19 settembre 2024
Corte d'Appello Roma 19/09/2024 [Diritti di proprietà industriale - Settore automobilistico - Contratto di riparatore autorizzato - Concorrenza sleale - Dipendenza economica - Uso improprio dei segni distintivi da parte dell’attrice]
Diritti di proprietà industriale - Settore automobilistico - Contratto di riparatore autorizzato - Concorrenza sleale - Dipendenza economica - Utilizzo di segni distintivi astrattamente idoneo ad ingenerare nei clienti l’erronea percezione che la società attrice continui a far parte della rete autorizzata di vendita di autoveicoli e veicoli commerciali - Uso improprio dei segni distintivi da parte dell’attrice costituente grave violazione degli impegni contrattuali assunti con i contratti di “service” - Inadempimenti contrattuali.
SENTENZA
n. 5834/2024 pubbl. 19/09/2024
(Presidente: dott.ssa Gianna Maria Zannella - Relatore: dott.ssa Maria Delle Donne)
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3082 del registro generale degli affari contenziosi dell’anno 2022, passata in decisione all’udienza cartolare del 17 settembre 2024 e vertente
TRA
Parte_1 (...) rappresentata e difesa, per procura in atti, dagli Avv.ti Federica Stoppani, Roberto Delogu e Massimo Delogu;
APPELLANTE
E
Controparte_1 (...), rappresentata e difesa, in virtù di procura in atti, dall'Avv. Massimo Manfredonia;
APPELLATA
FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA
§ 1 - La vicenda che ha dato origine alla lite è la seguente.
La Parte_1 (di seguito Part ) ha citato in giudizio davanti a questo Tribunale la Controparte_1 (di seguito CP_1) esponendo che: la Parte aveva sempre e soltanto operato, sin dalla sua costituzione risalente al 1970, come concessionaria CP_ ” nell’area della Sardegna meridionale in forza di contratti di concessione per la distribuzione, assistenza e vendita dei veicoli e dei ricambi a marchio “CP_ ” raggiungendo e confermando nel tempo risultati costantemente apprezzati dalla dirigenza della CP_1, la quale, su tale presupposto, le aveva proposto in data 9 maggio 2011 il rinnovo dei contratti di concessione con effetti differiti al 1° giugno 2013 in previsione dell’entrata in vigore del nuovo regolamento comunitario di settore; sottoscrivendo i suddetti contratti la Part era stata indotta dalla CP_1 a confidare sulla continuità del rapporto contrattuale e, nonostante la crisi del mercato delle automobili che aveva registrato una notevole contrazione delle immatricolazioni di vetture nuove, aveva investito nella partnership con la casa concedente, munendosi delle risorse finanziarie anche attraverso la sottoscrizione di un mutuo bancario di euro 1.500.000,00; in maniera del tutto imprevista all’inizio del mese di ottobre del 2013 il Presidente ed il direttore delle vendite di CP_1 in un incontro con il legale rappresentante della Part , senza addurre alcuna giustificazione, avevano annunciato la decisione della società convenuta di recedere dai contratti di concessione ed avevano poi formalizzato detto intendimento con la lettera di recesso datata 4 ottobre 2013, nella quale si precisava che i rapporti contrattuali sarebbero cessati nel novembre 2015 ovvero decorsi 24 mesi di preavviso come previsto dall’art. 23 di ciascun contratto; con lettera raccomandata del 12/12/2013 la società attrice si era opposta, lamentando che il recesso doveva considerarsi illegittimo anche perché favoriva in maniera del tutto ingiustificata l’altra concessionaria operante nella provincia di Cagliari, la Controparte_2 alla quale, nonostante le pregresse indicazioni contrarie della dirigenza Ford, era stato permesso di realizzare un impianto commerciale a poca distanza dalla sede della Part ; dopo ulteriori scambi epistolari tra le parti che avevano ribadito le rispettive posizioni, si era giunti alla scadenza del termine di 24 mesi di preavviso ovvero al 6 novembre 2015, allorquando la CP_1 aveva cessato di dare esecuzione al contratto, estromettendo la Part da tutti i sistemi informatici e segnalandone con mezzi di stampa la fuoriuscita dalla propria rete distributiva autorizzata; nel frattempo già all’inizio di ottobre 2015 la società attrice si era cautelata richiedendo la nomina quale riparatore autorizzato, carrozzeria autorizzata e rivenditore di parti di ricambio che veniva formalizzata alla fine del mese di novembre 2015; la società convenuta aveva ostacolato l’operatività anche del nuovo contratto di riparatore autorizzato, provvedendo con ritardo al pagamento degli interventi in garanzia ed inducendo la società finanziaria del gruppo, la CP_3 a ridurre illegittimamente le linee di credito precedentemente concesse all’attrice; la CP_1 aveva inoltre contribuito all’estromissione della Part dal consorzio ricambi “Sincro”, precedentemente costituito insieme ad altri concessionari automobilistici per gestire la logistica nella vendita delle parti di ricambio ed accessori originari nel territorio della Sardegna centromeridionale, con conseguente perdita di importanti quote di ricavi; la convenuta infine aveva invitato con decisione i propri concessionari ad astenersi dall’accettare gli ordini di veicoli nuovi Ford di clienti finali procurati dalla società attrice in veste di intermediario.
Secondo la Part le condotte poste in essere dalla CP_1 dovevano ritenersi illecite sotto vari profili e precisamente: per abuso di dipendenza economica con conseguente nullità ai sensi dell’art. 9 della legge n. 192 del 1998 delle clausole di cui agli artt. 23 e 24 del contratto di concessione che attribuivano alla convenuta, in contrasto con la previsione di cui all’art. 3 del Regolamento CE/400/2002, un diritto di recesso immotivato e non compensato dalla corresponsione di una indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, così determinando un significativo squilibrio del sinallagma contrattuale; per violazione dei principi di correttezza e buona fede ed abuso del diritto; per lesione della libertà contrattuale con conseguente responsabilità anche ai sensi dell’art. 1337 c.c. per i danni da interesse negativo; per violazione delle norme comunitarie e nazionali in materia antitrust e in materia di concorrenza sleale; per inadempimento della convenuta al contratto di concessione e per discriminazione rispetto agli altri concessionari CP_ .
Sotto quest’ultimo profilo la Part ha rimproverato a CP_1: di averle addebitato coattivamente contributi pubblicitari non dovuti illegittimamente fatturati nel corso degli anni 2012, 2013 e 2014; di aver reiteratamente commesso errori nel calcolo dei margini variabili, così sottraendo abusivamente alla Part una parte degli sconti previsti nei programmi di marketing a beneficio dei propri concessionari; di aver imposto obiettivi di vendita di veicoli nuovi superiori alla media nazionale non concordati con l’attrice; di aver sottoposto alla CIA in maniera postuma e con valenza retroattiva obiettivi di vendita relativi alle parti di ricambio, al raggiungimento dei quali era ricollegato il riconoscimento di sconti sul costo addebitato annualmente per il supporto tecnico, in violazione della normativa comunitaria in materia di concorrenza; di aver imposto l’assegnazione e la conseguente fatturazione di veicoli nuovi non ordinati oppure con caratteristiche diverse da quelle richieste; di aver indirizzato, attraverso il proprio call center, la clientela della Part verso l’altra concessionaria Controparte_2 anche prima che il contratto di concessione con l’attrice cessasse di avere efficacia; di aver provocato, attraverso le dichiarazioni fornite al consorzio Pt_2” da un proprio funzionario responsabile post vendita, l’estromissione della Part da tale organizzazione con conseguente perdita di un importante volume d’affari; di aver imposto alla società attrice di acquistare i veicoli anche in presenza di danni da trasporto, addossando in tal caso alla concessionaria ogni onere e responsabilità in merito alla riparazione e successiva rivendita di tali veicoli; di aver consentito ai manager CP_di richiedere alla Part vetture in uso gratuito per le loro vacanze in Sardegna.
La società attrice ha, poi, dedotto di aver subito ingenti danni conseguenti alle condotte illecite ed inadempienti della convenuta e, per il tramite di una perizia tecnico-contabile allegata all’atto di citazione, li ha così quantificati: euro 4.675.959,54 per costi fissi aggiuntivi che la Part ha dovuto sostenere sin dal 2011 quale investimento sul futuro; euro 2.400.252,63 per perdita dell’avviamento; euro 969.102,00 per lucro cessante e perdita di chance; euro 3.517.719,88 per la redditività attesa del parco clienti in alternativa all’importo di euro 3.369.354,63 sopra indicato per la perdita di avviamento e per il lucro cessante; euro 3.152,121,26 per la violazione e/o scorretta applicazione di norme contrattuali, di cui euro 217.328,68 per l’addebito di contributi pubblicitari, euro 75.220,16 per l’errato calcolo dei margini variabili, euro 1.541.726,00 per gli obiettivi di vendita di veicoli nuovi non concordati, euro 215.227,42 per gli obiettivi di vendita di ricambi non concordati, euro 205.564,00 per veicoli nuovi fatturati ma non richiesti, euro 150.000,00 per concorrenza sleale e danno d’immagine, euro 747.054,00 per l’estromissione forzata dal gli altri abusi.
La Part ha quindi concluso chiedendo di: dichiarare la nullità delle clausole di cui agli artt. 23 e 24 dei contratti di concessione; accertare la responsabilità della CP_ per i gravi inadempimenti commessi in costanza di rapporto, nonché per abuso di dipendenza economica, abuso di posizione dominante, abuso del diritto, concorrenza sleale e violazione dei principi di buona fede e correttezza (sotto un profilo sia contrattuale che precontrattuale); condannare la società convenuta a corrispondere all’attrice la somma complessiva di euro 11.271.618,05 a titolo di risarcimento dannoltre alla misura accessoria della pubblicazione della sentenza.
Si è costituita in giudizio la CP_1 contestando tutte le domande avversarie. La convenuta in particolare ha negato che il recesso da lei esercitato in relazione ai contratti di concessione oggetto di causa fosse discriminatorio, abusivo o contrario a correttezza e buona fede, affermando che lo stesso era giustificato da fattori oggettivi e segnatamente dalla necessità di adeguare la propria rete distributiva alla contrazione del mercato automobilistico (circostanza quest’ultima riconosciuta dalla stessa attrice), per ovviare alla quale non vi era altra soluzione che ridurre il numero delle concessionarie attive nella zona della Sardegna meridionale. La convenuta ha altresì evidenziato che il diritto di recesso senza l’indicazione dei motivi previsto dalle clausole contrattuali impugnate di controparte era del tutto conforme al nuovo Regolamento UE n. 330/2010 e che l’abusività era esclusa in radice dalla previsione di un preavviso di ventiquattro mesi che la CP_1 aveva accordato alla Part , pur potendo avvalersi del più ridotto termine di dodici mesi previsto dal contratto medesimo per il recesso motivato, quale doveva ritenersi quello in concreto esercitato dalla concedente. La convenuta, oltre a chiedere il rigetto delle domande avversarie, ha proposto domanda riconvenzionale diretta all'accertamento della responsabilità della Part per alcuni specifici inadempimenti riferiti ai tre contratti di riparatore autorizzato, carrozzeria autorizzata e rivenditore autorizzato di ricambi stipulati tra le medesime parti nel novembre del 2015 (successivamente allo scioglimento del precedente rapporto di concessione di vendita) e precisamente: il mancato pagamento alla CP_3[... ], cessionario del credito della CP_1, dell’importo complessivo di euro 93.359,08 per debiti scaduti maturati dalla Part durante l’esecuzione del contratto di concessione, al cui pagamento la convenuta aveva subordinato il proprio consenso alla stipulazione del contratto di riparatore autorizzato; il mancato pagamento alla CP_1 dell’importo complessivo di euro 13.224,54 relativo a debiti scaduti e maturati dalla CIA durante l’esecuzione dei contratti di riparatore autorizzato, carrozzeria autorizzata e rivenditore autorizzato di ricambi; l’inadempimento all’obbligazione di cui alla clausola 4.2 del contratto di riparatore autorizzato che fa divieto al riparatore di rivendere autoveicoli Ford.
