• Diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica

31 ottobre 2023

La risonanza mondiale della piattaforma dell’hosting provider e le potenzialità lesive del diritto autoriale esigono adeguata predisposizione di mezzi di tutela

di Claudia Dierna

La Corte d'Appello è stata chiamata a pronunciarsi sul tema della responsabilità dell'hosting provider "attivo" per il caricamento sulla piattaforma da esso gestita di contenuti illeciti violativi dell'altrui privativa, tema molto dibattuto nella giurisprudenza nazionale e comunitaria. Al fine di determinare se l'host in questione, titolare della piattaforma su cui venivano caricati dagli utenti contenuti autoriali altrui, svolgesse un’attività esulante rispetto a quella di ordine meramente tecnico e ponesse quindi in essere una condotta attiva, il giudice di seconde cure ha richiamato gli indici della condotta stessa individuati dalla S.C., correlando tale qualificazione al principio dell'esigibilità di idonei strumenti di controllo del copyright, anche in funzione della risonanza mondiale della piattaforma.


La società protagonista del caso è la V.L.L.C., titolare di una piattaforma telematica, accessibile tramite web, che consente agli utenti di pubblicare contenuti audiovisivi, memorizzati permanentemente su server cui sono collegati annunci pubblicitari tramite banner, previa adesione degli utenti stessi ad un disciplinare che prevede l’obbligo di registrazione e dispone testualmente: "attraverso il caricamento garantisci a V. e ai suoi partner una licenza limitata, non esclusiva, non soggetta al pagamento di alcun corrispettivo e il diritto di effettuare copie, trasmettere, distribuire, eseguire e mostrare pubblicamente (attraverso qualunque strumento di condivisione allo stato conosciuto o di qui in avanti creato) e creare opere derivate a partire dal tuo video".

E’ inoltre stabilito il divieto di caricamento di contenuti lesivi del diritto di terzi, compreso quello di autore nonché la possibilità per l’host di esaminare i brani e rimuovere quelli violativi di detto divieto.

Specificamente, la procedura di caricamento (c.d. “upload”) di video sulla piattaforma dell’hosting provider è effettuata dagli utenti, che devono necessariamente registrarsi, creare un proprio account prima di poter caricare qualsiasi video e, durante il caricamento dei loro video, possono anche inserire titoli, descrizioni e parole chiave relativi ad esso, anche se non sono tenuti a completare questi campi, che costituiscono funzioni volte a consentire agli utenti di cercare i video, altri utenti, canali, gruppi, forum, o di utilizzare una funzione di ricerca avanzata per limitare la ricerca a specifici titoli, descrizioni, tag, ecc.

Gli utenti sono divisi in quattro profili: l’account base, gratuito, che permette di caricare una quantità limitata di video al mese (circa 500 MB) con forti limitazioni anche sulla qualità, e gli altri tre tipi di account a pagamento, il Plus, Pro e Business, di cui il primo aumenta lo spazio disponibile al mese per i caricamenti (circa 5GB), mentre il secondo ed il terzo, oltre a dare spazio illimitato, concedono anche una serie di priorità per la conversione di video e una serie di personalizzazioni utili a rendere il video ancora più unico e ben costruito, oltre a permettere la vendita/affitto dei video pubblicati a fronte di un corrispettivo economico.

Gli utenti interessati solo a visionare i video devono registrarsi senza pagare alcunché e possono accedere ai files in parte gratuitamente e in parte a pagamento (laddove si tratti di video inseriti con tale finalità da utenti Pro e Business).

Concretamente nella pagina di accesso ai contenuti è possibile selezionare il canale “Staff Pick”, ossia fruire di quei contenuti che sono stati selezionati come i più interessanti da parte di un gruppo di collaboratori del Portale ("Watch human-curated Staff Picks” – “Guarda i video selezionati dallo staff tramite attività umana”). Pertanto, oltre all’utilizzo di strumenti automatici di catalogazione e/o di attività di tagging da parte degli utenti, il Portale impiega del personale con funzione di “team editoriale” per le selezioni di video da proporre attivamente agli utenti, suddividendo le proposte in categorie.

La funzione di ricerca consente di digitare un testo libero, anche ottenendo suggerimenti per completare la frase di ricerca, e quindi visualizzare i risultati che il Portale ordina per rilevanza consentendo di limitare ulteriormente i risultati selezionando alcune proprietà associate ai video. I contenuti sono precisamente catalogati ed indicizzati in categorie dettagliate.

