorrente sistematicamente e durevolmente plagiate, con l'adozione e lo sfruttamento, più o meno integrale ed immediato, di ogni sua iniziativa, studio o ricerca, contraria alle regole della correttezza professionale” (cfr. in motivazione Cass. 2015 n. 22118)

Infatti la S.C. ha altresì precisato che: “In tema di concorrenza sleale, l'ipotesi prevista dall'art. 2598, n. 3, cod. civ. - consistente nell'avvalersi direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo «non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda» - si riferisce a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici previsti dai precedenti nn. 1 e 2 della medesima disposizione e costituisce un'ipotesi autonoma di possibili casi alternativi, per i quali è necessaria la prova in concreto dell'idoneità degli atti ad arrecare pregiudizio al concorrente. Pertanto, se a fondamento della domanda sono allegati atti di imitazione servile, come tali integranti concorrenza sleale per la loro intrinseca idoneità a creare confusione con i prodotti e l'attività del concorrente, non può il giudice sostituire alla "causa petendi" della domanda una "causa petendi" diversa sia sotto il profilo giuridico che sotto quello dei fatti materiali, né porre i medesimi fatti, invocati dall'attore come atti di imitazione servile, a fondamento dell'accertamento della concorrenza sleale sotto il diverso profilo dell'art. 2598, n. 3, cod. civ. senza con ciò andare oltre i limiti della domanda proposta, sulla quale soltanto si è validamente instaurato il contraddittorio” (cfr. anche in motivazione Cass. 2014 n. 25652).

Si è altresì affermato che: “una relazione di continenza non è, in particolare, ravvisabile nel rapporto fra concorrenza sleale per imitazione servile e concorrenza sleale per imitazione contraria alla correttezza professionale (rispettivamente, nn. 1 e 3 dell'art. 2598 c.c.), atteso che, nel difetto dei requisiti dell'una, quale la capacità individualizzante del prodotto imitato, il riscontro dell'altra richiede, comunque, la presenza di elementi ulteriori (in particolare, la non conformità del fatto a correttezza professionale e la sua idoneità ad arrecare nocumento)" (Cass., sez. 1^, 22 ottobre 2003, n. 15761, m. 567565, Cass., sez. 1^, 18 aprile 2003, n. 6310, m. 562325, Cass., sez. 1^, 10 novembre 1994, n. 9387, m. 488505).

Orbene -nel caso in esame- la difesa delle attrice a fondamento della domanda avanzata anche ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c. (svolta in via cumulativa con quella di cui al n. 1) ha posto sostanzialmente i medesimi fatti della denunciata imitazione servile senza allegare e comunque dimostrare quel quid pluris richiesto dalla citata disposizione come sopra rappresentato non potendosi far derivare la sussistenza dei relativi presupposti dal semplice fatto che vi sono altri modelli (ovvero quelli individuati dal CTU) che sebbene non oggetto di imitazione presentano comunque sono genericamente simili ai corrispettivi modelli di POLTRONA FRAU.

Per cui la relativa domanda va respinta.

Dall’accoglimento della domanda ex art. 2598 n. 1 c.c. consegue – inoltre- che deve essere inibito ex art. 2599 c.c. (e per quanto riguarda la poltrona LC2 di cui all’art. 143  L.d.a.) alla convenuta  la produzione, commercializzazione, offerta in vendita, importazione o esportazione e pubblicizzazione dei su citati modelli ATOM ovvero: MAXIME, EURO A-107, AARON; BOSTON, CLELIA, RELAX, ALBA, MINOSSE 2, NOTTURNO, PARIDE, CRISTINA,, CRISTINA OFFICE, sedia A 134 OFFICE, HAMILTON HIGH  e la poltrona HOMME C così come meglio descritti e specificati nella CTU a firma dell’Ing. Andrea Soldatini costituiscono imitazione servile di modelli delle società attrice così come indicati e descritti sempre nella citata CTU a firma dell’Ing. Andrea Soldatini e sopra riportati.