In pendenza del giudizio e precisamente con la lettera datata 8/11/2017 la convenuta si è avvalsa delle clausole risolutive espresse contenute nei tre contratti di “service” conclusi nel novembre del 2015. Tuttavia, alla prima udienza di comparizione e trattazione, tenutasi in data 23/11/2017, nessuna delle due parti in causa ha formulato nuove domande od eccezioni in relazione allo scioglimento dei predetti rapporti contrattuali.
Soltanto con la prima memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c. la Part , in aggiunta alle domande formulate con l’atto di citazione, ha chiesto anche di accertare l’invalidità delle clausole di cui agli artt. 17 e 19 dei contratti di riparatore autorizzato, di carrozzeria autorizzata e di rivenditore autorizzato di ricambi e di condannare la CP_1 al risarcimento dei danni (diversi ed ulteriori rispetto a quelli dedotti nell’atto di citazione) conseguenti alle presunte inadempienze ed agli illeciti commessi dalla convenuta in relazione ai predetti contratti di “service”.
Con ricorso cautelare proposto in corso di causa la società attrice ha chiesto inoltre di inibire in via d’urgenza alla CP_1 di dare esecuzione alla risoluzione dei contratti di riparatore autorizzato, carrozzeria autorizzata e rivenditore autorizzato di ricambi intimata con lettera raccomandata dell’8/11/2017. Il ricorso è stato respinto con ordinanza dell’8/3/2018 che è stata successivamente confermata dal Collegio in sede di reclamo.
La causa è stata istruita attraverso l’acquisizione di documenti senza l’ammissione degli ulteriori mezzi di prova richiesti dall’attrice.
All’udienza del 6/10/2021 (tenutasi con le modalità della trattazione scritta previste dagli artt. 221
D.L. 34/20, convertito in legge 17 luglio 2020 n. 77 e 83 D.L. 18/2020, convertito in legge 24 aprile
2020 n. 27) la causa è stata trattenuta in decisione, previa assegnazione del termine di giorni 60 per il deposito delle comparse conclusionali e di ulteriori giorni 20 per le repliche.
§ 1.1 - Il tribunale, espletata l’istruttoria necessaria, ha respinto tutte le domande proposte
dall’attrice;- in accoglimento della domanda riconvenzionale della convenuta ha dichiarato che la Parte_1 si è resa inadempiente alle obbligazioni (meglio indicate in parte motiva) relative al “contratto di riparatore autorizzato”, al “contratto di carrozzeria autorizzata” e al “contratto di rivenditore di parti di ricambio della CP_ed accessori” stipulati con la CP_1 [...] in data 10/11/2015; ha condannato la Parte_1 a rifondere a [...] CP_1 le spese processuali, anche relative alle due fasi cautelari, liquidate in complessivi euro 80.000,00 per compensi professionali oltre spese generali, IVA e CPA come per legge; ha disposto la cancellazione ex art. 89 c.p.c. della parola “scellerato” contenuta a pag. 12, 21^ riga, dell’atto di citazione.
§ 1.2 - A fondamento della decisione, il Tribunale – ricordata la competenza collegiale della sezione
imprese per il “petitum” inerente le condotte illecite prospettate dalla
Part
con riguardo alla
violazione della normativa antitrust (abuso di posizione dominante) - ha posto le seguenti considerazioni:
«[… E’ pacifico tra le parti e documentalmente provato che, in prosecuzione di un rapporto
contrattuale già in essere, in data 9 maggio 2011 la
CP_1
e la Part
hanno sottoscritto un
“contratto di concessione di autoveicoli” ed un “contratto di concessione veicoli commerciali”, con i quali l’odierna convenuta ha confermato la nomina della società attrice quale concessionario autorizzato per la vendita di veicoli anche commerciali “CP_1” e delle relative parti di ricambio ed accessori originali.
I due contratti, prodotti in copia dall’attrice (all. 2), prevedono all’art. 23 una durata a tempo indeterminato con effetto dal 1° giugno 2013.
Nello stesso art. 23 di entrambi i contratti è disciplinato il diritto di recesso. In particolare l’art. 23.1
stabilisce che “ciascuna delle parti avrà il diritto di recedere da esso in qualsiasi momento inviando
all’altra un preavviso scritto di due anni”. Alla
Controparte_1
è poi attribuita la facoltà di recedere
con preavviso ridotto ad un anno o a sei mesi nelle ipotesi specificamente indicate rispettivamente nel secondo e nel terzo comma dell’art. 23. Tra le specifiche ipotesi di recesso motivato con riduzione del preavviso ad un anno è previsto il caso in cui l’odierna convenuta “abbia la necessità di provvedere alla riorganizzazione della propria intera rete distributiva o anche solo di una parte sostanziale di essa” (art. 23.2 lettera a).
L’art. 24 di entrambi i contratti disciplina poi le ipotesi in cui la
CP_1
, in seguito ad
inadempimenti della concessionaria specificamente individuati in detta clausola, può risolvere i contratti con effetto immediato o, in alcuni casi, previa diffida ad adempiere.
Risulta poi documentato che con lettera raccomandata datata 4 ottobre 2013 e consegnata alla Part
in data 6 novembre 2013 (all. 11 del fascicolo di parte attrice) la
CP_1 ha comunicato a quest’ultima la decisione di recedere dai due contratti ai sensi dell’art. 23 comma 1.
I due rapporti contrattuali sono proseguiti fino alla scadenza del termine biennale previsto dal citato art. 23.1 e sono quindi definitivamente cessati in data 6 novembre 2015.
L’attrice ha impugnato il recesso ad nutum esercitato dall’impresa preponente contestandone la legittimità.
Secondo la Part la condotta posta in essere dalla CP_1 anzitutto integrerebbe un abuso di dipendenza economica vietato dall’art. 9 della legge n. 192 del 1998. Sotto questo profilo l’attrice accusa la convenuta di averla dapprima indotta a considerarsi ad ogni effetto parte integrante della distributiva CP_1 e ad investire importanti risorse e poi di aver interrotto repentinamente ed immotivatamente i rapporti contrattuali a soli quattro mesi dall’entrata in vigore dei nuovi contratti. L’attrice ha eccepito la nullità, ai sensi del citato art. 9 della legge n. 192 del 1998, delle clausole di cui agli artt. 23 e 24 dei due contratti, laddove si consente all’impresa concedente di determinare in modo arbitrario il recesso o la risoluzione senza prevedere alcuna forma di indennizzo per la perdita dell’avviamento commerciale.
Gli assunti difensivi di parte attrice sono destituiti di fondamento.
La fattispecie prevista dalla legge n. 192 del 1998 presuppone l’accertamento non soltanto di una condotta abusiva, ma prima ancora di una “dipendenza economica”, vale a dire di una situazione economica in cui un soggetto si trova, avendo effettuato investimenti specifici per adeguarsi al sistema di produzione dell’altro contraente, a dover contrattare con una parte che, nei suoi confronti, si presenta come monopolista o quasi monopolista, con un suo conseguente minor potere contrattuale ed incapacità di imporre all’altro condizioni economiche eccessivamente gravose a suo esclusivo vantaggio.
Con riguardo alla sussistenza della situazione di dipendenza economica, occorre quindi indagare non se sussista una situazione di mero squilibrio o "asimmetria" di diritti e di obblighi, ma se lo squilibrio sia "eccessivo" e se l'altro contraente sia realmente privo di alternative economiche sul mercato, rilevando, ad esempio, la dimensione della società dipendente, che non permetta agevolmente di differenziare la propria attività, o l'avere adeguato l'organizzazione e gli investimenti in vista di quel rapporto (così Cass. 21/01/2020 n. 1184).
Quanto all'abuso, occorre invece verificare la sussistenza di una condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero l'intenzionalità di una vessazione perpetrata sull'altra impresa, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse dell'impresa dominante (quale, p. es., modificare le proprie strategie di espansione, adattare il tipo o la quantità di prodotto, o anche spuntare migliori condizioni), mirando la condotta soltanto ad appropriarsi del margine di
profitto altrui (cfr. ancora Cass. 21/01/2020 n. 1184).
Nel caso in esame la Part
allega l’esistenza di un rapporto di dipendenza economica con la società
convenuta desumendolo apoditticamente dalla posizione asimmetrica che le parti ricoprono nei contratti di concessione di vendita automobilistica caratterizzata da relazioni verticali e da una notevole disparità di potere contrattuale. A tal fine l’attrice ha richiamato alcuni precedenti giurisprudenziali concernenti rapporti tra imprese nel settore distributivo automobilistico.
La stipulazione dei due contratti di concessione di per sé non è sufficiente a dimostrare una situazione di dipendenza economica che deve essere accertata in concreto attraverso gli specifici elementi indicati dalla giurisprudenza sopra richiamata.
L’unico elemento specificamente indicato dall’attrice per avvalorare la tesi della dipendenza economica ovvero l’avvio di investimenti mirati alla prosecuzione del rapporto contrattuale e l’avvenuta stipulazione di un mutuo bancario di euro 1.500.000,00 non è stato supportato da alcun elemento di prova, non essendo stato prodotto né il contratto di finanziamento, né altra documentazione attestante gli asseriti investimenti genericamente dedotti.
La Part poi non ha specificamente allegato né tanto meno provato la mancanza di alternative
economiche sul mercato e l’impossibilità di riconvertire la propria organizzazione e gli investimenti (asseritamente effettuati, ma non documentati) in altre attività economiche anche afferenti il medesimo settore di impresa. Al contrario la possibilità di riconversione deve ritenersi provata dagli elementi acquisiti nel corso del giudizio. Ed infatti la stessa società attrice ha ammesso di aver operato anche come officina autorizzata “Mazda” e come rivenditore di vetture nuove e usate plurimarca sotto il nuovo marchio, appositamente creato, di “Automotivi” (circostanze riferite dalla pag. 13 del ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto in corso di causa). Inoltre risulta documentato e pacificamente riferito da entrambe le parti che, dopo la cessazione dei contratti di vendita ed assistenza di veicoli nuovi a marchio CP_1 e precisamente in data 10/11/2015, la Part ha stipulato con la medesima società convenuta tre contratti di “service” come riparatore autorizzato, carrozzeria autorizzata e rivenditore di parti di ricambio Ford (all.ti 9, 10 e 11 del fascicolo di parte convenuta).
Tali elementi dunque inducono ad escludere la dipendenza economica richiesta dalla legge.
