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6 giugno 2022

Quando è possibile usare i marchi famosi in un’opera?

di Silvia Di Virgilio

Se ami l'arte e ti dico zuppa Campbell's penserai subito alle celebri opere degli anni '60 di Andy Warhol "Campbell's Soup Cans". Trentadue lattine di zuppa a marchio Campbell Soup che sono passate dagli scaffali del supermercato alle pareti del Moma, Museum of Modern Art di New York.


Grazie ad Andy Warhol il marchio di una popolare ed economica zuppa in scatola è passato da segno distintivo di un'azienda a vera e propria icona della Pop Art.

Oggi i brand famosi sono diventati raggiungibili a tutti grazie alle loro riproduzioni non sempre autorizzate. Sul web e sulle pagine social sono presenti oggetti che riproducono marchi famosi oppure rappresentano oggetti iconici, immediatamente riconducibili a un particolare marchio.

La Direttiva UE 2015/2436 - sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa - e il Regolamento (UE) 2015/2424 hanno previsto che è opportuno che i diritti esclusivi conferiti dal marchio d'impresa non permettano al titolare di vietare l'uso da parte di terzi di segni o indicazioni utilizzati correttamente.

"[...] L'uso di un marchio d'impresa da parte di terzi per fini di espressione artistica dovrebbe essere considerato corretto a condizione di essere al tempo stesso conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale.

Inoltre, la presente direttiva dovrebbe essere applicata in modo tale da assicurare il pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare della libertà di espressione".


Ma dov'è il confine tra libertà di espressione e violazione di marchi famosi?

Sono tante le opere che hanno coinvolto, in veste di denuncia o in chiave ironica, marchi famosi.

Il primo caso che ha posto la questione dell’utilizzo di marchi celebri in opere d’arte è il quadro "Simple Living" di Nadia Plesner.

Nell'opera l'artista raffigura un bambino di colore, in grave stato di denutrizione, che stringe tra le braccia un chihuahua vestito di rosa e una borsetta di Louis Vuitton. Del quale è ripresa la forma e il modello registrato “Multicolor Canvas Design”.

L’immagine è stata, anche, riprodotta su t-shirt e poster venduti dalla stessa artista e il cui ricavato è stato devoluto all’associazione Divest for Darfur.

La reazione di Louis Vuitton non si è fatta attendere. Nel 2011 la Corte dell’Aja ha emanato un'ordinanza nella quale ha sottolineato l’indebito vantaggio tratto dall'artista. Vantaggio che si concretizza nell’utilizzo non autorizzato del design nella vendita di prodotti di merchandising derivati dall’opera.

I giudici hanno precisato come l’eccezione della libertà artistica, quale motivo di limitazione di un diritto di proprietà intellettuale, potesse essere invocata esclusivamente in casi eccezionali. E che l’accostamento del marchio al genocidio in Darfur, in cui l’azienda non era coinvolta, non fosse da considerarsi in alcun modo necessario al veicolare del messaggio dell’opera. Anzi comprometteva la reputazione del marchio.

La decisione veniva completamente ribaltata nel giudizio di impugnazione. Nel quale le parti facevano riferimento rispettivamente alla liberà di espressione e alla protezione della proprietà intellettuale.

Considerando l’importanza dei due diritti in questione, definiti su un piano di parità ma in conflitto, la Corte ha affermato che la libertà di espressione e la conseguente critica sociale che ne derivava dovessero considerarsi di maggiore rilievo rispetto ai diritti di proprietà industriale derivanti dalla registrazione del design di Louis Vuitton.

L’utilizzo da parte dell’artista è stato definito come “funzionale e proporzionato” e soprattutto ritenuto “non-commerciale”. In quanto lo scopo dell’opera non era quello di trarre un indebito vantaggio dallo sfruttamento del marchio ma di attirare l’attenzione della società sul Darfur.

Il bilanciamento tra il diritto alla libertà di espressione artistica e l’esercizio esclusivo del marchio registrato veniva risolto in favore della garanzia del primo, in quanto principio fondante di una società democratica.


Il delicato equilibrio tra diritti di marchio e libertà di espressione

Anche l'azienda di Champagne Moët è stata protagonista di una causa sull'indebito utilizzo del suo marchio Dom Pérignon.

L'artista ha riprodotto nelle sue opere le bottiglie dello champagne facilmente riconoscibili tramite la celebre etichetta “a scudo con tre punte”. Cedric Peers ha, anche, lanciato una collezione di abbigliamento con un'immagine stilizzata della bottiglia e annessa etichetta. La linea di abbigliamento “Damn Perignon Collection” aveva come fine la promozione delle sue opere.

La MHCS ha chiesto un’ingiunzione contro la commercializzazione degli articoli di abbigliamento e delle opere che riproducevano la forma della bottiglia e l'etichetta dello Champagne Dom Pérignon.

Il 12 aprile 2018 il Tribunale Commerciale di Bruxelles, in accoglimento della richiesta della MHCS ha ritenuto che l’utilizzo del marchio nell'abbigliamento ne identificasse l’origine commerciale. Da cui derivava per l’artista un indebito vantaggio dovuto alla reputazione dell’azienda.

Inoltre, l'accostamento al prodotto del termine “Damn” e un’ambientazione poco consona rischiavano di offuscare il prestigio dello champagne.

Il Tribunale ha ritenuto che lo scopo principale degli articoli di abbigliamento fosse di tipo commerciale e non puramente artistico, potendo così creare la falsa impressione che fossero prodotti su licenza concessa dall’azienda. In questa situazione il diritto alla tutela del marchio di MHCS era prevalente sul presunto diritto alla libertà artistica.

I giudici hanno, tuttavia, stabilito che l’uso del marchio nei dipinti costituisse “un utilizzo diverso da quello per distinguere i prodotti e i servizi”. E si sono chiesti se la libertà di espressione e, nello specifico, la libertà artistica dovessero ritenersi un motivo legittimo all’inclusione di un segno distintivo nelle opere d’arte.

La questione è stata rimessa alla Corte di giustizia del Benelux che ha stabilito che la libertà artistica, quale declinazione del diritto alla libertà di espressione, possa costituire una giusta causa per l’utilizzo del marchio.

Ovviamente nel caso in cui l’espressione artistica sia il risultato originale di un processo di progettazione creativa. E non danneggi il marchio o il suo titolare.  


E', quindi, possibile inserire marchi famosi nelle opere?

In linea generale, l’orientamento comunitario fa prevalere la libertà di espressione e artistica sul diritto del marchio. In particolare, quando quest’ultimo sia inserito in un contesto differente e non danneggi la rinomanza del titolare.

Se il marchio celebre è un elemento secondario dell’opera, in quanto inserito in un contesto narrativo ed espressivo più ampio, l’utilizzo dovrebbe ritenersi sempre lecito. In quanto non rappresenta un’appropriazione indebita di segno distintivo altrui.  E, ovviamente, se la citazione del marchio è solo uno degli elementi del messaggio che l’artista intende esprimere.

Se, invece, il marchio è il protagonista principale del dipinto o della scultura e le rende più commercialmente appetibili in virtù della rinomanza del marchio riprodotto, la libertà di espressione sarà difficilmente invocabile. Soprattutto nel caso in cui l’opera non sia connotata anche da un conclamato valore artistico.  
 


Avv. Silvia Di Virgilio
Studio legale LexAroundMe