Va -altresì- inibito alla convenuta qualsiasi utilizzo sull’indirizzo internet www.atomdivani.it (che non risulta disattivato) o su altro materiale pubblicitario ogni riferimento ed immagine dei prodotti sopra descritti, come originariamente richiesto dalla difesa attorea (non può invece essere accolta la domanda avanzata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni e relativa al sito internet www.albanidivani.com in assenza di prova del fatto che il suddetto indirizzo sia effettivamente utilizzato dalla odierna convenuta. Resta comunque inteso che alla Atom è fatto divieto di utilizzare, produrre e pubblicizzare i modelli oggetto di imitazione e/o plagio come individuati dal CTU Ing. Soldatini anche per interposta persona e/o società).

Di conseguenza vanno accolte anche le richieste di applicazione della penale e di pubblicazione della presente sentenza in quanto strettamente connesse alle richieste di inibitoria ivi accolte.

Pertanto viene disposta una somma di E. 2000,00 (ritenuta equa e proporzionata come richiesto) per ogni violazione delle condotte inibite con la presente sentenza.

Viene altresì disposta la somma di E. 2.000,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della presente sentenza a partire però dal 30’ giorno successivo alla pubblicazione della presente sentenza (si ritiene concedere il suddetto termine al fine consentire alla parte di apprestare – nel suddetto congruo lasso temporale- tutte le misure necessarie per dare compiuta esecuzione alla sentenza).

Infine la presente sentenza andrà pubblicata, a cura delle attrice e a spese della convenuta, per una volta e per estratto su di un quotidiano a tiratura nazionale e su due riviste di settore a scelta delle società attrici.

Deve essere accolta infine anche la domanda risarcitoria avanzata dalla difesa attorea sebbene nei limiti e per le ragioni che si vanno ad esporre.

Si rammenta che la difesa attorea ha chiesto il risarcimento del danno da quantificati in misura pari agli utili realizzati dalla convenuta commercializzando i beni oggetto di imitazione e/o di plagio (cfr. in particolare quanto dedotto alle pagg. 36-37 dell’atto di citazione in riassunzione).

Prima  di  esaminare  le  risultanze  della  espletata CTU  è utile  ricordare  i criteri previsti dall'ordinamento ai fini della liquidazione del risarcimento del danno da concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. e da violazione del diritto d'autore.

Come è noto in tema di concorrenza sleale, una volta dimostrata l’esistenza del danno da essa derivato è consentito al giudice l’utilizzo del criterio equitativo ex art. 1226 c.c. per la relativa liquidazione (cfr. fra le tante anche in motivazione Cass. 2017 n. 30214; Cass. 2015 n. 25921 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7306 del 2009).

Quindi il danno può essere anche commisurato (appunto in via equitativa), nell'apprezzamento delle circostanze del caso concreto, al beneficio tratto dall'attività vietata, assumendolo come utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando esso sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo.

Si rammenta infatti che simile criterio è stato espressamente codificato dal legislatore sia all’art. 158

L.d.a. che all’art. 125 C.p.i. (norme che pacificamente costituiscono una specificazione dei criteri generali di cui all’art. 2043 cc).