La fattispecie di cui all’art. 9 della legge n. 192 del 1998 non appare integrata neanche sotto il profilo dell’abuso. In particolare non è stato dimostrato che la convenuta abbia imposto condizioni contrattuali squilibrate e gravose o abbia agito secondo connotati del tutto imprevisti ed arbitrari ed al solo scopo di recare danno alla concessionaria.
Ed infatti va decisamente disattesa l’eccezione di nullità delle clausole di cui agli artt. 23 e 24 dei due contratti di concessione, dovendosi al riguardo rilevare l’assoluta inconferenza del richiamo all’art. 3 del Regolamento CE/400/2002, laddove era previsto che in caso di recesso anche ad nutum si dovessero specificare i motivi particolareggiati, obiettivi e trasparenti dello stesso.
Il Regolamento CE/400/2002 poi sostituito (a decorrere dal 1° giugno 2013) dal Regolamento UE/330/2010 introduceva solo una serie di norme dirette a stabilire le condizioni in presenza delle quali gli accordi di distribuzione automobilistica erano esentati da ogni addebito di violazione dell'art. 85, paragrafo l del Trattato CE (ora dell’articolo 101, paragrafo 3, del TFUE), quali intese restrittive della concorrenza. Non è sufficiente, quindi, dimostrare che detti accordi si discostino dall'una o dall'altra delle prescrizioni del Regolamento, per desumerne la nullità della clausola difforme, ma occorre dimostrare che - venuta meno l'esenzione a causa della suddetta difformità - il contratto è da ritenere nullo perché pregiudica il commercio fra gli Stati membri, od ha per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune (cfr. in tal senso Cass. n. 16787/2014). La nullità delle clausole impugnate dall’attrice non può essere quindi desunta dall’asserito carattere imperativo delle norme del Regolamento.
Peraltro la violazione della norma contenuta nell’art. 3 del Regolamento CE/400/2002 che imponeva di specificare i motivi particolareggiati, obiettivi e trasparenti del recesso, è esclusa in radice dal fatto che tale disposizione non è stata riprodotta nel Regolamento UE/330/2010 entrato in vigore il
1° giugno 2013 proprio in coincidenza con il termine iniziale di efficacia dei due contratti di concessione qui in esame.
Le clausole di cui agli artt. 23 e 24 dei contratti di concessione non possono quindi ritenersi contrarie a norme europee a carattere imperativo.
Né la nullità di tali clausole può essere direttamente desunta dall’art. 9 comma 3 della legge n. 192 del 1998, in quanto, al di là della indimostrata situazione di dipendenza economica, deve escludersi che il recesso ad nutum ivi previsto determini un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi tra le
parti. Ed invero, la facoltà di sciogliersi unilateralmente dal contratto è attribuita ad entrambi i contraenti ed è comunque controbilanciata da un congruo periodo di preavviso che deve essere di almeno due anni. Il preavviso è ridotto ad un anno o a sei mesi soltanto nei casi tassativamente
indicati rispettivamente nel secondo e nel terzo comma dell’art. 23, tra i quali vi è l’ipotesi (per la quale è previsto un preavviso annuale) in cui la CP_1 "abbia la necessità di provvedere alla
riorganizzazione della propria intera rete distributiva o anche solo di una parte sostanziale di essa”
(art. 23.2 lettera a).
Tale disciplina contrattuale sul recesso, peraltro, riproduce quanto già stabilito dal Regolamento CE/400/2002 che, al comma 5 dell’art. 3, prescriveva, come condizione di applicabilità dell’esenzione agli accordi verticali di durata indeterminata, la previsione nell’accordo di un preavviso minimo per il recesso ordinario di due anni per entrambe le parti, ridotto ad un anno qualora “il fornitore receda dall’accordo in caso di necessità di riorganizzare l’intera rete o una parte sostanziale di essa”.
Nel caso in esame la
CP_1
ha rappresentato che il recesso da lei esercitato era giustificato da
fattori oggettivi e segnatamente dalla necessità di adeguare la propria rete distributiva alla contrazione del mercato automobilistico, per ovviare alla quale non vi era altra soluzione che ridurre il numero delle concessionarie attive nella zona della Sardegna meridionale. Tale giustificazione non è stata smentita dall’attrice, la quale, al contrario, ha riconosciuto che già “a partire dal 2007 il mercato dell’auto era entrato in un periodo di crisi drammatica, soffrendo (ed anzi amplificandoli) gli effetti di una congiuntura economica mondiale estremamente critica” (così pag. 6 dell’atto di citazione).
In questo scenario la crisi strutturale del settore delle auto comprimeva la redditività delle
concessionarie locali e quindi giustificava la scelta di
CP_1
di modificare la propria
organizzazione distributiva, riducendo il numero delle concessionarie. L’interesse di ogni singolo concessionario e nel caso di specie della Part a conservare la partnership con la società convenuta è recessivo rispetto all’interesse di quest’ultima di adeguare la propria rete distributiva alla
contrazione del mercato automobilistico in modo da conservare margini di competitività alla distribuzione locale del proprio prodotto attraverso la riduzione del numero delle concessionarie operanti nella zona.
Non può pertanto ritenersi abusivo il comportamento posto in essere da
CP_1
, la quale, pur
potendo recedere con preavviso annuale, attesa la necessità di riorganizzare in senso riduttivo la propria rete distributiva locale, ha esercitato il recesso con preavviso biennale in piena conformità a quanto previsto dall'art. 23.1 del contratto redatto in aderenza al previgente Regolamento CE/400/2002 che riteneva, appunto, compatibile, con la tutela dei principi della concorrenza, l'assegnazione al concessionario, da parte del concedente recedente, di un preavviso biennale (o anche solo annuale nel caso di necessità di riorganizzare la propria rete distributiva).
Per quanto fin qui esposto non sussistono i presupposti per ritenere integrata la fattispecie dell’abuso
di dipendenza economica affermata da parte attrice.
Allo stesso modo deve ritenersi infondato l’ulteriore assunto di parte attrice, secondo cui la decisione
di CP_1
di sciogliere unilateralmente i due contratti di concessione integrerebbe comunque un
abuso del diritto, in quanto la convenuta avrebbe esercitato il recesso in maniera repentina ed arbitraria e quindi con modalità in concreto contrarie alle regole di correttezza e buona fede.
Diversamente da quanto sostenuto dall’attrice, la decisione di
CP_1
di sciogliere
unilateralmente i due contratti di concessione non può ritenersi arbitraria, ma, al contrario, dettata da motivazioni che, sebbene non espresse nella lettera consegnata in data 6/11/2013, sono meritevoli di tutela, in quanto ineriscono all'esercizio del proprio diritto di impresa tutelato dall'art. 41 Cost. Ed invero lungi dal perseguire finalità persecutorie in danno della Part , con il recesso la convenuta intendeva porre rimedio ad una crisi, particolarmente acuta localmente, affliggente la distribuzione automobilistica in quel momento temporale, salvaguardando i margini di guadagno dell’altra concessionaria operante nella stessa area geografica della Sardegna meridionale ovvero la
Controparte_2
Se invero entrambi gli operatori presenti all'epoca nella zona Sud della Sardegna
fossero stati lasciati operare nel contesto della crisi strutturale, che il settore in quegli anni attraversava, avrebbero corso entrambi il rischio di dover uscire dal mercato, con evidenti gravi conseguenze sia per loro stessi, sia per la convenuta.
Né può ritenersi discriminatoria la scelta di quest’ultima di sacrificare la Part a vantaggio dell’altra
concessionaria, trattandosi di una valutazione di politica aziendale rimessa all’esclusivo giudizio
della concedente. Del resto la stessa attrice non ha offerto elementi di confronto con
Controparte_2
(quali, ad esempio, la solidità economico-aziendale, la redditività, gli obiettivi conseguiti negli anni immediatamente precedenti al recesso ecc…) per poter ritenere irragionevole tale scelta e preferibile
quella contraria (mantenendo la CIA nella rete distributiva CP_1 ed escludendo
Controparte_2 .
In ogni caso il recesso non può ritenersi abusivo in considerazione del lungo termine di preavviso
concesso alla Part
impresa.
che è stata quindi messa in condizione di riorganizzare la propria attività di
L’abuso non può essere desunto neanche dalla circostanza che la convenuta, dopo aver rinnovato nel maggio 2011 i contratti di concessione, abbia poi esercitato il recesso a soli pochi mesi dall’inizio di efficacia dei nuovi contratti. Per quanto riferito dalla stessa attrice la rinnovazione dei contratti con largo anticipo rispetto al termine di efficacia trova giustificazione nella necessità di adeguare per tempo il regolamento contrattuale alla nuova normativa dell’Unione europea in materia di intese concernente gli accordi verticali e le pratiche concordate nel settore automobilistico, atteso
l’avvicendamento tra il Regolamento CE/400/2002 e il Regolamento UE/330/2010 (entrato in vigore il 1° giugno 2013). Quindi, nessun affidamento incolpevole è configurabile in capo alla Part , la quale,
invece, doveva essere ben consapevole dell’esistenza della clausola che attribuiva in maniera chiara ed espressa a ciascuna delle parti la facoltà di recedere ad nutum con un preavviso di 24 mesi. Non vi sono poi elementi per ritenere che la convenuta già al momento della stipulazione dei nuovi contratti avesse premeditato di recedere poco tempo dopo l’avvio della loro efficacia; si deve quindi presumere che la decisione di sciogliere i rapporti contrattuali sia sopravvenuta in ragione delle nuove valutazioni di politica aziendale legate all’andamento del mercato automobilistico.
Per tali motivi la violazione delle regole di correttezza e buona fede non può essere configurata neanche sotto un profilo
precontrattuale come infondatamente sostenuto dall’attrice che ha inutilmente invocato la clausola generale di cui all’art. 1337 c.c. La responsabilità precontrattuale è comunque esclusa per il solo fatto che i due contratti di concessione sono stati validamente stipulati ed hanno comunque prodotto
effetti sia pure limitati nel tempo.
La Part lamenta anche la violazione della normativa comunitaria e nazionale antitrust nonché quella civilistica in materia di concorrenza sleale.
Sotto il primo profilo l’attrice sostiene che nel caso di specie si configura da parte di abuso di posizione dominante sottoforma di abuso di sfruttamento.
L’assunto è privo di pregio giuridico.
CP_1 un
La fattispecie dell’abuso di posizione dominante rientra, insieme alle intese e alle concentrazioni, nella tipologia degli illeciti anticoncorrenziali contemplati dal legislatore europeo e poi recepiti anche dal legislatore italiano nella legge n. 287/1990 ed implica l’accertamento dei seguenti presupposti: (a) la configurabilità di una attività di impresa; (b) la definizione di uno o più mercati rilevanti (in senso geografico e di prodotto); (c) l’esistenza di una posizione dominante su uno o più mercati rilevanti; (d) una condotta di impresa qualificabile come abusiva; (e) la sussistenza di un pregiudizio al mercato in termini anticoncorrenziali.
La società attrice, che ha agito invocando la tutela antitrust, aveva anzitutto l’onere di allegare in maniera specifica gli elementi che costituiscono una tale fattispecie, tanto più che la disciplina dell’abuso di posizione dominante costituisce un settore del diritto alla concorrenza particolarmente delicato, che pone all’interprete varie difficoltà ermeneutiche, essendo spesso difficile distinguere tra condotte anticoncorrenziali abusive e condotte lecite.
