L'arte di destreggiarsi con la coesistenza di diritti connessi a marchi registrati e non registrati su patronimici italiani nel settore vinicolo è una prassi plurisecolare che i tribunali non sembrano interessati a cambiare. La tradizione italiana legata alla produzione (e al consumo) di vino è un fatto ben noto.
Storicamente, tale attività ha avuto spesso carattere familiare e non sorprende, quindi, che la maggior parte degli imprenditori utilizzi il patronimico per distinguere i propri prodotti. Le aziende vinicole più piccole e meno industrializzate, tuttavia, raramente si sono preoccupate di registrare i rispettivi marchi e questo, insieme alle numerose restrizioni in materia di etichettatura, ha fatto sì che in questo settore dilaghino le controversie legate ai marchi.
In Italia, fortunatamente, i marchi non registrati possono essere protetti. Esistono però variabili legate alla natura e all'estensione del preuso del marchio, tra cui una notorietà qualificata e la portata della sua riconoscibilità.
In diverse recenti sentenze, i giudici hanno fatto ricorso a interpretazioni inaspettate per confermare che, in determinate circostanze, la coesistenza di marchi identici contenenti un patronimico è legale, superando il tradizionale concetto di confusione del consumatore ai sensi della normativa sui marchi.
La protezione di marchi non registrati ricade nell'ambito dell'articolo 2598 del Codice civile che disciplina la concorrenza sleale e ammette la protezione unicamente laddove un marchio identico o simile è utilizzato da un concorrente in modo tale da creare un rischio di confusione tra i consumatori.
Ai sensi del Decreto legislativo 30/2005, i titolari di un diritto possono continuare a utilizzare un marchio non registrato anteriore in presenza di un marchio registrato posteriore e possono altresì tentare di impedire l'utilizzo e la registrazione del marchio posteriore. Nello specifico, l'articolo 12 1(a) del Codice della proprietà industriale stabilisce che un segno non può essere registrato come marchio laddove esista un segno non registrato identico o simile per prodotti o servizi identici o affini e laddove sussista il rischio di confusione. Ciononostante, il testo prosegue e chiarisce che, laddove il marchio anteriore non registrato non goda di una notorietà qualificata ovvero tale notorietà abbia carattere esclusivamente locale, esso non sarà di ostacolo alla registrazione del marchio posteriore e i due marchi coesisteranno di fatto, con limitazione dell'utilizzo del marchio non registrato unicamente all'interno della propria giurisdizione locale. Pertanto, l'aspetto più rilevante ai fini della determinazione dell'ambito di protezione per i marchi non registrati consiste nello stabilire se tali marchi godano di una notorietà qualificata al di là dell'uso locale.
Ai sensi dell'articolo 28 del Codice della proprietà industriale, solo i marchi registrati beneficiano del principio di convalidazione: "Il titolare di un marchio d'impresa anteriore […] e il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, i quali abbiano, durante cinque anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l'uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore né opporsi all'uso dello stesso sulla base del proprio marchio anteriore."
Chiaramente, per poter beneficiare della protezione al di là delle limitazioni dell'uso locale continuativo e godere di diritti su scala nazionale, i titolari dei diritti devono dimostrare che l'uso e la rinomanza dei rispettivi marchi anteriori hanno carattere effettivo, distintivo e non puramente locale.
ROAGNA: una storia vinicola ventennale
Il 18 aprile 2016, in un caso che ha visto protagonisti due viticoltori operanti in comuni limitrofi con lo stesso patronimico e lo stesso marchio non registrato ROAGNA, il Tribunale di Torino non ha riscontrato alcuna violazione e ha ammesso la coesistenza dei marchi identici in ragione del fatto che l'uso simultaneo si era protratto per oltre 20 anni senza obiezioni reciproche o apparente confusione sul mercato. Per giungere a tale pronuncia, la Corte ha assunto una posizione chiara ma inaspettata su tre aspetti relativi ai marchi non registrati.
Innanzitutto, ha ritenuto che le indicazioni di provenienza sulle etichette dei prodotti offrissero sufficienti elementi di differenziazione.
