29 settembre 2016
Facebook condannata per aver copiato un'applicazione "nativa"
Con sentenza del 1 agosto 2016 il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia d’impresa, ha accertato la responsabilità di Facebook (sia la società italiana Facebook S.r.l. che quelle straniere Facebook Inc e Facebook Ireland Ltd) per violazione di diritti d’autore su una applicazione di Business Competence S.r.l. e atto di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 ai danni di quest’ultima.
La causa traeva origine dalle contestazioni avanzate nei confronti di Facebook da parte dalla società attrice, operante nel settore dei servizi marketing online, che sosteneva di aver elaborato un’applicazione per telefono mobile (operante con e attraverso la piattaforma di Facebook) denominata “Faraund” – che permette di segnalare gli esercizi commerciali presenti entro una certa distanza dalla posizione dell’utente e di mettere in evidenza i commenti dei propri amici - successivamente clonata (salvo per modifiche al layout grafico di visualizzazione) dalle convenute con l’applicazione denominata “Nearby”. Le convenute sostenevano invece di aver sviluppato in modo autonomo e indipendente la propria applicazione già prima del lancio del programma di controparte e, in ogni caso, che gli accordi intercorsi le consentivano l’analisi dell’app commissionata non solo per finalità di collaudo ma anche per la creazione di applicazioni in concorrenza con la stessa. La convenuta Facebook Italia contestava inoltre la titolarità passiva del rapporto, in quanto estranea all’attività di “gestione” del servizio.
Il Tribunale ha ritenuto che l’applicazione dell’attrice possedesse quel gradiente minimo necessario per la tutela dell’opera creativa accordata dal diritto d’autore, che i due programmi in questione avessero le medesime funzionalità e fossero “sostanzialmente applicazioni sovrapponibili” e che, anche alla luce della mancata prova di qualsiasi sviluppo autonomo di “Nearby” da parte delle convenute o di eventuali derivazioni da precedenti versioni, anteriori rispetto a quello dell’attrice, l’app di Facebook non costituisse un’elaborazione autonoma da parte del social network.
Quanto alle facoltà che Facebook si era riservata contrattualmente, il Tribunale ha evidenziato come ai sensi dell’art. 64 della Legge Autore “le operazioni di analisi, volte a capire i meccanismi di funzionamento dei programmi, sono consentite nei limiti in cui sono finalizzate all’uso e alla destinazione tipica dei programmi, mentre non sono mai ammesse per scopi commerciali [… ] neppure con clausole contrattuali, pena la comminatoria della loro nullità”; infatti “ciò che rileva, per rendere lecita l’attività di analisi, eseguita da un soggetto che non è l’autore, è la finalità della attività, che deve essere la destinazione tipica dell’opera, oggetto di tutela” e, pertanto, nel caso in esame, nonostante la previsione contrattuale più ampia, è riservata alle convenute la sola possibilità di procedere a collaudo per rendere fruibile il programma agli utenti, ma non la creazioni di programmi concorrenti.
Quanto al ruolo di Facebook Italia, il Tribunale ha ritenuto che la società italiana “sia solidalmente responsabile con le altre società convenute, concorrendo, per espressa ammissione, nell’attività di commercializzazione dei servizi Facebook sul territorio dello Stato, tra i quali rientrano quelli di geolocalizzazione forniti da Nearby, incorporati nel servizio di social network prestati da Facebook, nonché concorrendo nelle attività di promozione dei servizi medesimi”.