Con riferimento all’art. 158 L.d.a. (che ivi pure viene in rilievo con riferimento alla Poltrona LC2 come sopra detto) la S.C. con la sentenza del 2021 n. 21833 ha precisato che: “L'art. 158 I. aut. pone le seguenti regole speciali: a) il risarcimento del danno è liquidato nel rispetto degli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.: la disposizione è pleonastica, servendo solo a manifestare espressamente l'esigenza del rispetto delle regole comuni di liquidazione del danno, quanto a nesso causale, potere di liquidazione equitativa ed, ancora in tema di nesso causale, concorso del fatto dello stesso debitore; b) il lucro cessante è valutato dal giudice ai sensi dell'art. 2056, comma 2, c.c., ossia «con equo apprezzamento delle circostanze del caso», dunque ancora una volta ex art. 1226 c.c., cui si aggiunge però l'indicazione dei parametri espliciti, relativi agli «utili realizzati in violazione del diritto» ed alla liquidazione «in via forfettaria sulla base quanto meno dell'importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l'autore della violazione avesse chiesto al titolare l'autorizzazione per che il nucleo precettivo della disposizione sta soprattutto nel punto b). 2. - La norma prevede il duplice criterio della c.d. retroversione degli utili conseguiti e del c.d. prezzo del consenso, sempre nella cornice di una liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. La legge non esprime un precetto rigido di preferenza per i due criteri suggeriti; sebbene l'espressione utilizzata («quanto meno») lasci, in verità, intendere che quello del c.d. prezzo del consenso costituisce l'indicativa liquidazione di una soglia solo minima della liquidazione. I due criteri, dunque, si pongono come cerchi concentrici, avendo il legislatore indicato come il secondo sia quello che permette una 10 liquidazione c.d. minimale, mentre il primo, dall'intrinseco significato anche sanzionatorio, permette di attribuire al danneggiato i vantaggi economici che l'autore del plagio abbia in concreto conseguito, certamente ricomprendenti anche l'eventuale "costo" riferibile all'acquisto dei diritti di sfruttamento economico dell'opera, ma ulteriormente implementati dai ricavi conseguiti dal plagiario sul mercato. 3. - Il primo criterio della c.d. retroversione, o reversione, degli utili, non estraneo ad altri settori dell'ordinamento (cfr. art. 125 d.lgs. n. 30 del 2005, ove peraltro è diversamente configurato con tratti speciali; art. 2391, ultimo comma, c.c., laddove pone a carico dell'amministratore in  conflitto di interessi i danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di «opportunità di affari» apprestati nell'esercizio del suo incarico), i1. consiste nell'uso, in sede di liquidazione giudiziale del danno, del parametro dei profitti che l'autore della violazione al diritto d'autore abbia conseguito, come immediata e diretta conseguenza dello sfruttamento economico dell'opera dell'ingegno altrui. Esso non era ignoto al diritto vivente in epoca anteriore al d.lgs. n. 30 del 2005 e al d.lgs. n. 140 del 2006, quando si era affermato il principio che valesse considerare, in tema di valutazione del danno subìto dal titolare del diritto di utilizzazione economica di un'opera dell'ingegno, il beneficio tratto dall'attività vietata (Cass. 10 marzo 2016, n. 4048, che richiama a sua volta i precedenti di Cass. n. 6251 del 1983; Cass. n. 3390 del 2003; Cass. n. 8730 del 2011, nonché Cass. n. 12433 del 2008, Cass. n. 11353 del 2010). 3.1. - La ratio della norma indica che il profitto conseguito dal danneggiante è un indice presuntivo delle potenzialità di sfruttamento dell'opera sottratte all'autore e del cui depauperamento questi deve essere ristorato. Pertanto, nella liquidazione del danno ex art. 158 I. 11 aut., il lucro cessante va valutato - come espressamente previsto dalla norma - ai sensi dell'art. 2056, comma 2, c.c., anche tenuto conto degli utili illegittimamente realizzati: il c.d. criterio della retroversione degli utili costituisce, quindi, uno dei parametri che il giudice del merito utilizza nella liquidazione del danno, che rimane equitativa. 3.2. - Nel contempo, la norma esprime la necessità di calcolare i soli profitti che siano conseguenza immediata e diretta dell'illecito, come si desume dall'espresso richiamo all'art. 1223 c.c., contenuto in esordio dell'art. 158, comma 2, I. aut. È il principio dei "fattori di moderazione" dei profitti restituibili calcolati secondo il criterio della retroversione degli utili, riguardato in funzione risarcitoria ai sensi dell'art. 158 I. aut., il quale richiede di "disaggregare" i ricavi conseguiti dall'autore dell'illecito, al fine di separare, al loro interno, sia i costi sostenuti, sia la frazione di utile derivante da fattori estranei. Questa Corte, al riguardo, ha già osservato che il giudice può utilizzare il metodo del beneficio ritratto dall'attività vietata «assumendolo come utile criterio di riferimento del lucro cessante», perché «correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo», pur sempre «nell'apprezzamento delle circostanze del caso concreto» (Cass. 29 maggio 2015, n. 11225). Onde è vero che va applicato il più vasto criterio della determinazione del danno, tenuto conto della lesione alle potenzialità di sfruttamento dell'opera che sarebbe potuto avvenire ed, in particolare, dei proventi che la stessa avrebbe prodotto, se sfruttata e diffusa dai suoi autori legittimi: e, tuttavia, occorre appunto individuare, con la migliore approssimazione possibile, tali proventi, 12 in quanto il principio della retroversione degli utili è un mero strumento per pervenire alla determinazione equitativa del danno, non per attribuire in modo acritico e matematico tutti i proventi