In sintesi i contenuti del Portale sono categorizzati per mezzo di tre modalità:

  • in seguito all’attività di tagging degli utenti che caricano i contenuti;
  • attraverso processi automatizzati di catalogazione;
  • per mezzo dell’impiego di personale dedicato alla selezione e catalogazione dei brani.

L’hosting provider permette, inoltre, a motori di ricerca esterni (come Google) di indicizzare le pagine web pubblicamente disponibili, quindi tutte le informazioni sulla pagina di un video possono essere indicizzate, compresi il nome dell’utente, commenti su un video, o una delle informazioni fornite dall’utente.

Dunque, conclusivamente, i canali attraverso i quali l'hosting provider incamera utili sono: gli introiti derivanti dalle iscrizioni e dalle transazioni associate alla commercializzazione dei video, le inserzioni pubblicitarie.

Questo quanto emerge dagli atti processuali della causa intentata nei confronti dell’hosting provider in questione da R.T.I. s.p.a., nota concessionaria di reti televisive, titolare dei diritti allo sfruttamento economico dei relativi marchi e di molteplici programmi ivi trasmessi, che ha fornito fino al primo luglio 2015 il servizio "Mediaset Premium", ha acquistato in via esclusiva i diritti di trasmissione a pagamento relativi a molte squadre di calcio del campionato di Serie A (stagioni 2012/2013, 2013/2014 e 2014/2015) e in precedenza (stagioni 2010/2011 e 2011/2012) i diritti per la trasmissione in diretta di eventi calcistici.

La condotta contestata risale al periodo tra il quindici giugno e l’otto luglio 2015, in cui - secondo parte attrice - erano stati diffusi 385 brani audiovisivi ed erano stati ampiamente utilizzati anche i marchi di parte attrice oggetto di privativa, nonostante l’hosting provider possedesse sofisticati strumenti tecnici per l’individuazione e l’immediata rimozione dei contenuti illeciti tramite la creazione di un contenuto campione con cui confrontare quelli via via caricati dagli utenti (c.d. “finger printing”).

Nello specifico, R.T.I. ha dapprima inviato a controparte una diffida con cui era stato chiesto di interrompere l’illecita diffusione dei video in esame, cui seguiva un’azione giudiziaria, nella quale la prima deduceva la violazione dei diritti esclusivi riconosciuti dall'art. 78-ter e 79 della L. n. 633/1941 ("LDA") da parte di V.L.L.C., qualificandolo come “hosting attivo”, con la conseguente inapplicabilità dell’esenzione di cui al D.Lgs. n. 70/2003 e comunque la non ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 16 del suddetto decreto legislativo e all’art. 14 direttiva 31/2000/CE.

Affermava poi la responsabilità extracontrattuale della convenuta attesa l’integrazione dell’ipotesi di reato di cui agli artt. 171 e 171-ter LDA, richiedendo quindi, inter alia, che:

  • fosse ordinata la rimozione dei contenuti illecitamente presenti sulla piattaforma
  • fosse vietato per il futuro il caricamento e utilizzo dei video riferiti a RTI e agli eventi calcistici sopra indicati
  • fosse disposta la cancellazione o sospensione delle utenze che avevano caricato i contenuti
  • fosse emessa condanna al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito.

L'adito Tribunale di Roma, con sentenza n. 14760/2019 resa nel procedimento 62343/2015, avendo qualificato V.L.L.C. “hosting attivo”, accertava e dichiarava che la società aveva pubblicato brani estratti dai programmi RTI s.p.a. in violazione dei suoi diritti autorali di sfruttamento commerciale e condannava la parte convenuta al risarcimento di tutti i danni patrimoniali subiti dalla società attrice.

La società soccombente proponeva appello davanti alla Corte d’Appello di Roma, sostenendo “l’erroneità, ingiustizia e contraddittorietà della sentenza ove è stata ritenuta responsabile di attività manipolativa dei dati, in quanto ciò sarebbe incompatibile con la qualifica di internet service provider passivo ai sensi dell’articolo 16 D.Lgs. n. 70/2003: il Tribunale avrebbe in particolare mancato di considerare che V. opera tramite processi automatici e comunque senza mai intaccare il contenuto dei video caricati dall’utente finale.”