Nel caso di specie non è stato specificato quale sia il mercato rilevante da prendere in considerazione
né con riferimento al prodotto né in relazione all’area geografica e quale sia il “potere di mercato”
che
CP_1
detiene. Sul punto le allegazioni di parte attrice non appaiono sufficientemente
puntuali, rispetto invece all’importanza dell’accertamento.
Ma pure a voler dare per acquisito il presupposto che la Part abbia voluto far riferimento al mercato
della distribuzione degli autoveicoli in
CP_1
o nella specifica area geografica della Sardegna
meridionale, non risulta in ogni caso dimostrato che la società convenuta detenga una posizione dominante nell’ambito del suddetto mercato. Inoltre non vi è prova né di una condotta abusiva da
parte di
CP_1
(per le ragioni sopra illustrate), né tanto meno di un pregiudizio conseguente a
tale condotta che abbia colpito l’intero mercato di riferimento.
Parimenti va esclusa la concorrenza sleale invocata dall’attrice nelle varie forme delle intese verticali, delle discriminazioni, della denigrazione commerciale, del boicottaggio e dello sviamento di clientela. Al riguardo è sufficiente richiamare le considerazioni sopra esposte per escludere l’abuso del diritto. La condotta posta in essere dalla convenuta non può, quindi, ritenersi discriminatoria, né tanto meno contraria ai principi della correttezza professionale di cui all’art.
2598 c.c.
Passando ad esaminare il capo della domanda attrice concernente le pretese inadempienze di
[...]
CP_1
rispetto ai contratti di concessione si osserva quanto segue.
L’assunto di parte attrice, secondo cui la convenuta nel corso degli anni 2012, 2013 e 2014 le avrebbe addebitato coattivamente contributi pubblicitari non dovuti in quanto determinati unilateralmente, è smentito dagli stessi contratti di concessione stipulati inter partes e segnatamente dall’art. 5.6 lettera a) laddove è prevista la facoltà per la società convenuta di promuovere “la vendita di prodotti CP_1
nel mercato, dove opportuno, attraverso attività combinate di pubblicità, marketing e promozione in
relazione alle quali la CP_1 potrà addebitare di volta in volta al
CP_4
il ragionevole costo”.
La Part , accettando la suddetta clausola, ha preventivamente manifestato il proprio consenso alle
spese pubblicitarie decise da
CP_1
e tale consenso è stato poi ribadito anche successivamente
attraverso la sottoscrizione di apposite dichiarazioni prodotte in copia dalla convenuta (all.ti 3 e 4).
Pertanto, gli importi fatturati da quest’ultima per contributi pubblicitari devono ritenersi del tutto legittimi.
La Part imputa poi alla
CP_1
di aver reiteratamente commesso errori nel calcolo dei margini
variabili, così sottraendole una parte degli sconti previsti nei programmi di marketing. In particolare secondo l’attrice la convenuta anziché utilizzare come base di calcolo dello sconto in fattura l’ex works price (ovvero il “prezzo franco fabbrica”) avrebbe più volte utilizzato una base imponibile inferiore.
Anche tale assunto è privo di fondamento.
Per quanto rappresentato dalla convenuta e non altrimenti smentito, quest’ultima ha utilizzato per tutti i concessionari della propria rete distributiva, ivi inclusa la Part , la stessa modalità di calcolo dei margini variabili, consistente nel porre a base di tal calcolo l’ex works price al netto di eventuali sconti in fattura previsti dai programmi di marketing incluso, a decorrere dal mese di giugno 2013, lo sconto “Ford Value”. Con argomentazioni del tutto condivisibili la convenuta ha spiegato che tali
sconti non potevano essere inclusi nella base imponibile ai fini del calcolo del margine variabile, perché, in caso contrario, la concessionaria avrebbe fruito due volte dello stesso beneficio. Del resto
CP_1 con la circolare n. 33/2013 del 5 giugno 2013 (all. 38 del fascicolo di parte attrice) ha
chiarito quale fosse la base imponibile da prendere in considerazione per il calcolo dei margini variabili e tale modalità di calcolo è stata costantemente applicata anche alla CIA senza contestazioni di sorta durante l’espletamento del rapporto contrattuale.
Con riferimento all’ulteriore doglianza rivolta alla convenuta accusata di averle imposto obiettivi di vendita di veicoli nuovi non concordati, la questione è assorbita dal fatto che la stessa attrice ha riconosciuto di aver comunque raggiunto tali risultati così dimostrando, da un lato, la loro congruità e, dall’altro, l’assenza di un danno per la concessionaria che, al contrario, ha ottenuto ricavi maggiori di quelli che avrebbe conseguito con obiettivi inferiori ed ha usufruito dei maggiori sconti collegati al raggiungimento di tali obiettivi.
Analoghe considerazioni valgono per la contestazione riguardante gli obiettivi di vendita relativi alle parti di ricambio, posto che anche quei risultati sono stati raggiunti con conseguente realizzazione di ricavi che escludono già in astratto la stessa configurabilità di un pregiudizio per la CIA. Quanto alla contestazione accessoria riguardante la pretesa illegittimità di uno sconto sul costo del supporto tecnico condizionata al raggiungimento di una certa percentuale di vendita dei ricambi, si deve rilevare che contrariamente a quanto sostenuto dall’attrice, tale comportamento di per sé non costituisce violazione di norme europee antitrust, né tanto meno comporta la decadenza del produttore dal beneficio dell’esenzione prevista dai regolamenti dell’Unione Europea per gli accordi
verticali e le pratiche concordate nel settore automobilistico.
La Part rimprovera poi alla convenuta di averle assegnato coattivamente veicoli nuovi non ordinati oppure con caratteristiche diverse da quelle richieste.
La doglianza è priva di pregio giuridico se solo si considera che eventuali modifiche agli ordinativi dell’attrice sono state comunque accettate da quest’ultima, la quale in costanza del rapporto non si è mai opposta, non risultando documentata alcuna obiezione. Ne consegue che i veicoli aggiuntivi o con caratteristiche diverse da quelle inizialmente concordate non possono ritenersi imposti unilateralmente.
Quanto all’ulteriore censura di parte attrice, secondo cui la
CP_1
avrebbe indirizzato,
attraverso il proprio call center, la clientela della Part verso l’altra concessionaria
Controparte_2
si deve rilevare che non risulta definitivamente provato che la convenuta abbia impartito direttive in tal senso ai consulenti del proprio call center. I messaggi di posta elettronica prodotti dall’attrice non documentano un sistematico sviamento di clientela, ma fanno riferimento a sporadici episodi che potrebbero essere anche frutto di errori o disattenzioni imputabili ai singoli operatori. Del resto gli stessi messaggi di posta elettronica sopra richiamati documentano la buona fede della convenuta, che in seguito alle segnalazioni dell’attrice si è subito attivata per riparare alle non corrette
informazioni presso la clientela e presso gli stessi operatori. Significativo è l’email datata 25/7/2014
(all. 51 del fascicolo di parte attrice) inviata da
Testimone_1
Area manager di Ford service, al
legale rappresentante della Part , nella quale si legge: “In seguito alla tua segnalazione ci siamo subito attivati. Abbiamo quindi chiamato il cliente e chiarito anche con lui l’incomprensione: da quanto abbiamo avuto modo di capire il consulente non è stato affatto chiaro (probabilmente facendo
confusione tra elenco dei partner aderenti al Part
ed elenco dei partner tout court). … Abbiamo
confermato al cliente la piena operatività della Part e ci siamo scusati per l’errata comunicazione …
Abbiamo ovviamente e immediatamente fatto la dovuta azione di richiamo sul consulente sulle corrette procedure…”.
La società attrice addebita poi alla
CP_1
la responsabilità della sua fuoriuscita dal consorzio
“ Pt_2
” precedentemente costituito insieme ad altri concessionari automobilistici per gestire la
logistica nella vendita delle parti di ricambio ed accessori originari nel territorio della Sardegna centromeridionale.
Al riguardo la convenuta ha ammesso di aver comunicato, tramite propri funzionari, al suddetto consorzio che la Part a far tempo dal novembre 2015 non sarebbe più stata un concessionario CP_1.
Tale informazione, del tutto aderente al dato reale, non può ritenersi causa dell’estromissione
dell’attrice dal consorzio “
Pt_2
”, al quale soltanto può essere imputata tale decisione e il
successivo rifiuto di riammetterla.
La Part rimprovera ancora alla convenuta di averle imposto di acquistare i veicoli anche in presenza di danni da trasporto, addossando in tal caso alla concessionaria ogni onere e responsabilità in merito alla riparazione e successiva rivendita di tali veicoli. La doglianza è priva di pregio perché trascura completamente quanto espressamente pattuito dalle parti nell’art. 19 dei due contratti di concessione, laddove è riprodotto lo schema, proprio della prassi internazionale, delle vendite CIF (Cost, Insurance & Freight), in cui il prezzo complessivamente addebitato al compratore include il costo del veicolo, l’assicurazione ed il trasporto, di modo che sin dal momento dell’uscita del veicolo dalla fabbrica il rischio del danno in transito è traslato sull’acquirente, a beneficio del quale è stipulata l’indennità assicurativa.
Con riferimento all’ultima doglianza concernente una prassi consolidatasi nel tempo dei manager
CP_1 di richiedere alla Part
vetture in uso gratuito per le loro vacanze in Sardegna è sufficiente
rilevare che l’attrice non aveva alcun obbligo di mettere a disposizione proprie autovetture, tantomeno gratuitamente, in favore di persone che, a prescindere dalla loro appartenenza alla società convenuta, rispondono in proprio di quanto richiesto. La questione è comunque di scarso rilievo economico come dimostra la stessa richiesta risarcitoria quantificata dall’attrice in 1 euro. Per quanto fin qui esposto vanno respinte tutte le domande originariamente formulate dall’attrice con l’atto di citazione.
A questo punto occorre passare ad esaminare le domande concernenti i tre contratti di “service”
stipulati tra le medesime parti qui in causa successivamente alla cessazione di efficacia dei contratti
di concessione automobilistica. Risulta, infatti, documentato che in data 10/11/2015 la
CP_1 e
la Par
hanno sottoscritto un “contratto di riparatore autorizzato”, un “contratto di carrozzeria
autorizzata” ed un “contratto di rivenditore di parti di ricambio della CP_1 ed accessori” (all.ti 9,
10 e 11 del fascicolo di parte convenuta).
Con la prima memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c. l’attrice ha chiesto di accertare l’invalidità delle clausole di cui agli artt. 17 e 19 dei contratti di riparatore autorizzato, di carrozzeria
autorizzata e di rivenditore autorizzato di ricambi e di condannare la
CP_1
al risarcimento dei
danni (diversi ed ulteriori rispetto a quelli dedotti nell’atto di citazione) conseguenti alle presunte inadempienze ed agli illeciti commessi dalla convenuta in relazione ai predetti contratti di “service”. Le nuove domande sono inammissibili perché introdotte tardivamente.
Sul punto è bene evidenziare che alla prima udienza di comparizione e trattazione, tenutasi in data
23/11/2017, allorquando la convenuta aveva già comunicato di volersi avvalere delle clausole risolutive espresse poi impugnate dall’attrice, nessuna delle due parti in causa ha formulato nuove domande od eccezioni in relazione allo scioglimento dei predetti rapporti contrattuali, lasciando così
consumare le decadenze previste dal quinto comma dell’art. 183 c.p.c. In ogni caso le nuove domande formulate dalla Part sono infondate.