riscossi. Ai sensi dell'art. 158, comma 2, I. aut., invero, la considerazione degli utili realizzati in violazione del diritto deve fermarsi al limite dato, il quale è costituito dalla percentuale dei guadagni eziologicamente derivata dall'operata contraffazione. Si tratta, cioè, di depurare il totale dei proventi riscossi, tenendo conto, da un lato, dei  costi  sopportati  direttamente   ricollegati  allo   sfruttamento   illecito   e,   dall'altro   lato,   dei  proventi esclusivamente dipendenti, in realtà, dall'autonomo contributo del plagiario. Si ricorda come, in particolare, sotto il secondo profilo, la necessità di depurare dal totale dei proventi riscossi quelli dipendenti dai fattori riconducibili al contributo reso dall'autore dell'illecito è già stata evidenziata da questa Corte (Cass. 3 giugno 2015, n. 11464), condivisibilmente sottolineandosi, nel confermare ivi l'opinamento del giudice del merito, che il danno patito non può essere rapportato all'intero utile percepito, ma i proventi debbano essere depurati dalla quota percentuale dipendente da fattori riconducibili allo stesso utilizzatore terzo, per evitare di determinare, nel giudizio equitativo, un'attribuzione patrimoniale eccedente la correlazione causale con la ritenuta responsabilità. Non sarebbe correttamente determinato, così, il quantum risarcitorio ex art. 158 I. aut., laddove fossero automaticamente attribuiti e riversati in favore del soggetto leso tutti i ricavi conseguiti, e ciò sotto un duplice profilo: perché dai ricavi devono essere detratti i costi, al fine di individuare ciò che costituisca il profitto o guadagno; perché dai ricavi va scomputato quanto non sia attribuibile tanto al valore dell'opera plagiata in sé, quanto, invece, alla autonoma 13 capacità dei soggetti responsabili del plagio di condurla al successo, la quale non è un frutto dell'illecito. Una liquidazione che, al contrario, non tenesse conto di tali elementi violerebbe il disposto dell'art. 158 I. aut., il quale mira ad attribuire unicuique suum, non ad arricchire chi, per sorte, si trovi ad aver subìto un plagio; fermo restando che, sotto il profilo del danno morale d'autore, esso sarà autonomamente opera dell'ingegno. Occorre, dunque, ribadire come quello della retroversione degli utili in tema di diritto d'autore - che è criterio indubbiamente più favorevole al danneggiato, in quanto costituente il cerchio di maggior raggio nel risarcimento del danno - resti nondimeno criterio ancorato alla regola della necessaria derivazione causale ex art. 1223 c.c. dal fatto illecito: ciò vuol dire che la somma, così come accertata quale ricavo per le vendite dell'opera realizzato dal responsabile, deve essere depurata, da un lato, dei costi sopportati dal medesimo ai fini di quelle vendite, e, dall'altro lato, dell'autonomo contributo al successo dell'opera, così come realizzata e diffusa sul mercato dall'autore o dagli autori dell'illecito, per quanto tale successo dipenda dal lancio, propiziato dalla notorietà dell'interprete e dalle concrete capacità esecutive ed evocative del medesimo, tali da suscitare l'interesse del pubblico. 3.3. - In entrambi i casi, sono accertamenti e valutazioni in fatto, rimessi al prudente apprezzamento del giudice del merito, che devono, però, agganciarsi a criteri quanto più oggettivi ed alle prove offerte dalle parti. 3.3.1. - Quanto ai costi occorre, in particolare, che l'autore del plagio fornisca elementi concreti di calcolo, quali i bilanci, le scritture 14 contabili, i contratti conclusi con i terzi, quali agenzie pubblicitarie e canali di comunicazione, ed ogni altro elemento utile allo scopo. La quantificazione dell'importo, da detrarre a titolo di costi sostenuti, deve fondarsi su documenti e prove, il cui onere di produzione e deduzione grava in definitiva sui danneggianti, con l'ausilio, ove occorra, degli accertamenti disposti d'ufficio mediante idonea c.t.u., la quale dia conto dell'incidenza media dei costi sui ricavi nel settore di mercato considerato. È vero, infatti, che l'onere di provare il danno sofferto, secondo la fattispecie dell'art. 2043 c.c. - di cui l'art. 158 I. aut. costituisce speciale espressione - grava sulla parte che agisce per il riconoscimento del suo diritto, ai sensi dell'art. 2697 c.c.; peraltro, posto che l'art. 158 I. aut. indica espressamente il parametro, su cui fondare la liquidazione equitativa del danno, consistente negli utili conseguiti dal responsabile dell'illecito grazie all'utilizzo  indebito dell'opera  altrui, sarà possibile  individuare nel modo  meglio approssimato  possibile  il profitto conseguito - e, dunque, l'importo da traslare - mediante la produzione di bilanci e scritture contabili, offerti dai danneggianti secondo il principio della vicinanza della prova, o mediante l'espletamento di idonea c.t.u. Resta fermo, secondo i principi consolidati, che l'inosservanza dell'ordine di esibizione di documenti, la cui produzione sia stata ordinata dal giudice ai danneggianti ai sensi dell'art. 210 c.p.c., integra un comportamento dal quale si può, nell'esercizio di poteri discrezionali, desumere argomenti di prova ex art. 116, comma 2, c.p.c.” (si richiama altresì la sentenza della S.C. del 2020 n. 8944 con specifico riferimento all’art. 125 c.p.i. con la quale si è affermato che: “In tema di proprietà industriale, il titolare del diritto di privativa leso, in alternativa alla domanda di risarcimento del lucro cessante, può fare ricorso al criterio della c.d. "retroversione degli utili", di cui all'art. 125 del d.lgs. n. 30 del 2005 (c.d. "codice della proprietà industriale", nel testo modificato dall'art. 17 d.lgs. n. 140 del 2006), secondo cui il danno va liquidato tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale”).