Il Tribunale quindi - secondo l’appellante - avrebbe erroneamente ritenuto che non potesse trovare applicazione per l'attività svolta il regime di responsabilità previsto per gli internet service provider dalla direttiva 31/2000/CE e dal decreto attuativo D.Lgs. n. 70/2003 poiché dalla CTU resa in corso di causa sarebbe emersa “un’evidente attività di manipolazione da parte della società convenuta sui contenuti caricati sull’omonima piattaforma”.

Infatti, l’appellante in giudizio ha sostenuto quanto segue:

  • V. si limita a rendere i video caricati visualizzabili mediante processi del tutto automatici che non comportano alcun intervento o partecipazione da parte del personale di V.. Inoltre, il personale di V. non visualizza o controlla alcun video prima che questo sia caricato e reso disponibile sul portale”;
  • l’associazione dei contenuti caricati dagli utenti sia a video correlati sia a link o messaggi pubblicitari è effettuata autonomamente da Google sulla base di sua tecnologia proprietaria. Anch’essa è un’attività che non comporta alcun controllo da parte di V. sui contenuti che di volta in volta vengono associati ai link sponsorizzati forniti da Google”;
  • la visualizzazione di links sponsorizzati in risposta alle ricerche di contenuti da parte degli utenti su V. avviene così: il sistema informativo di V. trasmette le “stringhe” di ricerca inserite dagli utenti a Google che, in maniera del tutto autonoma e indipendente, e sulla base del suo sistema di ricerca interno, restituisce a V. i link sponsorizzati. V. non ha quindi alcun controllo su quali sono i link sponsorizzati che vengono restituiti da Google sul suo portale, né a quali video questi link vengono collegati.”

La Corte adita ha in primis ritenuto condivisibile la premessa in diritto del Tribunale riguardo alla specialità dell’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 70/2003 rispetto alla generale responsabilità per danno aquiliano, consentendo, infatti, alla società di informazione di non rispondere (a parte eccezioni disciplinate singolarmente) a titolo risarcitorio della diffusione di opere di terzi coperte da diritto di autore, sacrificando entro detti limiti gli interessi di quest’ultimo. Altrettanto condivisibile, in quanto conseguenziale logicamente, l’affermata necessità di interpretazione restrittiva del suddetto decreto legislativo e l’esistenza di un onere della prova a carico dell’hosting provider ai fini dell’esenzione.

Premesso ciò, afferma che il caricamento dei suddetti video R.T.I. sottoposti a privativa costituisce un dato storico come anche il fatto che la visione sulla piattaforma degli stessi fosse gratuita da parte degli utenti. Per quanto riguarda poi l’attività di V. svolta su detti files per la Corte è parimenti incontestata e risultante documentalmente è la mission in generale dell’appellante ossia quella di promuovere lavori di autori giovani e filmakers indipendenti, facendoli conoscere ai professionisti del settore e al grande pubblico.

La piattaforma risulta quindi utilizzata per caricare video o per visionarli.

Il giudice d’appello ritiene che, proprio nella modalità con cui possono essere ricercati i video, l’intervento di V. esula significativamente dalla mera attività di hosting descritta dal D.Lgs. n. 70 del 2003.

La Cassazione (Cass. n. 39763/2021), richiamando un precedente arresto (Cass. n. 7708/2019), individua l’hosting provider attivo in quel prestatore dei servizi che svolge un’attività esulante rispetto a quella di ordine meramente tecnico e pone in essere una condotta attiva, concorrendo con altri nella commissione dell'illecito. In tale precedente (Cass. n. 7708/2019la Suprema Corte ha in motivazione enucleato alcuni indici, a titolo esemplificativo e non necessariamente compresenti, della condotta stessa: “le attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione: condotte che abbiano, in sostanza, l'effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati”.

In tal caso, indica la Cassazione, l’hosting provider resta sottratto al regime generale di esenzione di cui all'art. 16 del D.Lgs. n. 70 del 2003 e la sua responsabilità civile si atteggia secondo le regole comuni, ossia nel caso di specie secondo i criteri generali in materia di violazione del diritto di autore.

In particolare l’art. 16 del D.Lgs. n. 70/2003 ("Responsabilità nell'attività di memorizzazione di informazioni - hosting -"), in linea con l’art. 14 della direttiva 2000/31/CE, prevede, per quanto di interesse in questa sede:

Il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore:

a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione;

b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso”.