La CP_1
nel conferire alla società attrice i nuovi accreditamenti contrattuali le aveva chiesto
di assumere comportamenti inequivoci di discontinuità rispetto alla propria precedente qualifica di concessionaria, comunicando alla Part - obbligata peraltro ad interrompere ai sensi dell’art. 25 dei
contratti di concessione, unitamente all’attività di concessionario, l’uso dei segni distintivi CP_1 nelle forme e con le modalità permesse solo ai concessionari autorizzati – le iniziative commerciali da
assumere per conformarsi ai nuovi accreditamenti.
Risulta documentalmente provato che la Part
si è resa gravemente inadempiente alle obbligazioni
assunte con i tre nuovi contratti stipulati nel novembre del 2015, non avendo tempestivamente provveduto ad adeguare le insegne e la cartellonistica alla nuova attività di post vendita e a rimuovere tutte le insegne e marchi connessi alla precedente attività di rivendita di vetture e veicoli commerciali Ford. Ed infatti, per quanto risulta dalla documentazione fotografica allegata in atti e per quanto confessoriamente ammesso dalla stessa attrice, quest’ultima ha mantenuto anche nel
periodo successivo alla stipulazione dei nuovi contratti di “service” uno striscione con la scritta “Part dal 1970 Veicoli Commerciali Ford” e un cartellone posto all’ingresso dell’azienda sul quale era scritta la parola “concessionaria” in aggiunta alla ditta della società attrice (Part ) e al marchio
CP_1 (oltre al marchio Mazda). Contrariamente a quanto sostenuto dall’attrice l’espressione “CIA
dal 1970 Veicoli Commerciali
CP_1” non è immediatamente riferibile alla nuova attività di post
vendita svolta dalla Part , ma è astrattamente idonea ad ingenerare nei clienti l’erronea percezione che la società attrice continui a far parte della rete autorizzata di vendita di autoveicoli e veicoli
commerciali
CP_1. Quanto all’insegna posta all’ingresso della sede della Part , come riferito da
quest’ultima la scritta “concessionaria” è stata rimossa soltanto nel novembre 2016, in seguito ad un’apposita diffida della convenuta. La Part , tuttavia, non ha sostituito la parola “concessionaria” con altra qualifica adeguata alla nuova attività di post vendita (riparatore/rivenditore/carrozzeria autorizzata) ed ha ammesso di non aver adeguatamente pulito i residui di colla sottostanti alle lettere rimosse. Tale comportamento, da ritenere viziato quantomeno da colpa grave, ha consentito la ricomparsa della medesima scritta “concessionaria” dovuta all’accumulo di polvere e pulviscolo catturati dalla colla che è stata definitivamente rimossa soltanto successivamente e in seguito
all’ennesima diffida della
CP_1
. Dalle fotografie allegate in atti risulta, inoltre, che i pannelli
apposti all’ingresso dei locali della Part non riportano il prefisso “Service” in aggiunta al marchio
CP_1 (doc. 7 allegato alla comparsa di risposta al ricorso cautelare) come era stato richiesto dalla convenuta.
L’uso improprio dei segni distintivi CP_1 da parte dell’attrice costituisce già una grave violazione degli impegni contrattuali assunti con i contratti di “service” che si aggiunge agli ulteriori inadempimenti di cui la convenuta ha chiesto l’accertamento formulando apposita domanda
riconvenzionale.
In primo luogo deve ritenersi accertato il mancato pagamento da parte della
Part
dell’importo
complessivo di euro 13.224,54 dovuto per prestazioni relative ai tre contratti di “service” in esame.
Il credito vantato da
CP_1
, documentato dall’estratto conto prodotto da quest’ultima (all. 12),
non è stato specificamente contestato né nell’an né nel quantum dall’attrice, la quale si è limitata ad
eccepire che nei reciproci rapporti dare-avere in continua evoluzione tra le parti anche la
CP_1
sarebbe debitrice nei confronti della Part
per oltre 11 mila euro per fatture emesse per lavori in
garanzia effettuati per suo conto dai primi mesi del 2017. Non risulta neanche che la Part
abbia
mosso contestazioni in ordine alla sussistenza dei singoli crediti risultanti dall’estratto conto prodotto da controparte ovvero alla loro entità neanche in sede di svolgimento del rapporto. Pertanto, alla luce di tali circostanze avuto riguardo al disposto di cui all'art. 115 c.p.c., secondo cui i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita possono essere utilizzati dal giudice ai
fini della decisione, il credito vantato dalla sufficientemente dimostrato.
Controparte_1
nei confronti della Part deve ritenersi
Quanto alla eccepita compensazione si rileva la genericità e l’indeterminatezza del controcredito opposto dall’attrice (non essendo stato neanche precisato l’importo esatto della pretesa) e l’assoluta mancanza di elementi probatori, non essendo state prodotte né le fatture asseritamente emesse dalla
Part , né altra documentazione contabile a supporto dell’affermato credito.
In ogni caso la compensazione con il credito vantato dalla convenuta è preclusa da quanto previsto nei tre contratti di “service” stipulati tra le parti (cfr. l’art. 11 dei contratti di riparatore autorizzato e di carrozzeria autorizzata e l’art. 13 del contratto di rivenditore di parti di ricambio).
Pertanto, l’attrice deve ritenersi inadempiente alla suddetta obbligazione di pagamento.
La CP_1
ha poi dedotto il mancato pagamento da parte della Part dell’importo complessivo di
euro 93.359,08 alla
CP_3
quale cessionaria del credito del medesimo importo
originariamente vantato dalla convenuta in relazione ai contratti di concessione.
Anche in questo caso, l’esistenza e l’entità del credito, attestata dall’estratto conto prodotto dalla convenuta (all. 13), non è stata oggetto di specifiche contestazioni da parte dell’attrice.
Pertanto, anche alla stregua di quanto previsto dall’art. 115 c.p.c., può ritenersi definitivamente
accertato l’ulteriore inadempimento dedotto in questa sede da riferire non già agli originari contratti di concessione, bensì alle specifiche ed ulteriori obbligazioni assunte dalla Part con i tre contratti di “service”. Ed infatti nell’art. 17.3.III dei contratti di riparatore autorizzato e di carrozzeria autorizzata e nell’art. 19.3.III del contratto di rivenditore di parti di ricambio è stato espressamente previsto quale inadempimento rilevante ai fini della risoluzione di diritto dei suddetti contratti il
mancato pagamento di qualsiasi somma dovuta dalla Part
alla sua avente causa quale cessionaria dei crediti.
non soltanto alla
CP_1
, ma anche
Risulta, infine, accertato che successivamente alla cessazione dei contratti di concessione la società
attrice ha posto in essere un’attività di intermediazione nella vendita di veicoli a marchio
CP_1,
utilizzando modalità che di fatto si pongono in contrasto con l’obbligazione espressamente assunta dalla CIA con i tre contratti di service, laddove è previsto “il divieto di effettuare qualsivoglia attività di rivendita” (art. 2.4 dei contratti di riparatore autorizzato e di carrozzeria autorizzata).
Ed invero il modulo contrattuale, definito “mandato di acquisto”, utilizzato dall’attrice (all. 15 del fascicolo di parte convenuta) prevede che quest’ultima svolga prestazioni del tutto analoghe a quelle del concessionario autorizzato, provvedendo all’immatricolazione e alla consegna del veicolo, all’incasso del prezzo, all’eventuale finanziamento tramite società di credito al consumo individuata dalla stessa mandataria e alla permuta di un veicolo usato quale modalità di pagamento di una parte del prezzo.
Si tratta, quindi, di prestazioni che esorbitano da quelle normalmente gravanti su una mandataria
all’acquisto, in quanto ineriscono ad attività normalmente espletate dal venditore e così hanno
contribuito a creare nei clienti della Part
l’erronea percezione che quest’ultima continuasse a far
parte della rete autorizzata di vendita di autoveicoli e veicoli commerciali CP_1.
Tale attività di intermediazione, non negata dall’attrice, integra quindi un ulteriore inadempimento ai contratti di service e segnatamente all’obbligazione di non facere sopra indicata.
Le violazioni contrattuali sopra accertate sono sanzionate dalle clausole risolutive espresse contenute nell’art. 17 del contratto di riparatore autorizzato e di carrozzeria autorizzate e nell’art.
19 del contratto di rivenditore di parti di ricambio.
Contrariamente a quanto eccepito dall’attrice le suddette clausole non possono ritenersi nulle ai sensi dell’art. 9 della legge n. 192 del 1998.
Per quanto già sopra evidenziato non risulta definitivamente dimostrata la sussistenza di una situazione di dipendenza economica così come prescritta dalla legge; inoltre deve escludersi che le
clausole in questione determinino un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi tra le parti.
Né può ritenersi che la scelta della
CP_1
di avvalersi delle suddette clausole risolutive integri
un abuso del diritto o una violazione dei principi di correttezza e buona fede contrattuale, dovendosi al contrario riconoscere che l’elemento fiduciario dei tre rapporti contrattuali in questione, caratterizzati dall’intuitus personae, è stato fortemente compromesso dal comportamento inadempiente complessivamente posto in essere dall’attrice.
In conclusione tutte le domande formulate dall’attrice devono essere respinte.
Al contrario merita accoglimento la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta dovendosi accertare e dichiarare che la Part si è resa responsabile degli inadempimenti sopra descritti.
Da ultimo va disposta la cancellazione ex art. 89 c.p.c. -richiesta dalla convenuta con la comparsa di costituzione e risposta e ribadita in sede di precisazione delle conclusioni - dell’epiteto “scellerato” contenuto a pag. 12, 21^ riga, dell’atto di citazione, trattandosi di espressione sconveniente che eccede le esigenze difensive. Non sussistono, invece, i presupposti per il risarcimento del danno preteso dalla convenuta sempre ai sensi dell'art. 89 c.p.c., in quanto l’espressione sopra menzionata, pur censurabile, non appare dettata da un passionale e incomposto intento dispregiativo ed offensivo nei confronti della controparte..]»
§ 2 - Ha proposto appello
Parte_1
contestando la sentenza di
primo grado sotto vari profili e chiedendo “in via preliminare, accertare e dichiarare la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 50 quater e 161 codice di rito;
in via cautelare, sospendere, ai sensi dell’art. 283 c.p.c., l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza impugnata;
in via istruttoria,
A) di volere disporre Consulenza Tecnica d’Ufficio atta a confermare la sussistenza e verificare
l’entità del pregiudizio sofferto dalla
Parte_1
già s.p.a., per danno
emergente, lucro cessante, perdita di chance e violazione e/o scorretta applicazione di norme
contrattuali in conseguenza della cessazione del contratto di concessione in essere con
CP_1 ,
così come descritto e quantificato nella perizia contabile già depositata in atti sub 35, nonché gli ulteriori danni derivanti dalla illegittima risoluzione dei contratti postvendita, Riparatore Autorizzato, Carrozzeria Autorizzata e Rivenditore Autorizzato di Parti di Ricambio, acquisendo tutta la necessaria documentazione, ivi comprese le note/relazioni integrative ai bilanci della società
attrice, depositate presso i pubblici registri della CCIAA di Cagliari, e le fatture e le scritture
contabili della Part
dal 2003 al 2015 che, data la loro enorme mole, è materialmente impossibile
produrre ma sono fin d’ora formalmente a disposizione della Corte e del nominando CTU.
