10 aprile 2017
Linking verso contenuti online protetti dal diritto d’autore: la sentenza del Tribunale di Frosinone
In data 7 febbraio 2017, il Tribunale di Frosinone, pronunciandosi sulla causa R.G. 1766/2015, ha ritenuto che la sanzione amministrativa, applicata dalla Guardia di Finanza ai sensi dell’art. 174-bis della legge sul diritto d’autore al titolare di un sito web che forniva hyperlink a siti che diffondevano via streaming contenuti audiovisivi coperti dal diritto d’autore, non possa ritenersi legittimamente emessa e, pertanto, vada annullata.
Il caso
Il caso origina dall’ordinanza di ingiunzione emessa dal Prefetto di Frosinone in data 29 aprile 2015 con la quale è stata ingiunto al titolare dei siti web in questione di pagare a titolo di sanzione amministrativa secondo quanto disposto dall’art. 174-bis della legge sul diritto d’autore una somma pari a circa 600 mila euro dal momento che, a parer dell’autorità, la condotta del suddetto titolare configurava una violazione dell’art. 171-ter, co. 2 lett. a)-bis della medesima legge.
Avverso la suddetta ordinanza di ingiunzione, in data 29 maggio 2015, l’opponente presentava il proprio ricorso ritenendo infondata la contestazione della Guardia di Finanza in merito all’utilizzo a scopo di lucro della piattaforma, chiedendo: a) in via preliminare, la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento opposto; b) in via principale l’annullamento della sanzione; c) in via subordinata la riduzione della medesima.
In particolare, l’art. 171-ter, co. 2 lett. a)-bis prevede che è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da cinque a trenta milioni di lire chiunque “in violazione dell’articolo 16, a fini di lucro, comunica al pubblico immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante concessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore, o parte di essa”.
Proprio sulla base dell’elemento riguardante lo scopo di lucro, il Tribunale ha accolto il ricorso proposto dal titolare del sito web. In particolare, il Tribunale di Frosinone ha definito il concetto di scopo di lucro definendolo come “un fine di guadagno economicamente apprezzabile o di incremento patrimoniale da parte dell’autore del fatto”.
A nulla sono valse le argomentazioni della GDF a sostegno di un’interpretazione estensiva anche alle fattispecie senza scopo di lucro, ritenendo il Tribunale, al contrario, che il suddetto elemento costituisse “requisito essenziale di punibilità”. Pertanto, nel caso di irrogazione di una sanzione per violazione dell’art. l’art. 171-ter, co. 2 lett. a)-bis è necessario fornire la prova dell’intento del titolare volto a ottenere un guadagno “economicamente apprezzabile” attraverso lo sfruttamento online di opere protette dal diritto d’autore.
Lo streaming di contenuti online
Prima di poter trarre le conclusioni sul caso in oggetto è opportuno brevemente delineare i profili di diritto d’autore legati allo streaming di contenuti audiovisivi protetti. Lo streaming costituisce atto di messa a disposizione del pubblico previsto dall’art. 16 della legge sul diritto d’autore. In quanto tale, il diritto di messa a disposizione del pubblico spetta esclusivamente all’autore e, pertanto, vi è il divieto di condividere contenuti audiovisivi in streaming se non dopo aver ottenuto una licenza dal titolare dei diritti o quantomeno dalla collecting society che li rappresenta.
Pertanto, risulta chiaro come in sede civile l’autore possa rivalersi su quei soggetti che riproducano le proprie opere senza autorizzazione dal momento che tali utilizzazioni non sono coperte da alcuna eccezione prevista dalla legge sul diritto d’autore. In particolare, l’art. 70 prevede la possibilità di non richiedere l’autorizzazione al titolare dei diritti per “il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico” ma solo se “effettuati per uso di critica odi discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera”; inoltre il comma 1-bis del medesimo articolo prevede la libera pubblicazione online a titolo gratuito “di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro”. In nessun di questi casi può rientrare la diffusione di contenuti audiovisivi – spesso messi a disposizione in alta qualità – tramite le piattaforme online sebbene risulti assente lo scopo di lucro. Di fatti, lo streaming integrale di tali opere non avviene né a fini di critica né di discussione e non può essere negato che la messa a disposizione di tali opere arrechi un pregiudizio di carattere economico al titolare che non si sarebbe verificato qualora le stesse opere fossero state licenziate dall’autore.
Sul tema andrebbero svolte ulteriori considerazioni in relazione ai diritti connessi spettanti agli artisti interpreti ed esecutori dei contenuti illecitamente messi a disposizione del pubblico, nonché alle sanzioni penali applicabili per le condotte oggetto di causa. Tuttavia, risulta opportuno concentrarsi sul caso in questione, analizzando il fenomeno del linking.
Il linking di contenuti online: i casi Svenson e GS media
Il linking è un fenomeno diffuso nel mondo del web. Numerose piattaforme per diversi scopi contengono variati hyperlink che rimandano ad altre pagine web. Il problema nasce quando questi collegamenti rimandano ad opere tutelate dal diritto d’autore illecitamente messe a disposizione dal pubblico dalla piattaforma verso la quale il link è diretto.
