• Agevolazioni e finanziamenti alle imprese - Patent box

6 luglio 2020

Patent box e concessionari: perché ingolfare la ripresa post Covid-19?

di Massimo Favuzza e Francesco Rizzo

A seguito del rigetto da parte dell’Agenzia delle Entrate di una istanza di ruling in materia di Patent Box presentata da alcuni “concessionari di Stato”, si è aperto un acceso dibattito circa la possibilità che detta agevolazione fiscale possa essere richiesta da quei soggetti che, a fronte di un corrispettivo assegnato secondo le regole delle gare pubbliche, svolgono un servizio che compete allo Stato.


L’Agenzia delle Entrate, nell’argomentare in merito a quanto sopra, ha sostenuto l’insussistenza del requisito soggettivo, di quello oggettivo oltre che, in taluni casi, l’assenza di un know-how giuridicamente rilevante.

Quanto al primo punto (requisito soggettivo), l’AdE ha considerato che, nel caso della concessione, i margini di redditività operativa sono predeterminati o, comunque garantiti dalla concessione stessa e che l’attività di R&S per i concessionari essa si sostanzia in un impegno tecnologico volto all’efficientamento dei processi in ossequio agli obiettivi previsti dalla concessione.

Quanto al secondo aspetto (requisito oggettivo), l’Amministrazione ha sostenuto che l’intero margine operativo sia puramente e semplicemente riferibile alla concessione, mancando un extra profitto agevolabile riferito agli eventuali intangibili valorizzati ed un collegamento diretto con i costi di R&S.

Quanto infine al terzo aspetto (assenza di un know-how giuridicamente rilevante), a dire dell’AdE, non sarebbe possibile nel caso del concessionario identificare un know-how agevolabile posto che, in ragione della concessione, detto bene non avrebbe il requisito del valore economico di cui all’art. 98 del Codice della Proprietà Intellettuale perché asseritamente inidoneo a mantenere o aumentare la quota di mercato.

È evidente che tutte le predette considerazioni non possano essere condivise.

Sembrerebbe, infatti, che l’Amministrazione si sia voluta sostituire al legislatore, inventando un nuovo perimetro di applicazione del regime agevolativo, il quale è espressamente disciplinato dal comma 37 della Legge n. 190/2014, ovvero “i soggetti titolari di reddito di impresa”, successivamente declinato in forma analitica dall’art. 2 del D.M. 30.07.2015 (o del successivo D.M. 28.11.2017) con un elenco tassativo di soggetti.

In quest’ultimo elenco di soggetti, non vi sono preclusioni per i soggetti che – nell’ambito del reddito di impresa e previo svolgimento delle attività di R&S – svolgono la loro attività d’impresa nell’alveo di una concessione pubblica. Peraltro, la stessa circolare n. 11 del 2016 dell’AdE, trattando dell’ambito soggettivo, conferma che “Il Patent Box si applica quindi a tutti i soggetti residenti nel territorio dello Stato, in relazione alle attività produttive di redditi d’impresa, indipendentemente dalla natura giuridica, dalla dimensione e dal settore di appartenenza degli stessi”.

Infatti, va ricordato che se è vero che i concessionari ottengono i loro ricavi dal soggetto pubblico affidatario, è altrettanto vero che per arrivare a vincere la gara – peraltro nell’ambito delle regole di libera concorrenza fissate dall’Unione europea – devono necessariamente disporre di una struttura aziendale idonea a svolgere la propria attività nel rispetto dei canoni di economicità e dunque di efficienza ed efficacia, congrua all’obiettivo di primeggiare nella competizione pubblica.

L’AdE compie quindi il grave errore di considerare i “concessionari” quasi come “unti dal Signore” che hanno ottenuto in dono il diritto ad operare in regime di “monopolisti naturali”, mentre costoro – nel pieno rispetto delle regole del mercato libero – hanno consolidato gli assetti aziendali, in termini di struttura e soprattutto di competenze, idonee a vincere la gara pubblica di assegnazione della concessione. Gara che, essendo obbligatoriamente “concorrenziale” consente di individuare il migliore soggetto in grado, appunto in un mercato di libera concorrenza, di offrire con la massima efficienza il servizio richiesto e che seleziona il migliore operatore che il mercato in libera concorrenza è in grado di individuare. Parlare di monopolista naturale è, nella sostanza un fuor d’opera.