Orbene i suddetti principi consentono da un lato di confermare le risultanze della CTU (improntate ai principi appena sopra esposti) e dall’altro di rigettare le doglianze espresse dalla difesa di entrambe le parti.

Infatti - con riferimento ai danni patrimoniali- vengono in rilievo le risultanze della espletata CTU (da intendersi ivi integralmente richiamata e condivisa in quanto condotta con metodo analitico e scevro da qualsivoglia vizio; si rinvia a quanto dettagliatamente riportato nella perizia in relazione depositata in data 14/06/2021 alla metodologia utilizzata e alla documentazione esaminata dall’ausiliario; vedasi in particolare pagg. 6 e ss. Il CTU inoltre  ha compiutamente ed efficacemente risposto alle osservazioni dei CT delle parti come da relazione depositata in data 06/08/2021).

Al CTU è stato posto il seguente quesito: “determini il CTU, esaminati gli atti di causa, sulla base della documentazione contabile esibita dalla parte convenuta e di quella ulteriore acquisibile ex art 121 comma 5 C.p.I., il volume del fatturato e l’utile marginale conseguiti da ATOM DIVANI & POLTRONE S.r.l. e/o da eventuali società ad essa correlate a seguito della commercializzazione dei seguenti prodotti, individuati all’esito della CTU tecnico-giuridica dell’Ing. Soldatini come in potenziale violazione e/o simili e confondibili con i corrispettivi modelli delle attrici: (i) la poltrona MAXIME, (ii) la poltrona EURO, (iii) la poltrona/ divano AARON, (iv) il divano BOSTON, (v) il divano CLELIA, (vii) la sedia HAMILTON HIGH, (viii) il letto ALBA, (ix) il letto MINOSSE 2, (x) il letto NOTTURNO, (xi) il letto PARIDE, (xii) le sedie CRISTINA e CRISTINA OFFICE, (xiii) la sedia A 134 OFFICE, (xiv) la sedia HAMILTON, (xv) la poltrona HOMME C.” (cfr. quesito in atti; si evidenza che la poltrona Euro è stata inserita nel quesito due volte per evidente mero errore materiale).

