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18 ottobre 2016

Equo compenso: per la Corte di Giustizia UE è invalido il prelievo forzato sui prodotti acquistati ed utilizzati per scopi professionali

ROBERTO CAMILLI, FABIAN NIEMANN, BENOIT VAN ASBROECK

Il 22 settembre 2016, la Corte di Giustizia Europea ha emesso una sentenza riguardante la normativa italiana sull'equo compenso per la copia privata trattenuto sull'acquisto di supporti e memorie informatiche, stabilendo la illiceità di tale compenso laddove applicata ai prodotti e supporti acquistati per uso professionale (ECLI:EU: C:2016:717).

Tale sentenza è stata emessa a seguito del ricorso presentato dal Consiglio di Stato alla CGE, dopo che lo stesso Consiglio è stato investito dal giudizio di appello. Il ricorso originario era stato infatti presentato al TAR da un gruppo di produttori di device e supporti digitali, che hanno ricorso contro il c.d. "Decreto Bondi" il quale a sua volta ha introdotto il criterio per il calcolo dell'equo compenso, in applicazione del principio introdotto dalla Direttiva Europea 2001/29/CE.

La Corte di Giustizia Europea ha deciso che: (1) il pagamento dell'equo compenso si applica agli acquirenti consumatori, e non agli acquirenti professionisti, (2) le esenzioni dal pagamento dell'equo compenso devono basarsi su principi trasparenti ed un equo trattamento, e (3) deve esserci un meccanismo semplice per ottenere l'esenzione o il rimborso dell'equo compenso laddove non sia dovuto.

A seguito della sentenza della Corte Europea di Giustizia, il Consiglio di Stato dovrà adesso emettere la propria decisione in appello. Rimane da vedere se l'intero sistema dell'equo compenso sarà rivisto e modificato (come è accaduto per esempio in Spagna a seguito della sentenza “Padawan” della CGE), o se l'equo compenso sarà abolito esclusivamente per i prodotti e i supporti venduti ad una utenza professionale, e se verranno introdotti nuovi meccanismi per ottenere i rimborsi dovuti.

Il Ministero della Cultura e del Turismo e la SIAE, seppur riconoscendo una portata limitata alla sentenza, si sono comunque dichiarati pronti ad intervenire modificando il sistema dell'equo compenso ove necessario.

L'equo compenso viene applicato a qualsiasi dispositivo di riproduzione o memoria digitale (quali pc, registratori, memorie, cellulari, smartphone, hard disk e dispositivi di registrazione e riproduzione audio e video), ed è diretto a compensare l'opportunità di utilizzare tali dispositivi per creare copie di opere protette dal diritto d'autore. Infatti l'equo compenso è stato concepito proprio per permettere ai proprietari dei supporti digitali di effettuare copia di qualsiasi opera protetta dal diritto d'autore da essi legittimamente detenuta.

La Corte Europea si è pronunciata a seguito della richiesta del Consiglio di Stato Italiano, che a sua volta era stato chiamato a giudicare sull'appello presentato da otto produttori, importatori o distributori di dispositivi per la riproduzione di suoni e video (Nokia Italia/Microsoft Mobile Sales International Oy, Hewlett-Packard Italia, Telecom Italia, Samsung Electronics Italia, Dell, Fastweb, Sony Mobile Communications and Wind Telecomunicazioni). Nel procedimento si sono costituiti quali resistenti il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, la SIAE, l’Istituto per la tutela degli artisti dello spettacolo in liquidazione, l’Associazione Nazionale delle industrie Audio-visive e del cinema multimediali e l’Associazione dei produttori della televisione.

L’oggetto dell’appello iniziale era l’annullamento del cosiddetto “Equo Compenso per la riproduzione privata” principio contenuto nel decreto legislativo “Bondi” del 2009.

Dopo che la relativa azione era stata respinta dal TAR in primo grado, le società ricorrenti hanno presentato ricorso al Consiglio di Stato, che a sua volta, per risolvere la questione, si rivolse alla CGE.