In applicazione dell'articolo 2598 del Codice Civile, il giudice ha concluso che, se "i consumatori, nonostante l'identità del segno, sono in grado di individuare correttamente la provenienza dei prodotti da due imprenditori diversi, deve escludersi anche il rischio di confusione". Il Tribunale ha infatti escluso tale rischio in ragione del fatto che i vini ROAGNA differivano per prezzo e, di conseguenza, target di consumatori, e che entrambe le etichette recavano l'indicazione del nome del produttore, il che ne aveva consentito la coesistenza pacifica per un lungo periodo di tempo.
In secondo luogo, il Tribunale ha sostenuto che la promozione online amplia l'uso di un marchio non registrato. In applicazione dell'articolo 12 del Codice della Proprietà Industriale, ha limitato la definizione di "uso locale" a casi marginali, affermando che al giorno d'oggi "il fenomeno pubblicitario e la crescente mobilità dei consumatori restringono notevolmente i casi di notorietà puramente locale; perché rendono agevole e "normale" che un prodotto contraddistinto da un certo marchio, se pur prevalentemente (o anche esclusivamente) commercializzato in una determinata realtà locale, sia tuttavia noto anche al di fuori di essa". Il Tribunale ha concluso che l'uso non ha carattere locale quando i prodotti sono promossi e venduti in una regione o una provincia. Pertanto, i titolari dei diritti possono aggirare l'ostacolo della notorietà locale promuovendo i rispettivi marchi tramite i social media, soluzione poco dispendiosa e capace di raggiungere un ampio pubblico.
Infine, il Tribunale ha stabilito che la convalidazione si applica anche ai marchi non registrati.
Ha sostenuto infatti che l’attore non poteva intentare un'azione contro il convenuto dopo più di 20 anni di deliberata tolleranza dell'uso del marchio identico da parte del secondo. Come affermato dal giudice: "Lo scopo della convalidazione [...] è quello di consolidare le situazioni di fatto, facendo ad esse corrispondere la situazione di diritto ed eliminando uno stato di incertezza. Con riferimento ai segni distintivi va anche considerato che permettere che un segno distintivo da lungo tempo presente sul mercato sia esposto all'azione di nullità o a quella di contraffazione significa vanificare quegli investimenti fatti nel corso degli anni dal titolare del segno (e permettere, in definitiva, una "gratuita" perdita di ricchezza); senza dire che di questi investimenti potrebbe indebitamente – e anche "maliziosamente" – avvantaggiarsi il soggetto che, consapevole dell'esistenza dell'altrui marchio, volutamente permetta che questo si accrediti sul mercato a prezzo di investimenti promozionali e pubblicitari, per poi "appropriarsi" di questa notorietà dopo aver eliminato dal mercato il segno concorrente."
Poiché l'articolo 28 del Codice della Proprietà Industriale non può essere applicato per analogia ai marchi non registrati, la decisione del Tribunale si è basata sui principi generali del diritto, tra cui il principio di certezza del diritto, la protezione degli investimenti aziendali e la lotta alle iniziative parassitarie, che sono tipici della concorrenza sleale.
La portata territoriale del patronimico BELLUSSI
Il 13 maggio 2016 la Corte di Cassazione ha preso in esame un caso simile riguardante l'utilizzo del patronimico non registrato BELLUSSI da parte di due viticoltori. L’attore era noto per la commercializzazione di rinomati spumanti su scala nazionale e internazionale ed era titolare di marchi registrati dal 1983. Il convenuto, un'azienda più piccola, utilizzava lo stesso patronimico a livello locale dagli anni '70, presumibilmente a titolo di marchio non registrato. Come nel caso precedente, i nomi dei produttori comparivano su tutte le etichette dei prodotti, come imposto dalla legge.