Saranno altresì a completa disposizione del CTU nominando dalla Corte anche tutte le “Elaborazioni Statistiche” per i diversi reparti aziendali, direttamente derivanti dai dati contabili della Part , disponibili attraverso il software contabile-gestionale DMS (Dealer Management System),
certificato anche da
Controparte_1
, fornito e ospitato nei server della Lynx International srl, società
della
CP_5 .
B) che venga ordinata alla convenuta
Controparte_1
ai sensi e per gli effetti degli artt. 210-212
c.p.c. l’esibizione (ovvero, in alternativa, che venga ordinata l’ispezione ex art. 118 c.p.c. a mezzo della Guardia di Finanza ovvero della Polizia Tributaria), de:
1) le scritture contabili relative agli esercizi dal 2003 al 2015 inclusi, al fine di verificare -anche mediante un controllo incrociato con la documentazione contabile della società attrice, che si è messa a disposizione del perito- le condizioni di acquisto delle vetture CP_1 praticate dalla Casa costruttrice alle sue altre concessionarie, il volume dei bonus, premi e contributi promopubblicitari e/o di qualsiasi altra natura ad esse erogati, la natura ed il livello degli standards qualitativi ad essi
richiesti, le condizioni di partecipazione a campagne ed iniziative commerciali ed il supporto
finanziario da esse ricevuto da parte di
CP_1
, i dati sulle immatricolazioni (numero di vetture
rispettivamente vendute) avvenute nell’area di attività della società attrice ad opera della
concessionaria limitrofa
Controparte_2
prima e dopo la revoca della Part , il tutto con specifico
riferimento al periodo degli esercizi 2003-2015;
2) le comunicazioni Ford Italia-concessionarie italiane relative agli obiettivi di vendita stabiliti e
fissati nei confronti delle altre concessionarie
CP_1
sul territorio nazionale in relazione a
veicoli (vetture e veicoli commerciali) e parti di ricambio;
3) i dati immatricolativi delle vetture e dei veicoli commerciali
CP_1
nella provincia di Cagliari
relativi agli anni dal 2010 al 2017 inclusi, suddivisi per concessionario venditore (questo dato è
esclusivamente nel possesso della
CP_1
e non può essere rinvenuto altrove);
4) alla luce e con riferimento alla domanda riconvenzionale formulata da
CP_1
, senza che ciò
costituisca inversione dell’onere della prova, i contratti di riparatore autorizzato in essere con tutti i suoi riparatori autorizzati in Italia, e i relativi allegati tecnici e requisiti qualitativi;
C) che venga ordinata alla
Controparte_2
in persona del legale rappresentante pro tempore con
sede in Cagliari, via Nervi snc, ai sensi e per gli effetti degli artt. 210-212 c.p.c. l’esibizione (ovvero, in alternativa, che venga ordinata l’ispezione ex art. 118 c.p.c. a mezzo della Guardia di Finanza ovvero della Polizia Tributaria), delle sue scritture contabili relative agli esercizi 2013-2014-2015;
D) l’ammissione dei seguenti capitoli di prova, con i testi
Testimone_2
e Testimone_3
entrambi domiciliati presso
Controparte_1
1) “Vero che gli obiettivi di immatricolazione dei veicoli (sia mensili che trimestrali) venivano
comunicati da
CP_1
alla Part (e alle altre concessionarie), tramite lettere o posta elettronica,
simili a quelle che le si mostrano”
2) “Vero che gli obiettivi di immatricolazione dei veicoli venivano spesso contestati, verbalmente o tramite mail, dalla Part ”
3) “Vero che della Part ”
CP_1
stabiliva gli obiettivi senza acquisire l’accettazione degli stessi da parte
4) “Vero che gli obiettivi di immatricolazioni assegnati alla Part
prevedevano il conseguimento di
quote di mercato (per il marchio CP_1) superiori a quelle medie nazionali”.
5) “Vero che gli obiettivi di vendita assegnatile imponevano alla Part il raggiungimento di quote di mercato superiori a quelle previste per la maggior parte delle altre concessionarie sul territorio
nazionale, e anche regionale, con riferimento, per esempio alla GLM spa (già concessionaria delle province di SS e OT”
CP_6 ,
6) “Vero che la GLM spa è l’unica concessionaria
Sardegna”
CP_1
stabilita ed operante nel nord della
7) “Vero che le quote di mercato raggiunte nella sua area di operativa dalla GLM spa relativamente al marchio CP_1, sono sempre state inferiori a quelle ottenute dalla Part nel sud dell’isola”
8) “Vero che le vetture aggiuntive fornite da
CP_1
alla Par , oltre a quelle stabilite in sede di
assegnazione degli ordini, erano una esigenza della Casa, e venivano quindi imposte alla concessionaria, che le contestava”
9) “Vero che lo scambio di mail che le si mostra, nel quale vengono usate a commento espressioni
dialettali sarcastiche, si riferisce ad uno dei casi di cui al punto precedente”
10) “Vero che alla
Part
veniva imposta dalla
CP_1
anche l’assegnazione di ordini di forniture
aggiuntive di veicoli prelevati da altre concessionarie, come descritto nella mail che le si mostra”
11) “Vero che era prassi che fosse la
CP_1
, tramite i propri zone manager, a stabilire, con
periodicità mensile, le quantità dei veicoli che la concessionaria doveva ordinare, generando poi i relativi ordini sul proprio portale telematico, e che questa situazione è discussa nelle mail che le si mostrano”
12) “Vero che, a causa di esigenze delle fabbriche e dei manager CP_1, e per consentire all’una ed
agli altri il raggiungimento dei rispettivi obiettivi aziendali, venivano forzate assegnazioni di forniture, e che uno di questi episodi è oggetto delle mail che le si mostrano”
13) “Vero che la
Part , tramite il proprio amministratore, lamentava spesso il pagamento di
consistenti importi di interessi passivi alla Cont
(che in qualità di banca le anticipava la liquidità per
gli acquisti dei prodotti CP_1), conseguenza delle forzature sugli acquisti che lamentava di subìre da parte di CP_1, e che questa situazione è oggetto delle mail che le si mostrano”
14) “Vero che in alcuni casi la CP_1 modificava di propria iniziativa le caratteristiche (versioni, motorizzazioni o optionals) dei veicoli ordinati dalla Part ”
15) “Vero che i veicoli modificati come sopra erano commercialmente più difficili da vendere, meno richiesti dalla clientela, ed appartenevano alle gamme ed ai modelli meno venduti tra quelli
commercializzati da
CP_1 ”
16) “Vero che, nel mese di maggio del 2011, lei venne incaricato di procurare due vetture top di
gamma per il presidente di
CP_1
, che le avrebbe usate per scopi personali, con i propri familiari
e amici, specificamente per raggiungere l’isola di San Pietro nella quale si teneva la manifestazione
Per_1
, e che lei richiese le vetture alla Part con la mail che le si mostra”
17) “Vero che, nel mese di agosto 2012, lei venne incaricato di definire con la Part i dettagli per il
prestito di due vetture top di gamma per il presidente di
CP_1
, che le avrebbe usate per scopi
personali, con propri familiari (anche minori) e amici, specificamente per raggiungere la località balneare di Chia e trascorrervi le vacanze, come da mail che le si mostra”
18) “Vero che in entrambe le occasioni il presidente di
CP_1
non era in Sardegna per lo
svolgimento delle proprie funzioni professionali bensì in vacanza”
19) “Vero che lei è al corrente, quale testimone diretto, di altri episodi analoghi, relativi a richieste effettuate da, o a favore di, altri suoi colleghi”
20) “Vero che erano i suoi superiori ad invitarla a richiedere questi favori alla Part ”
21) “Vero che il codice etico del gruppo come quelli sopra descritti”
Controparte_7
proibisce e condanna comportamenti
22) “Vero che la Part , nel marzo del 2015, segnalò tramite mail a lei in qualità di Zone Pt_5 al Presidente di CP_1,Tes_4 al Direttore vendite Pt_6 e al suo capo diretto, l’Area Manager Napoli, che la concessionaria CP_2 stava operando commercialmente nella provincia di Cagliari, utilizzando un listino di vendita inferiore di circa 500 euro rispetto a quello ufficiale di CP_1 ”
23) “Vero che questa differenza di 500 euro corrispondeva ad una quota più che significativa del margine al tempo spettante alla concessionaria”
24) “Vero che la CP_2 usufruiva di un contributo/sconto extra sugli acquisti di vetture da parte della CP_1”
25) “Vero che la CP_1 omise di rispondere alle richieste di chiarimento della Part ”
26) “Vero che, seppur teoricamente e in base al contratto di concessione, le concessionarie CP_1 avrebbero la possibilità di “approvvigionarsi di veicoli CP_1 nuovi da rivendere anche presso altri soggetti attivi nel perimetro del gruppo CP_1”, nella prassi gli acquisti effettuati presso questi soggetti (specificamente altri concessionari CP_1 della rete italiana) sono del tutto residuali a causa delle assegnazioni di veicoli da ordinare direttamente alla commerciale di zona della CP_1 stessa, già più che sufficienti”; nel merito, in riforma della sentenza impugnata, CP_1, stabilite con il personale
1) accertare e dichiarare l’illegittimità e, quindi, la nullità, invalidità ed inefficacia delle clausole di cui agli artt. 23 e 24 dei contratti di concessione per la distribuzione, assistenza e vendita ricambi delle autovetture nuove e dei veicoli commerciali nuovi Ford, in quanto strumenti atti e finalizzati a realizzare un abuso di dipendenza economica, ex art. 9 L. 192/98;
2) accertare e dichiarare come la CP_1 si sia resa responsabile di inadempienze e comportamenti discriminatori, nonché di atti contrari alla buona fede contrattuale, alla leale concorrenza ed alla correttezza professionale, così come di reiterati atti e fatti illeciti costituenti abuso di dipendenza economica, abuso di posizione dominante ed abuso di diritto, culminati nel recesso dal contratto di concessione, nei confronti della Part per avere colposamente agito in suo danno, violando il dettato del contratto, ignorando l’obbligo di correttezza e buona fede (sotto un profilo sia contrattuale che precontrattuale), esercitando il recesso ad nutum dal contratto in modo non conforme alla correttezza ed alla buona fede ed infrangendo le normative nazionali e comunitarie in materia di concorrenza e correttezza professionale, abusando dei propri diritti contrattuali, della propria posizione dominante e di quella di sostanziale dipendenza economica della concessionaria;
3) accertare e dichiarare, conseguentemente, sia i gravi inadempimenti commessi da
CP_1 [...] in costanza di contratto che la nullità, invalidità ed inefficacia della risoluzione contrattuale (a seguito di recesso con preavviso biennale) operata dalla CP_1 nei confronti dell’attrice Part ,ovvero l’inadempimento e/o l’abuso di dipendenza economica e di diritto commesso da CP_1 e, quindi, come il contratto fra le parti si sia risolto (o meglio sia stato illegittimamente ed abusivamente terminato) per grave inadempienza, abuso e scorrettezza di CP_1;
4) rigettare integralmente la domanda riconvenzionale formulata da
Controparte_1 in quanto infondata in fatto ed in diritto per i motivi esposti in narrativa, previo accertamento e declaratoria dell’illegittimità e, quindi, la nullità, invalidità ed inefficacia delle clausole di cui agli artt. 17 e 19 dei contratti di riparatore, carrozzeria e rivenditore ricambi di CP_1 , in quanto strumenti atti e finalizzati a realizzare un abuso di dipendenza economica, ex art. 9 L. 192/98.