In sintesi e per quanto d’interesse il CTU ha accertato che:

-il fatturato di ATOM avente ad oggetto la vendita dei prodotti di causa è pari ad euro 218.490 (cfr. pag. 13 della relazione depositata in data 14/06/2021);

-l’utile marginale conseguito da ATOM DIVANI & POLTRONE SRL nei diversi anni (2009-2019) è pari ad un valore minimo di E. 95.573 determinato dalla somma delle colonne B+B1 (con esclusione di complessivi euro 1.341,03) moltiplicato per il coefficiente di marginalità (v. all. 1) e un valore massimo di euro 96.126,18 così come da relazione tecnica in prima stesura (quanto al criterio  metodologico utilizzato dal CTU vedasi in particolare pag. 15 della CTU depositata in data 14/06/2021 ove l’ausiliario precisa che: “Per poter individuare l’utile “marginale”, così come richiesto nel quesito posto al sottoscritto CTU, si identificherà l’utile conseguito da ATOM nel reddito al netto dei soli costi variabili incrementali ai prodotti “contraffatti” (v. “criteri di determinazione del danno da contraffazione” di Sante Casonato). Tale approccio, come riportato dall’autore sopra citato, è coerente in un’ottica economica/ aziendale dove andranno esclusi i costi fissi di produzione, gli ammortamenti, i costi variabili che non hanno natura incrementale, quelli variabili generali, etc, cioè quei costi che l’impresa avrebbe sostenuto anche in assenza dei prodotti “contraffatti”; cfr. anche pagg. 16 e ss e relative tabelle e comunque non dimostrati. Il CTU ha provveduto a determinare tale valore secondo quanto statuito in accordo con i CTP e alla loro presenza, come espressamente precisato in risposta alle osservazioni del CT di parte convenuta; vedasi pag. 4 della relazione depositata in data 06/08/2021);

-Dalle operazioni peritali svolte con la documentazione inviata e presente agli atti non è emerso che i prodotti oggetto di causa sono stati commercializzati da società ad essa correlate (come evidenziato dal CTU in sede di risposta alle osservazioni dei CT di parte attrice non possono essere a tal fine prese in considerazioni le fatture emesse dalla convenuta in favore della società Albani Divani e Poltrone Srl per E. 67.000,00 in assenza di prova di intercorse operazioni commerciali aventi ad oggetto i prodotti oggetto del quesito).

Per cui il danno patrimoniale subito dalla società attrice va quantificato in E. 96.126,18. Sul punto vanno condivise anche le risposte fornite dal CTU alle osservazioni dei CTP.

In particolare il CTU con riferimento alle note critiche del CT di parte attrice ha risposto che: “Con riferimento alle osservazioni del CTP lo scrivente si limita a rilevare che le conclusioni si basano su una premessa parzialmente errata: nel caso in cui si discute, infatti, l’azione promossa dalla parte attrice è duplice. Se da un lato è corretto sostenere che ci si trova di fronte ad una richiesta di quantificazione del volume del fatturato conseguiti da ATOM a seguito della commercializzazione dei prodotti oggetto di causa è altrettanto vero che il quesito contiene una domanda di quantificazione dell’utile marginale ottenuto dai medesimi prodotti. Tale aspetto a sua volta comporta la necessità di contemperare l’analisi effettuata, confrontando le descrizioni dei prodotti venduti nel corpo delle fatture, con il catalogo fotografico, con la perizia del CTU tecnico Ing. Soldatini e con i codici prodotto forniti da ATOM. In merito a tale aspetto lo scrivente ritiene sufficiente aver evidenziato il valore dei prodotti non codificati, accertati alla presenza dei CTP, aggiungendo che la variante proposta dal Dott. Sala, sebbene da un punto di vista tecnico potrebbe ritenersi corretta, non è conforme ai criteri forniti dal Giudicante che emergono dal quesito peritale e per tale motivo non può essere condivisa. Alla stessa conclusione si ritiene opportuno esprimersi il CTU sull’aspetto del fatturato registrato nel 2018, non avendo avuto lapossibilità di verificare il corpo delle medesime fatture” (cfr. pag. 3 della relazione depositata in data 06/08/2021. Non è stato possibile, secondo il CTU, stabilire la correlazione tra la convenuta e la società ALBANI DIVANI E POLTRONE Srl in base ad un riscontro contabile certo che lo scambio di beni o servizi tra le due società avvenga tra le parti a prezzi di mercato).