Come indicato ormai costantemente nella giurisprudenza della Corte di Giustizia UE “tali limitazioni di responsabilità non sono applicabili nel caso in cui un prestatore di servizi della società dell'informazione svolga un ruolo attivo» (sentenza 7 agosto 2018, Coóperative Vereniging SNBREACT U.A. c. Deepak Mehta, C-521/17, punti 47 e 48 ).

La Corte d’appello accerta che la notorietà di gran parte dei video oggetto del presente giudizio (riguardanti trasmissioni televisive molto seguite nonché eventi sportivi di sicura risonanza), il fatto che siano stati catalogati in gruppi di sub categorie, definite dall’hosting provider, l’esistenza di video consigliati dallo staff e di un motore di ricerca sono tutti elementi che:

a) contrastano decisamente con l’assunto dell’appellante, gravato del relativo onere probatorio, di essere hosting passivo e
b) provano anzi l’assunto contrario in quanto attestano un’attiva indicizzazione e profilazione dei files.

Il giudice d'appello conclude che, nel caso di specie si tratta, per i motivi sopra evidenziati, di hosting attivo per cui sono esclusi tout court i casi di esenzione sopra indicati ed il profilo di eventuale inesigibilità riguarda la possibilità per V., in concreto e con riferimento ai files oggetto di causa, di individuare la violazione del diritto di autore all’atto del caricamento o comunque in tempi brevi nonché, in caso di diffida, di predisporre strumenti idonei a rimuovere le informazioni o disabilitarne l’accesso sulla base dei dati forniti da RTI anche senza indicazione dell’URL.

Dunque, classificata parte appellante hosting attivo e dovendosi applicare i principi generali, costituisce preciso onere della suddetta fornire prova specifica dell’impossibilità tecnica o dell’inesigibilità di verificare la violazione del copyright, bloccando il caricamento illecito dei video o rimuovendoli successivamente.

La risposta, a giudizio della Corte, è nel senso dell’esigibilità sulla base dei seguenti rilievi.

La stessa appellante costituendosi in primo grado ha attestato la risonanza pressoché mondiale della piattaforma con milioni di utenti e riferito di numerosi riconoscimenti avuti da autorità pubbliche e da organizzazioni private. Una diffusione di tal fatta e le conseguenti intuitive vaste potenzialità lesive del diritto autoriale esigono da parte dell’imprenditore un’adeguata predisposizione di mezzi a tutela dei terzi.

Il modesto numero dei dipendenti e la consistenza dei costi fanno infatti parte dell’analisi finalizzata alla remuneratività effettiva di detta piattaforma e influiscono sulle scelte aziendali, ma non possono essere di per sé motivo per escludere l’esigibilità di idonei strumenti di controllo del copyright.

Tali strumenti esistono e sono stati identificati dal CTU con riferimento:

a) a due tecnologie di “finger printing” usate su vasta scala per individuare ex ante video lesivi del diritto di autore (in quanto il legittimo proprietario carica in un data base l’impronta digitale del video originale e la piattaforma di condivisione può confrontarlo automaticamente con il video che l’utente vuole inserire), in particolare “Copyright Matching” utilizzata dalla stessa V. per le colonne sonore dei video e basata su tecnologia “Audible Magic”, e “ContentID” di Google che individua quasi la totalità dei caricamenti illeciti;

b) a un software realizzato dal medesimo perito ad hoc a titolo sperimentale e riproducibile dall’azienda per individuare i video tramite una ricerca automatizzata con le parole chiave fornite dagli utenti in fase di caricamento: ciò ha consentito, già con una progettazione embrionale del sistema, di individuare 98 files di cui ben 48 rientranti nella violativa del copyright di RTI.

Attesa la mancata applicabilità della limitazione di responsabilità di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 70/2003 citato, non può gravare sul soggetto leso l’onere di indicare con netta precisione le url relative ai video illecitamente caricati, essendo comunque sufficiente tecnicamente l’indicazione dei titoli e non avendo d’altro canto allegato e tantomeno dimostrato che lo staff di V., con riferimento ai circa 500 files indicati, abbia finanche provato ad effettuare con i propri mezzi un’attività in tal senso.

La Corte d’Appello di Roma, nella sentenza n. 6532 pubblicata il 12 ottobre 2023, conclude quindi che laddove, come nel caso di specie, si tratta di hosting attivo, non va applicata tout court la disciplina relativa alle società di informazione di cui al D.Lgs. n. 70/2003.
 


Dott.ssa Claudia Dierna
Master di Alta specializzazione come giurista di impresa