Pertanto, ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dalla normativa vigente, constatate le irreparabili ed irreversibili conseguenze delle inadempienze e degli illeciti compiuti da CP_1, ed i gravissimi pregiudizi subìti dalla società attrice, Voglia condannare la Controparte_1 in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a corrispondere alla Parte_1 la complessiva somma di € 11.271.618,05 (undici milioni duecentosettantunomila/618,05 euro), o in subordine quella, diversa, che dovesse venire ritenuta equa e congrua all’esito della fase istruttoria, nonché al pagamento di ulteriori euro 1.864.154,00 (un milione ottocentosessantaquattromila/154,00) a fronte della unilaterale cessazione dei contratti di riparatore, carrozzeria e rivenditore autorizzato, sulla base delle risultanze probatorie, delle perizie contabili specialistiche in atti e della CTU che la Corte vorrà disporre, anche facendo ricorso ad una valutazione (seppure integrativa) basata su criteri equitativi, a titolo di risarcimento di tutti i gravissimi danni, di varia natura, per danno emergente, lucro cessante e/o perdita di chance, violazione e/o scorretta applicazione di norme contrattuali da essa subìti e subendi, come descritti nel corpo del presente atto, nelle premesse e nella parte motiva in fatto e diritto.
Il tutto con vittoria di spese e competenze d’avvocato relative ai due gradi del giudizio e con sentenza provvisoriamente esecutiva, con richiesta espressa di pubblicazione della sentenza stessa sui quotidiani “CP_8 e “CP_9”, e sulle riviste specializzate di settore “CP_10 e “CP_11.”
Ha resistito chiedendo il rigetto dell’appello – di cui ha pure eccepito l’inammissibilità ex art. 342 CPC – e la condanna dell’appellante alla rifusione delle spese di lite nonché alla sanzione ex art. 96 comma 3 CPC.
La causa veniva assegnata a questo relatore con provvedimento presidenziale in data 15 febbraio 2023.
La prima udienza di comparizione – già differita dal precedente relatore – veniva rinviata dal 21 febbraio 2023 al 28 febbraio 2023,come da provvedimento telematico in atti.
Alla detta udienza, con ordinanza in atti, veniva respinta la istanza ex art. 283 CPC formulata da parte appellante.
§ 2.1 - All’udienza del 17 settembre 2024 – sostituita dalla trattazione cartolare - le parti hanno precisato le conclusioni con le memorie anticipate e le note di trattazione scritta e La Corte ha trattenuto la causa in decisione senza ulteriori termini perché già concessi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
§ 3 - Dal tenore complessivo dell’appello, composto di 93 pagine, emergono tre profili di impugnazione, a loro volta articolati in più capitoli.
§ 3.1 - Dopo aver ricostruito la vicenda in fatto e processuale (fino a pag. 18), la società appellante
– con il primo motivo titolato “nullità della sentenza” (pagg. 18/25) - a sostegno di detta nullità deduce che “ il 14 aprile 2022, a leggere gli “eventi” indicati nel fascicolo telematico (allegato sub.7), appare essersi verificato cronologicamente quanto segue:
• 1°) “DEPOSITO SENTENZA MINUTA DEFINITIVA”;
• 2°) “INVIO SENTENZA AL PRESIDENTE PER LA FIRMA”;
• 3°) “DESIGNAZIONE COLLEGIO”
Quanto precede consente di affermare che la sentenza è stata redatta dal Giudice, dott. Russo, (che l’ha trasmessa al Presidente per la firma) e che, solo successivamente (ma lo stesso giorno), la sentenza stessa risulta essere emessa dal Collegio, previa designazione di quest’ultimo. Se poi così non fosse, resterebbe il fatto che il Collegio è stato designato lo stesso giorno nel quale la sentenza è stata redatta e trasmessa al Presidente per la firma.
Giusta quanto appena rappresentato, la nullità della sentenza appare evidente. In particolare:
la sentenza è stata decisa ed emessa formalmente in composizione collegiale, ma da un Collegio giudicante che però risulta esser stato designato soltanto il giorno nel quale la sentenza è stata emessa”.
Richiamati quindi gli artt. 113 e segg. disp. Att. CPC, sostiene la società appellante che “ appare molto improbabile che la sentenza del 14 aprile 2022 possa essere stata emessa, all’esito dell’articolata procedura sopra ricordata, da un collegio designato lo stesso giorno”
Si duole, inoltre, la società appellante che la causa sia stata trattata con il rito monocratico e non collegiale, in violazione dell’art. 50 quater CPC e del diritto di difesa ex art. 25 Cost. , essendo stato impedito l’esercizio del diritto di ricusazione.
§ 3.2 - Col secondo motivo vengono, in primo luogo (pagg. 25/36) illustrate le parti della sentenza che si vogliono impugnare richiamando l’art. 342 CPC, con la trascrizione della sentenza testuale, le cui modifiche vengono indicate e richieste a pag. 36 del gravame.
Con riguardo, quindi, alla condotta abusiva ed alla concorrenza sleale, la società appellante denuncia la mancata ammissione dei mezzi di prova, l’omessa valutazione dei documenti da parte dle Tribunale ex artt. 115/116 con particolare riguardo al contratto di mutuo annotato in bilancio, la mancata ammissione di CTU, la violazione dell’art. 111 Cost., concludendo che la sentenza impugnata sarebbe “non imparziale e totalmente squilibrata” a favore di una parte ed in danno dell’altra (v. pag. 40). Invocando, quindi, l’esame del merito (previa declaratoria di nullità della sentenza impugnata), la società appellante ripropone tutte le tesi già esposte in primo grado.
Con particolare riguardo alla dipendenza economica, cita i bilanci e le consulenze tecniche di parte, prospettando il crollo del fatturato di oltre il 60% tra il 2015 ed il 2016, gli investimenti effettuati. Ripropone, ancora, l’appellante la questione dell’abuso della dipendenza economica, richiamando la sentenza 2021 della corte di Giustizia Austriaca.
§ 3.3 - Col terzo motivo (da pag. 70) viene formulata l’impugnazione della statuizione di accoglimento della domanda riconvenzionale di CP_ , la cui condotta avrebbe avuto un obiettivo di vessazione e sopruso, lamentando che il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto del quadro fattuale emergente, “sposando” le tesi di CP_ e facendo malgoverno delle prove fornite da Part .
Illustrati , quindi, i fatti e la loro corretta – a parere dell’appellante – lettura, il gravame (a pag. 82) riassume quanto segue: “ Ad avviso di chi scrive, l’approccio a questa causa da parte chi l’ha decisa appare, del tutto inspiegabilmente, procedere a senso unico.
In una vicenda che pure è complessa e articolata, la decisione va sempre e comunque in un’unica
rotta che, poi, è quella tracciata dalla convenuta.
E così, quando il Giudice deve motivare il fatto che la Part avesse valide alternative all’essere una concessionaria Ford e che quindi non si trovasse in condizioni di dipendenza economica, afferma che operava come «rivenditore di vetture nuove e usate plurimarca sotto il nuovo marchio, appositamente creato, di “Automotivi”»; poi, quando si tratta di accogliere la domanda riconvenzionale di CP_1, sostiene, invece, che la CIA agiva in modo tale da «creare nei clienti l’erronea percezione che continuasse a far parte della rete autorizzata di vendita di autoveicoli e veicoli commerciali CP_1».
Possibile che non ci si avveda che queste due ricostruzioni dei fatti sono in totale antitesi tra loro?
Purtroppo, questa visione, del tutto indebitamente, ha travolto ogni ragionamento, ogni argomento giuridico e logico e qualunque elemento di prova che, ogni volta, è stato omesso o travisato.
Questo approccio è confermato ulteriormente da una circostanza che è marginale, ma significativa per avvalorare quanto si va sostenendo. Ci si riferisce in particolare al capo della sentenza nella quale il Giudice dispone la cancellazione della parola “scellerato”, poiché “sconveniente”.
§ 4 - L’appello è in parte inammissibile e in parte infondato.
§ 4.1 - E’ palesemente infondato il primo motivo di impugnazione.
La ricostruzione offerta da parte appellante al fine di sostenere la violazione dell’art. 50 quater CPC nonché delle norme organizzative così come finanche di norme costituzionali non è conforme a quanto realmente accaduto nel procedimento di primo grado, pacificamente di competenza tabellare della sezione imprese e con vincolo della decisione in formazione collegiale.
Resta fermo, quindi, che – a norma degli artt. 187 e 190 CPC – il giudice monocratico (giudice istruttore) proceda con tutte le attività relative alla prima comparizione ed istruttorie per poi provvedere alla rimessione al collegio, con conclusioni , quindi, che vengono formulate dalle parti (e così è accaduto nel caso di specie) dinanzi al detto giudice che viene indicato nominativamente dall’appellante che, invero, non contesta affatto che si trattasse del relatore assegnatario del procedimento, come del resto la società stessa ricostruisce storicamente con l’indicazione (del tutto irrilevante) che si trattava di un giudice per un periodo assente perché impegnato in commissione di concorso.
Ciò posto, va ricordato – ma è stato già indicato nella ricostruzione del processo di primo grado – che il giorno in cui si è tenuta l’udienza di precisazione delle conclusioni è stato il 6 ottobre 2021 e che sono stati concessi i termini ordinari ex art. 190 CPC (60+20), scaduti il 27 dicembre 2021.
In data 28 dicembre 2021 il fascicolo è stato messo a disposizione del relatore, come risulta dal fascicolo telematico d’ufficio in cui la cancelleria effettua le annotazioni di sistema che, va subito detto, non modificano né superano il dettato normativo processuale.
Ora, nella sentenza – avverso la quale non è stata proposta querela di falso – risulta indicata la camera di consiglio in data 14 aprile 2022; nello stesso giorno risulta pure depositata dal relatore la minuta, inviata al presidente del collegio che ha controfirmato in data 20 aprile 2022.
Sostiene parte appellante che l’annotazione nel registro a cura della cancelleria “designato collegio” comporterebbe che il collegio, contrariamente a quanto previsto dall’art. 113 disp. Att. CPC, è stato individuato di fatto solo in quel momento (cioè il giorno 14 aprile 2022, vale a dire lo stesso della camera di consiglio e della decisione) e non preventivamente.
La tesi è del tutto destituita di fondamento: come emerge dal combinato disposto degli artt. 113 e 114 disp. Att. Cont la materia della composizione dei collegi è oggetto di programmazione preventiva, tanto da imporre un apposito provvedimento presidenziale di natura tabellare/organizzativa (al fine della individuazione del giudice naturale precostituito per legge) che passa poi al vaglio del Consiglio Giudiziario competente e, poi, del Consiglio Superiore della Magistratura.