Quanto alle osservazioni del CT di parte convenuta il CTU ha risposto: “Con riferimento alle osservazioni dei consulenti di ATOM lo scrivente non condivide i rilievi presentati e ritiene che non vi sia spazio per ulteriori elaborazioni rispetto a quanto già fornito nella relazione in prima stesura, tenuto conto delle motivazioni che seguono. In primo luogo, come emerge con chiarezza dal testo della email del 10.06.2021 e inviata ai CTP, scritta in occasione dell’ultimo incontro avvenuto il 9 giugno con il tavolo peritale, a cui non sono seguite osservazioni, l’utile marginale veniva calcolato dal rapporto tra le materie prime (B6) sui ricavi caratteristici della voce (A1). Pertanto, il CTU ha provveduto a determinare tale valore secondo quanto statuito in accordo con i CTP e alla loro presenza. Il CTU, inoltre, non ritiene opportuno applicare una percentuale dei costi generali che potrebbe risultare presunta e non avente riscontro probatorio; così come imputare un valore di imposte IRES e IRAP che sarebbe contrario alle tecniche economico-aziendali.   Pertanto, con riguardo la determinazione dell’utile marginale conseguito dalla ATOM, per il totale degli anni considerati, si ritiene di confermare il risultato ottenuto nella prima relazione di euro 96.126,18” (cfr. pag. 4-5 della nota depositata in data 06/08/2021).

Quindi ed in conclusione la società convenuta va condannata al pagamento in favore delle attrice – a titolo di risarcimento del danno- della somma di E. 96.126,18; su tale somma (convertitasi in debito di valuta) sono dovuti gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo.

Va invece rigettata la domanda attorea volta ad ottenere anche il risarcimento dei danni non patrimoniali (ivi compresi quelli all’immagine, pure richiesti come dedotto alla pag. 37 dell’atto di citazione in riassunzione) in assenza di specifica allegazione e prova della loro esistenza (e del relativo nesso di causalità) con conseguente impossibilità di ricorrente ad una liquidazione equitativa degli stessi.

Le spese (ivi comprese quelle di CTP sostenute) seguono la soccombenza della società convenuta (non ricorrendo nessuna circostanza prevista dall’art. 92 c.p.c. per procedere ad una compensazione delle spese diversamente da quanto richiesto dalla convenuta in comparsa conclusionale e ribadito nella memoria di replica) e si liquidano in favore delle società attrici ex Dm 55/2014 come da dispositivo avuto riguardo al valore della causa (pari alla somma ivi accertata come dovuta a titolo risarcitorio per cui lo scaglione applicabile è quello fino ad E. 260 mila) e alle attività processuali effettivamente svolte (per cui si ritiene che l’importo relativo alla I fase decisoria viene ridotto del 50%; mentre per la fase istruttoria- diversamente da quanto richiesto nella nota depositata- viene liquidato il compenso una sola volta essendo stata unica l’attività difensiva svolta per la suddetta fase; cfr. anche nota spese depositata dalla difesa delle attrici in data 04/04/2022; in relazione ad essa si ritiene di non poter riconoscere le somme ivi indicate e richieste a titolo di trasferta in quanto non documentate secondo quanto previsto dall’art. 27 del DM 55/2014; va invece riconosciuta la somma di E. 8.000,00 richiesta a titolo di spese di CTP in quanto – sebbene non supportata dalle relative parcelle e/o fatture- risulta congrua anche in considerazione degli importi liquidati ai CTU mentre è pacifico che le attrici hanno nominato i CTP in relazione ad entrambe le indagini peritali svolte e che i predetti hanno svolto la relativa attività. A tal riguardo si rammenta che “le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell'art.92 c.p.c., comma 1, della facoltà di escluderle dalla ripetizione ritenendole eccessive o superflue”; Cass., Sez. Lav., 25 novembre 1975, n. 3946; Cass., Sez. 3, 16 giugno 1990, n. 6956. La S.C. ha altresì precisato che “La condanna del soccombente alle spese di consulenza tecnica di parte sopportate dalla controparte non presuppone la prova dell'avvenuto pagamento, ma presuppone, comunque, la prova della effettività delle stesse, ossia che la parte vittoriosa abbia quantomeno assunto la relativa obbligazione”; cfr. Cass. 2003 n. 4357).