L’attore affermava che, quando il convenuto ha iniziato a utilizzare BELLUSSI come marchio in evidenza sulle etichette dei propri prodotti e a vendere il proprio vino online tramite nomi di dominio contenenti il marchio BELLUSSI, il preuso a livello locale di una denominazione d'impresa da parte del convenuto ha assunto la connotazione di uso su scala nazionale di un marchio identico. Deliberando in prima istanza, il Tribunale di Venezia ha accolto la domanda di contraffazione dell’attore e ha inibito l'uso da parte del convenuto del marchio e del nome di dominio BELLUSSI, ordinando il ritiro dal mercato di tutte le bottiglie recanti tale marchio, la pubblicazione della sentenza e una penale per violazioni future.
La Corte d'appello di Venezia ha parzialmente riformato tale decisione sostenendo che il convenuto aveva il diritto di continuare a utilizzare il marchio BELLUSSI alla luce del suo preuso, il cui carattere era da ritenersi non solo locale, bensì anche regionale e nazionale. Ciononostante, la Corte ha affermato che, tenuto conto della portata globale di Internet, il convenuto non avrebbe potuto utilizzare i nomi di dominio contenenti BELLUSSI in ragione del fatto che, così facendo, avrebbe raggiunto un pubblico più ampio rispetto a quanto reso possibile dal solo preuso del marchio, traendo vantaggio dal marchio registrato dall’attore a livello nazionale e internazionale e rischiando di cagionare una confusione illimitata sul mercato.
Il caso è stato portato dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale si è soffermata a stabilire se l'uso di un marchio in una denominazione d'impresa – che compare sull'etichetta del prodotto vinicolo, come imposto dalla legge – possa essere considerato uso di un marchio distintivo e se esso consenta al suo utilizzatore di godere dei diritti derivanti dal preuso di un marchio non registrato. La Corte è giunta alla conclusione che, fermo restando il principio di unitarietà dei segni distintivi, l'uso di un segno come denominazione d'impresa non conferisce automaticamente al suo utilizzatore il diritto di preuso come marchio non registrato, salvo ove venga dimostrato il sussistere di tutti i requisiti legali (carattere distintivo del marchio, notorietà del marchio sul mercato e portata territoriale dell'uso del marchio).
Confusione in merito a CASTELLA
La Corte di Cassazione ha inoltre preso in esame la coesistenza di marchi patronimici nel settore vinicolo nell'ambito di una sentenza del 4 febbraio 2016, la quale ha confermato la decisione con cui la Corte d'appello di Torino aveva dichiarato che il marchio RENZO CASTELLA, utilizzato per lo stesso tipo di vino da un concorrente limitrofo, non era contraffazione del marchio registrato CASTELLA.
Come affermato dalla Corte: "Nello specifico settore vitivinicolo è frequente la presenza di imprese, commercializzanti lo stesso prodotto, facenti capo a soggetti pressoché omonimi e che utilizzano il proprio nome come ditta o marchio. Sicché, avendo – nello specifico settore produttivo in questione – il patronimico una minore valenza distintiva, l'aggiunta del prenome al cognome, in specie se accompagnato da ulteriori elementi descrittivi, è sufficiente ad escludere la confondibilità dei segni distintivi delle diverse aziende."
Non è raro che patronimici plurisecolari di famiglie italiane siano utilizzati come marchi per i prodotti vinicoli. Anche in caso di acquisizione di un'impresa nazionale, il cognome italiano resta un prezioso asset del marchio. Accade spesso che patronimici identici appartengano a più produttori dello stesso tipo di vino nella medesima area. Fino ad alcuni decenni fa era possibile una pacifica coesistenza dei suddetti marchi identici per prodotti identici, in quanto le famiglie si conoscevano e differenziavano i rispettivi prodotti con etichette diverse graficamente e target di consumatori distinti. Internet ha cambiato le cose. Un sito web riportante il patronimico può dare adito a confusione sul mercato virtuale e su quello globale, dove la ricerca dei marchi ha luogo unicamente utilizzando le parole e non viene operata alcuna distinzione circa le differenze grafiche. La giurisprudenza sembra affrontare questo fenomeno ammettendo, con adeguamenti minimi, la coesistenza di marchi identici per prodotti identici, sulla base di vari fondamenti giuridici, e considera l'industria vitivinicola un'anomalia, retta da regole particolari probabilmente inapplicabili ad altri settori.