Ebbene, anche nel caso in esame – in assenza di contestazioni da parte dell’appellante circa la effettiva esistenza del provvedimento tabellare presidenziale esecutivo per quel periodo temporale – il Tribunale ha operato sulla base di ciò, con la conseguenza che ben potevano i difensori della parte oggi appellante accedere al dato organizzativo ed alla verifica della composizione dei collegi giudicanti, sì da poter far valere (ma non sono neppure specificate le ragioni di una tale possibilità) una eventuale ricusazione del collegio (e non del solo relatore, certamente già possibile).
L’elemento della annotazione nel fascicolo telematico è da ricondursi ad un c.d. “evento” che è automaticamente collegato (per il suo generarsi) al deposito (sempre telematico) della minuta da parte del relatore che, a tal fine e per poter inviare detta minuta in controfirma, deve necessariamente predisporre (come impongono le specifiche tecniche) nel sistema telematico il collegio giudicante, evento che in ogni caso la cancelleria poi recepisce , appunto, come tale.
Non vi è prova, dunque, che il relatore abbia creato “liberamente” il collegio giudicante invece che rispettare tutti i componenti del collegio previsti nel sistema tabellare già predisposto e programmato ai sensi della normativa sopra richiamata.
Da ciò, pertanto, consegue la palese infondatezza del motivo di gravame sotto questo profilo.
Sembra, poi, paventare parte appellante l’impossibilità di una decisione in camera di consiglio nel medesimo giorno in cui la minuta è stata depositata: a parte, si ripete, l’assenza di querela di falso, l’argomentazione è del tutto generica e apodittica, strumentale solo a mettere in dubbio un serio ed approfondito studio della controversia, palesemente riscontrabile – invece – dall’articolata e puntuale motivazione elaborata dal relatore e condivisa dal collegio.
Anche questo profilo non merita accoglimento per evidente inammissibilità dello stesso.
§ 4.2 - Quanto al secondo motivo, come si è sopra evidenziato, la Corte si deve fare carico di una lettura complessiva e globale di molteplici pagine (dalla 25 alla 70) per comprendere le effettive richieste (v. pag. 36) meramente ripetitive di quanto già invocato in primo grado e fondate su un presupposto che pone, effettivamente, problemi di specificità ex art. 342 CPC.
Infatti, per un verso la premessa utilizzata dalla società appellante consiste nell’invocare la nullità della sentenza di primo grado (per le ragioni sopra indicate) e chiedere, quindi, un vero e proprio “riesame” di tutti gli elementi come se le argomentazioni spese dal primo giudice non esistessero; per altro verso, l’altra premessa è quella di un atteggiamento non imparziale che il Collegio (e non il singolo relatore, atteso che la decisione è collegiale) avrebbe avuto e di cui non vengono indicate le ragioni.
Così poste le argomentazioni da parte dell’appellante, è evidente che entrambi i profili conducono ad un giudizio di inammissibilità ex art. 342 CPC, atteso che la sentenza impugnata non è nulla e, come tale, andava contestata con singole e specifiche contro-argomentazioni da contrapporre, appunto, alla nutrita motivazione che sopra è stata (anche per questa ragione) testualmente riportata e che non ci si può dolere di essere rimasti soccombenti perché il giudice ha “favorito” la controparte, affermazione tanto apodittica quanto grave in assenza di elementi serie e concreti per sostenerla.
Per il resto, anche dal punto di vista della collazione dell’atto di gravame, vengono riproposti singoli argomenti in fatto, senza che però questi ultimi siano, appunto, contrapposti in maniera efficace al ragionamento logico-giuridico formulato dal collegio di primo grado in decine di pagine di motivazione.
E’ sufficiente, ad esempio, in punto di condotta abusiva e concorrenza sleale, evidenziare che il mero invocare l’ammissione di prove orali senza spiegare, nel dettaglio, per quale motivo , una volta ammesse e confermate le circostanze, si dovrebbe giungere ad una soluzione diversa rispetto a quella indicata dal Tribunale che, sul punto, ha già motivato.
In particolare, poi, l’omessa valutazione di alcuni documenti – come il mutuo annotato in bilancio – è doglianza che non tiene conto che, come già detto nella sentenza, manca in sostanza la prova della causa del contratto di mutuo, vale a dire la prova del collegamento eziologico; la mera annotazione unilaterale non è di certo prova in tal senso.
Dunque, da pag. 41 l’appello non contiene altro che la riproposizione delle proprie tesi da parte dell’appellante sul presupposto – come detto – della nullità della sentenza, chiedendo di fatto un nuovo giudizio, in aperto contrasto con quanto ormai previsto dall’art. 342 CPC.
In ordine, poi, alla dipendenza economica, l’appellante cita - a sostegno delle proprie doglianze - bilanci e consulenza di parte, ma senza mai fare alcun effettivo riferimento ai singoli documenti né tanto meno ai dati specifici in essi contenuti; egualmente deve dirsi in punto di “investimenti”, di cui nulla viene specificato sicchè non è dato comprendere in questa sede quali essi siano.
La riproposizione, poi, delle questioni normative e delle pronunce giurisprudenziali della Corte di Giustizia è , appunto, mera operazione reiterativa, senza alcuna specifica aggressione alle ampie argomentazioni che il Tribunale, invece, ha speso al riguardo.
Pertanto, le doglianze individuabili fino a pag. 70 vanno sicuramente respinte.
§4.3 – Come terzo motivo di appello la Corte ha dovuto individuare – in assenza di alcuna operazione ordinatoria da parte della società appellante – le questioni che da pag. 70 riguardano la statuizione con cui il Tribunale ha accolto la domanda riconvenzionale della società CP_ .
Escluso che il recesso operato da quest’ultima sia riconducibile ad un abuso o a una forma di vessazione (come si è già detto), non sono poste in dubbio le ragioni organizzativo-imprenditoriali ex art. 41 Cost. fatte valere da CP_(invero pacifiche anche per l’appellante), mentre era onere di quest’ultima spiegare (almeno in questa sede) le ragioni per le quali la scelta di un concessionario diverso dalla Part fosse ingiustificata e immeritevole o comunque discriminante.
E’ certo che la Part fosse titolare di un mero accreditamento service a cui era estranea tanto l'attività di vendita, quanto l'uso delle correlate privative industriali, diverse, per contenuto, ampiezza e modalità di uso, da quelle accessorie al nuovo ed inferiore accreditamento; la Part , pertanto, era tenuta, da un lato, a cessare di operare quale rivenditore di autoveicoli Ford, e, dall'altro, ad usare esclusivamente i diversi segni distintivi ad essa permessi quale operatore service, incorrendo altrimenti in inadempimenti sanzionati in clausole risolutive espresse in relazione ad obbligazioni previste tanto nei contratti di concessione, quanto nei contratti “service”, obbligazioni preposte, appunto, alle differenziazioni operative alle quali la CP_ comprensibilmente teneva; la Part risulta, invero, aver continuato ad operare sotto le apparenti spoglie di un concessionario autorizzato CP_ pur non più essendolo, spingendosi fino ad alterare la propria insegna, e ad utilizzare la qualifica di concessionaria al fine di indurre la clientela a ritenerla ancora appartenente alla rete distributiva (degli autoveicoli) della casa automobilistica, senza dire che essa si era anche resa responsabile di un mancato pagamento di una somma maturata a proprio debito nell'esecuzione dei contratti service, come da estratto conto mai da essa contestato, nonché di un'ulteriore somma di più rilevante importo che ancorché maturata non nei confronti della CP_ , ma della cessionaria dei crediti di questa, costituiva nondimeno un inadempimento dedotto in una clausola risolutiva espressa dei contratti service CP_13 .
Queste le basi sulle quali ha ragionato il Tribunale, accertando come acclarate le violazioni contrattuali della Part poste a fondamento del recesso e manca nel gravame, anche per questo aspetto, una reale contro-argomentazione , visto che tutto viene ricondotto alla già prospettata tesi dell’abuso, della scorrettezza e della mala fede, senza invece spiegare per quale motivo invece le violazioni non sarebbero state commesse. Peraltro, l’appellante si spinge a spiegare le differenze tra l’intermediazione, il mandato, la vendita ma non tiene in alcun conto che le violazioni accertate dal
Tribunale riguardano proprio le modalità di condotta, a prescindere dalla sua qualificazione giuridica, perché in contrasto con i vincoli dettati dal contratto in essere con la CP_ .
Di qui la reiezione anche di questi profili di doglianza.
§ 5 - Quanto alle spese del grado, queste seguono la soccombenza e si liquidano secondo le tabelle vigenti, tenuto conto del valore della controversia e dei parametri massimi - in considerazione della fase cautelare di inibitoria e della condotta processuale di parte appellante, quale emerge dal deposito di note di trattazione scritta composte di ulteriori pagine, in replica difensiva finale, rispetto a note conclusive di controparte già depositate in data 2 agosto 2024 e non sviluppate con le note di trattazione scritta limitate ad un riassunto breve delle questioni ed in aggiunta alle note conclusive già concesse e depositate), oltre IVA e CPA nonché rimborso per spese generali.
Tabelle: 2022 (D.M. n. 147 del 13/08/2022) Competenza: corte d' appello
Valore della causa: da € 8.000.001 a € 16.000.000
Fase di studio della controversia, valore massimo: € 24.446,00
Fase introduttiva del giudizio, valore massimo: € 14.214,00
Fase istruttoria e/o di trattazione, valore massimo: € 32.747,00
Fase decisionale, valore massimo: € 40.644,00
Compenso tabellare (valori massimi) € 112.051,00
Alla luce, dunque, del sopra riportato prospetto, si condividono le allegazioni contenute nella nota spese prodotta da parte appellata con le note finali quanto al valore della controversia ex art. 6.
Non può, invece, applicarsi alcun aumento ex art. 4 comma 1 – come richiesto – perché già l’individuazione dei parametri massimi tiene conto del numero e della natura delle questioni trattate. Egualmente deve dirsi quanto al richiesto aumento ex art. 4 comma 8, atteso che la fondatezza delle tesi di parte appellata non ha , nel caso in esame in cui sono state fatte valere questioni tabellari e in rito estranee al merito , valore incisivo così come richiesto dalla norma.
§ 6 - Parte appellata ha formulato istanza ex art. 96 comma 3 CPC.
Ritiene la Corte che , nonostante la infondatezza delle tesi di parte appellante, il loro tenore suggestivo impedisce di valutarle come abuso del processo, considerato anche che la misura più consistente del gravame ripropone le questioni di merito sulla base di una presunta nullità della sentenza, da escludersi per le ragioni suddette.
Trattandosi di procedimento di appello introdotto dopo la data del 31.1.13 (entrata in vigore della L. n. 228/12) deve darsi atto che sussistono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater TU approvato con DPR n. 115/02 come modificato dall’art. 1 comma 17 L. n. 228/12.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando sull'appello proposto contro la sentenza n. 5913/22 del tribunale di Roma , ogni diversa istanza, deduzione o eccezione disattesa, così provvede:
1. Rigetta l’appello;
2. Condanna parte appellante alla rifusione, in favore di parte appellata, delle spese del grado che si liquidano in Euro 112.051,00 oltre IVA e CPA nonché rimborso per spese generali;
3. Dichiara l’appellante tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello - se dovuto - per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 settembre 2024
Il consigliere estensore
Dott.ssa Maria Delle Donne
IL PRESIDENTE
Dott.ssa Gianna Maria Zannella