Le spese di entrambe le CTU (così come liquidate in atti; vedasi decreto del 04/04/2020 e decreto del 16/09/2021) sono poste a carico esclusivo e definitivo della società convenuta con conseguente diritto delle attrice di ripetere dalla predetta tutte le somme eventualmente già anticipate a tale titolo nel corso del presente giudizio.

 

P.Q.M.
 

Il Tribunale di Ancona, Sezione Specializzata delle Imprese, definitivamente pronunciando nel giudizio riassunto iscritto in I grado al n. RG 3838/2017, ogni altra domanda e/o eccezione disattesa, così decide:

- Accertata e dichiara – per le causali di cui in motivazione- che sussiste la responsabilità ex art. 2598 n. 1 c.p.c. della convenuta in quanto i seguenti modelli ATOM ovvero: MAXIME, EURO A-107, AARON; BOSTON, CLELIA, RELAX, ALBA, MINOSSE 2, NOTTURNO, PARIDE, CRISTINA,, CRISTINA OFFICE, sedia A 134 OFFICE, HAMILTON HIGH   e la poltrona HOMME C -così come meglio descritti e specificati nella CTU a firma dell’Ing. Andrea Soldatini- costituiscono imitazione servile di modelli delle società attrice così come indicati e descritti sempre nella citata CTU a firma dell’Ing. Andrea Soldatini;

- Accertata e dichiara – per le causali di cui in motivazione- che sussiste la responsabilità della società convenuta per la violazione ex art. 156 l.d.a. dei diritti di utilizzazione economica spettanti a Cassina sulla poltrona LC2; per l’effetto,

 

INIBISCE

alla convenuta la produzione, commercializzazione, offerta in vendita, importazione o esportazione e pubblicizzazione – anche per interposta persona- dei su citati modelli ATOM ovvero: MAXIME, EURO A-107, AARON; BOSTON, CLELIA, RELAX, ALBA, MINOSSE 2, NOTTURNO, PARIDE, CRISTINA,, CRISTINA OFFICE, sedia A 134 OFFICE, HAMILTON HIGH  e la poltrona HOMME C così come meglio descritti e specificati nella CTU a firma dell’Ing. Andrea Soldatini;

 

INIBISCE

alla convenuta qualsiasi utilizzo sull’indirizzo internet www.atomdivani.it o su altro materiale pubblicitario ogni riferimento ed immagine dei prodotti sopra descritti,

 

DISPONE

A titolo di penale – per le causali di cui in motivazione- la somma di E. 2.000,00 per ogni violazione da parte della società convenuta delle condotte inibite con la presente sentenza;

 

DISPONE

A titolo di penale -e a partire dal 30’ giorno successivo al deposito della presente sentenza per le causali di cui in motivazione - la somma di E. 2.000,00 per ogni giorno di ritardo da parte della società convenuta nell’esecuzione degli ordini inibitori imposti con la presente sentenza;

 

DISPONE

che la presente sentenza venga pubblicata, a cura delle attrici e a spese della convenuta, per una volta e per estratto su di un quotidiano  a tiratura nazionale e su due riviste di settore a scelta delle società attrici;

 

CONDANNA

La società convenuta al pagamento in favore delle società attrici - a titolo risarcitorio per le causali di cui in motivazione - della somma di E. 96.126,18 oltre ad interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo;

 

CONDANNA

La società convenuta al pagamento in favore delle società attrici delle spese di lite che si liquidano – per le causali di cui in motivazione- in E.15.455,00 a titolo di compenso professionale, E. 1.036,00 a titolo di esborsi, E. 8.000,00 a titolo di spese di CTP, oltre al 15% a titolo di rimborso forfettario, Iva e Cpa, se dovute, come per legge

 

PONE

Le spese di entrambe le CTU espletate a carico esclusivo e definitivo di parte convenuta con conseguente diritto delle società attrici di ripetere dalla predetta parte le somme eventualmente già anticipate a tale titolo nel corso del presente giudizio.
 

Così deciso nella Camera di Consiglio del 14/07/2022

Il Presidente

Dott. Sergio Casarella

Il Giudice rel./est.

Dott.ssa Gabriella Pompetti