A tal proposito la CGE ha confermato le proprie precedenti decisioni (in particolare il giudizio dell’11 Luglio 2013, Amazon.com International Sales and Others, C 521/11, EU:C:2013:515, paragrafo 31, e 5 Marzo 2015, Copydan Båndkopi, C 463/12, EU:C:2015:144, paragrafo 45), e ha indicato che l’equo compenso è in linea con la Direttiva Europa 2001/29/EC soltanto se è giustificato da difficoltà pratiche nella riscossione effettuata in altro modo, e qualora la persona responsabile per il pagamento abbia diritto di ottenere il rimborso del compenso stesso ove non dovuto. Pertanto, secondo i precedenti della CGE (sentenza del 21 Ottobre 2010, Padawan, C‑467/08), un sistema di finanziamento dell’equo compenso deve bilanciare i diritti e gli interessi degli autori, beneficiari dell’equo compenso, da un lato, e quelli degli utenti dei materiali protetti, dall’altro "soltanto nel caso in cui gli apparecchi e i supporti di riproduzione di cui trattasi possano essere utilizzati ai fini della realizzazione di copie private e possano pertanto causare un pregiudizio all’autore dell’opera protetta" e "sussiste quindi una correlazione necessaria tra l’applicazione del prelievo per copia privata a detti apparecchi e supporti di riproduzione digitale e l’uso dei medesimi a scopi di riproduzione privata[1]".

La Corte ha quindi criticato la mancanza di un sistema di rimborso laddove i prodotti siano stati acquistati da chi non è soggetto al pagamento dell'Equo compenso: "tale sistema deve prevedere un diritto al rimborso del prelievo per copia privata che sia effettivo e che non renda eccessivamente difficile la restituzione del prelievo corrisposto. A tale proposito, la portata, l’efficacia, la disponibilità, la pubblicità e la semplicità di esercizio del diritto al rimborso devono consentire di controbilanciare gli eventuali squilibri creati dal sistema del prelievo per copia privata al fine di rispondere alle difficoltà pratiche constatate"[2]".

La Corte ha criticato il fatto che la legislazione "non prevede disposizioni di applicazione generale che esonerino dal pagamento del prelievo per copia privata i produttori e gli importatori che dimostrino che gli apparecchi e i supporti sono stati acquistati da soggetti diversi dalle persone fisiche, per scopi manifestamente estranei a quelli della realizzazione di copie per uso privato[3]".

Su tali presupposti, la Corte ha stabilito che la Direttiva UE 2001/29/EC deve essere intrepretata come preclusiva della legislazione nazionale, compreso quindi anche il Decreto Bondi, laddove la stessa imponga l'equo compenso senza prevedere un sistema ragionevolmente semplice per ottenere il rimborso nei casi in cui non sia dovuto.

La sentenza è stata favorevolmente accolta da Confindustria Digitale, l'ente rappresentante dei produttori di dispositivi, ma non da SIAE, la quale ha minimizzato la portata della stessa specificando che questa non pregiudica in ogni caso la legittimità dell'Equo compenso per la copia privata, o l'intero Decreto Bondi, né la correttezza del comportamento della SIAE stessa.

É troppo presto per prevedere le conseguenze che la sentenza avrà sulla normativa italiana, anche se resta auspicabile e prevedibile che il sistema dell'equo compenso venga modificato per includere un nuovo sistema di esenzione, per i supporti digitali acquistati per uso professionale. Rimane da valutare come il sistema attualmente in vigore possa continuare ad esistere nelle more di una sua modifica, e come i Tribunali Italiani possano negare le eventuali richieste di rimborso dell'Equo Compenso non dovuto.

In ogni caso, SIAE ed i produttori di dispositivi dovranno inevitabilmente rivalutare la propria posizione in Italia.

 


[1] Sentenza del 22 settembre 2016, Nokia Italia and Others, C-110/15ECLI:EU:C:2016:717, paragrafo 29;

[2] Sentenza del 22 settembre 2016, Nokia Italia and Others, C-110/15ECLI:EU:C:2016:717, paragrafo 37;

[3] Sentenza del 22 settembre 2016, Nokia Italia and Others, C-110/15ECLI:EU:C:2016:717, paragrafo 40;

 

 


Roberto Camilli, Fabian Niemann, Benoit Van Asbroeck
Bird & Bird