Ed ancora. Se è vero che la concessione di per sé stessa è un bene intangibile non agevolabile, è altrettanto vero che il concessionario non potrebbe esercitare la propria attività in assenza dei “veri” beni agevolabili che gli hanno permesso di vincere la gara pubblica e di fornire la propria prestazione a fronte del corrispettivo previsto nella concessione.

In buona sostanza, la concessione è il titolo giuridico che permette il conseguimento dei ricavi, ma gli intangibili del contribuente, sui quali peraltro viene svolta l’attività di R&S idonea a consentire una maggiore efficienza di processo, gli hanno permesso di vincere la gara e consentono lo svolgimento dell’attività di impresa in condizioni di redditività.

Quest’ultima, peraltro, è garantita non solo dall’entità dei ricavi (certamente previsti dalla concessione), ma anche dalla struttura dei costi sui quali il contribuente ha l’interesse di mantenere la massima efficienza anche al fine di massimizzare il proprio profitto. Dunque, il collegamento tra attività di R&S, beni immateriali agevolabili e conseguimento dei ricavi certamente sussiste.

In tal senso, il know-how detenuto dal concessionario potrebbe certamente essere una delle componenti che gli ha permesso di vincere la gara e quindi di aumentare la propria quota di mercato, anche rispetto agli altri competitors stranieri. E quindi, esso ha certamente valore economico posto che in sua assenza non gli sarebbe stata assegnata alcuna concessione oppure, ragionando come l’AdE, occorre ammettere che lo Stato provveda ad assegnare la gestione di un servizio in concessione a soggetti privi di competenze.

Ma va ricordato, ancora di più, che il valore economico del know how è costituito dal fatto che per esso è “stato necessario anche uno sforzo economico per ottenerlo, mentre analogo sforzo economico sarebbe stato richiesto presumibilmente per duplicarlo” (Trib. Bo 25.10.2017), e che – ancora – esso “deve essere valutato tenuto conto del tempo e delle risorse umane ed economiche necessarie per la loro acquisizione e del vantaggio sul mercato che la disponibilità immediata di un così rilevante patrimonio di informazioni concreta” (Trib. Mi 14.02.2012).

Si tratta in buona sostanza di argomentazioni, quelle utilizzate dall’Agenzia delle Entrate, che rischiano di penalizzare oltre modo soggetti che a pieno titolo dovrebbero e potrebbero, in ragione delle previsioni del legislatore, ottenere i benefici fiscali derivanti dal Patent Box, con ciò peraltro andando controcorrente anche rispetto alle iniziative che vedrebbero da un lato una riconsiderazione dei criteri per l’anno 2020 in ragione dell’emergenza da Covid-19 e dall’altro un allargamento del beneficio come proposto dalla task force guidata da Vittorio Colao.

Una presa di posizione dunque criticabile e probabilmente pericolosa, se solo si pensi agli effetti che dalla stessa potrebbero derivare nel caso in cui un operatore poco avveduto si confonda nell’interpretazione della parola concessione arrivando, magari in maniera superficiale, ad escludere le aziende che, in virtù di provvedimenti amministrativi rilasciati dalla P.A., utilizzano risorse demaniali ed a fronte delle quali sostengono solo costi verso l’Ente pubblico (es. spiagge in concessione, utilizzo del demanio idrico, di cave o miniere, etc.).

Concludendo, in un momento in cui è essenziale riavviare il “motore” economico del Paese, il Patent Box può essere una “miccia” per iniettare il giusto carburante di liquidità e le interpretazioni restrittive rischiano soltanto di “ingolfarlo” ulteriormente.
 


Dr. Massimo Favuzza - Studio Modolo e Favuzza

Avv. Francesco Rizzo - Studio Legale Improda