La Corte di Giustizia ha avuto modo di pronunciarsi su tale fenomeno nella sua relazione con il diritto d’autore in due casi. In particolare, nel caso Svensson (C- 466/12), la suddetta Corte ha riconosciuto che la messa a disposizione su un sito Internet di link verso opere liberamente disponibili su un altro sito Internet non costituisce un atto di comunicazione al pubblico ai sensi dell’art. 3 della Direttiva Infosoc. Tale decisione si è basata essenzialmente sulla definizione di “pubblico nuovo”. Nel caso di specie la Corte non ha ritenuto l’esistenza di un nuovo pubblico attratto dalla disponibilità dei link pubblicati dal momento che la comunicazione iniziale sul sito originario non è assoggettata ad alcuna misura restrittiva, e pertanto, il numero di utenti potenziali è il medesimo.
Tuttavia, nel caso GS Media (C-160/15), la Corte di Giustizia ha fatto un passo in avanti. Secondo la Corte, al fine di valutare se la pubblicazione su un sito Internet di hyperlink verso opere protette, liberamente disponibili su un altro sito web senza l’autorizzazione del titolare dei diritti, configuri un atto di comunicazione al pubblico ai sensi dell’art. 3(1) della Direttiva Infosoc, non basta soffermarsi sulla definizione del “pubblico” potenziale, ma occorre determinare se tali collegamenti siano forniti senza fini di lucro da un soggetto che non fosse a conoscenza, o non potesse ragionevolmente esserlo, dell’illegittima pubblicazione delle opere protette, oppure se, al contrario, i collegamenti ipertestuali siano forniti a fini di lucro, ipotesi nella quale si deve invece presumere tal conoscenza.
Secondo l’orientamento della giurisprudenza europea in materia, non si può trascurare come anche nei casi di assenza di scopo di lucro un soggetto che utilizzi hyperlink verso piattaforme di contenuti non autorizzati compia un atto di comunicazione al pubblico soggetto alla preventiva autorizzazione del titolare dei diritti.
Scopo di lucro o consapevolezza dell’illegittima pubblicazione dei contenuti?
La pronuncia del Tribunale di Frosinone risulta conforme alle disposizioni previste dalla legge sul diritto d’autore. Tuttavia, è necessario fare attenzione a non cadere in conclusioni affrettate, guardando in particolare alla giurisprudenza europea menzionata. All’indomani della pronuncia non sono mancate argomentazioni a sostegno della possibilità di utilizzare incondizionatamente collegamenti ipertestuali verso contenuti audiovisivi messi a disposizione via streaming nel caso in cui il soggetto che mette a disposizione i suddetti collegamenti non persegua uno scopo di lucro. Tale ricostruzione risulta non condivisibile.
Innanzitutto, occorre rilevare come il Tribunale di Frosinone non abbia preso una posizione forte sul tema del linking verso contenuti protetti dal diritto d’autore ma si sia limitato ad applicare il dettato normativo previsto dalla suddetta legge sostenendo che nel caso di specie le argomentazioni e gli elementi di prova forniti dalla GDF non fossero sufficienti a determinare lo scopo di lucro richiesto ai fini dell’irrogazione della sanzione prevista dall’art. 171-ter co. 2 lett. a)-bis, evidenziando, quindi, una carenza probatoria. Inoltre, giova sottolineare come nel caso di specie non poteva trovare applicazione la sanzione prevista dall’art. 171 co.1 lett. a)-bis il quale prevede la possibilità di applicare sanzioni non solo ai casi limitati allo scopo di lucro “ma a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma” a chiunque utilizza opere ossia le “mette a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un’opera dell’ingegno protetta, o parte di essa”. Di fatti, la norma richiamata risulta applicarsi soltanto nel caso di immissione, lasciando la fattispecie della comunicazione al pubblico soggetta all’art. 171-ter, co. 2 lett. a)-bis.
Tuttavia, non è possibile ignorare il contrasto tra la decisione analizzata e la giurisprudenza europea in tema di linking che nel caso in questione non è stata presa in considerazione. Come già espresso, secondo la Corte di Giustizia, in assenza di scopo di lucro, la pubblicazione di link non costituisce un atto di comunicazione al pubblico soltanto nei casi in cui i soggetti che pubblichino tali collegamenti non siano a conoscenza, o non possano ragionevolmente esserlo, dell’illegittima pubblicazione delle opere protette alle quali il collegamento rimanda.
Pertanto, il criterio da applicare al fine di irrogare una sanzione nei confronti di coloro che utilizzano hyperlinks nei propri siti web non dovrebbe essere soltanto la presenza o meno dello scopo di lucro come disposto dall’art. 171-ter co. 2 lett. a)-bis, ma la condizione soggettiva di conoscibilità, anche potenziale, dell’illegittimità dei contenuti a cui i collegamenti rinviano.
Giovanni De Gregorio
Fonte: Media Laws