24 maggio 2021
Un marchio può indurre in inganno il consumatore se trasferito ad un nuovo proprietario?
Ai fini della decadenza di un marchio UE, ai sensi dell'articolo 58, paragrafo 1, lettera c), RMUE, il fattore decisivo è se l'uso di un marchio UE da solo induca in errore il pubblico, in particolare sul tipo, sulla qualità o l'origine geografica dei prodotti o servizi individuati. E' quanto si legge in una recente pronuncia della Corte Suprema d'Austria (Oberster Gerichtshof).
Nel 1875, Jakob Pauscha fondò Cooperage Pauscha, azienda che si occupa della produzione di botti di legno. L'azienda è stata detenuta e gestita dalla famiglia Pauscha fino al fallimento nel 2010. A quel punto l'azienda e la famiglia Pauscha si sono separate e i beni della società in bancarotta sono stati trasferiti ad un'entità di nuova costituzione, Pauscha Fassbinderei GmbH, che alla fine è andata in bancarotta. K. Pauscha, l'ultimo rappresentante della famiglia, invece, ha fondato una nuova società di botti.
Tra i beni dell'ormai insolvente Pauscha Fassbinderei GmbH c'era anche il marchio UE 12315719, il c.d. marchio Pauscha, sotto riportato, acquistato successivamente da un'azienda italiana a conduzione familiare che produce botti e barriques.
La società italiana, titolare del relativo marchio, è stata convenuta in giudizio dinanzi alla Corte Suprema austriaca da K. Pausha il quale chiedeva la revoca per decadenza del marchio Pauscha ai sensi dell'art. 58, paragrafo 1, lettera c), RMUE secondo cui:
«1. Il titolare del marchio UE è dichiarato decaduto dai suoi diritti su domanda presentata all'Ufficio o su domanda riconvenzionale in un'azione per contraffazione:
a) se il marchio, per un periodo ininterrotto di cinque anni, non ha formato oggetto di un uso effettivo nell'Unione per i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato, e non vi sono ragioni legittime per la mancata utilizzazione; tuttavia, nessuno può far valere che il titolare è decaduto dai suoi diritti se, tra la scadenza di detto periodo e la presentazione della domanda o della domanda riconvenzionale, è iniziata o ripresa l'utilizzazione effettiva del marchio; peraltro, l'inizio o la ripresa dell'utilizzazione del marchio, qualora si collochi nei tre mesi precedenti la presentazione della domanda o della domanda riconvenzionale, a condizione che il periodo di tre mesi cominci non prima dello scadere del periodo ininterrotto di cinque anni di mancata utilizzazione, non vengono presi in considerazione qualora si effettuino preparativi per l'inizio o la ripresa dell'utilizzazione del marchio solo dopo che il titolare abbia appreso che la domanda o la domanda riconvenzionale potrà essere presentata;
b) se, per l'attività o l'inattività del suo titolare, il marchio è divenuto denominazione abituale nel commercio di un prodotto o di un servizio per il quale è registrato;
c) se, in seguito all'uso che ne viene fatto dal titolare del marchio o col suo consenso per i prodotti o servizi per i quali è registrato, il marchio è tale da poter indurre in errore il pubblico, particolarmente circa la natura, la qualità o la provenienza geografica di tali prodotti o servizi.
2. Se la causa di decadenza sussiste solo per una parte dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio UE è registrato, il titolare decade dai suoi diritti soltanto per i prodotti o servizi di cui trattasi.»
La Corte Suprema d'Austria, nell'esaminare la controversia, ha richiamato la sentenza 30 marzo 2006 (causa C-259/04) Elizabeth Emanuel, in cui la la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha stabilito le condizioni alle quali il nome di una persona in un marchio può essere utilizzato, dopo che il marchio è stato trasferito ad un'entità indipendente. Secondo quanto affermato nella sentenza Elizabeth Emanuel, non è necessario che il pubblico di riferimento sia effettivamente indotto in errore dal marchio ma è sufficiente il potenziale inganno. Il semplice fatto che il pubblico di riferimento presuma, erroneamente, che il titolare del marchio originario abbia contribuito alla realizzazione dei prodotti o servizi rilevanti non è sufficiente per accertare l'inganno se l'attività e la qualità dell'originale titolare del marchio sono state trasferite al nuovo titolare del marchio. In particolare, nella sentenza citata, la Corte di Giustizia dichiara quanto segue:
"La domanda di registrazione di un marchio che corrisponde al nome del creatore e primo produttore dei beni recanti tale marchio non può, unicamente a causa di tale caratteristica, essere respinta e il proprietario non può decadere dai suoi diritti, perché esso indurrebbe il pubblico in inganno, ai sensi degli artt. 3, n. 1, lett. g), e 12, n. 2, lett. b), della direttiva 89/104, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, segnatamente quando l’avviamento connesso a tale marchio, precedentemente registrato con una forma grafica differente, è stato ceduto unitamente all’impresa che produce i beni contraddistinti dal suddetto marchio.
Infatti, i casi di impedimento alla registrazione e le condizioni di decadenza previsti dalle disposizioni citate presuppongono l’accertamento di un inganno effettivo o di un rischio sufficientemente grave di inganno del consumatore. Per quanto riguarda un marchio corrispondente al nome di una persona, quand’anche un consumatore medio potesse venire influenzato, nel suo atto di acquisto di un prodotto recante il detto marchio, dall’idea che la persona in questione abbia partecipato alla sua creazione, le caratteristiche e le qualità del detto prodotto restano garantite dall’impresa titolare del marchio.
Spetterebbe invece al giudice nazionale valutare se, nella presentazione del marchio, non esista una volontà da parte dell’impresa, che ha presentato la domanda di registrazione di tale marchio, di far credere al consumatore che la persona il cui nome corrisponde al marchio sia ancora la creatrice dei prodotti recanti tale marchio o che comunque partecipi alla loro creazione. In tal caso si tratterebbe, in effetti, di una manovra che potrebbe essere valutata dolosa, ma che non potrebbe essere considerata come un inganno ai sensi dell’art. 3 della direttiva 89/104 e che, di fatto, non inciderebbe direttamente sul marchio stesso e, di conseguenza, sulla possibilità di registrarlo".
La Corte austriaca, sulla base dei suddetti principi, ha respinto l'argomento della società convenuta secondo cui il marchio Pauscha può, omettendo "dal 1875", essere utilizzato in modo non fuorviante. E precisa che, come previsto dall'art. 58, paragrafo 1, lettera c), RMUE, il marchio in quanto tale deve essere "idoneo a indurre in errore il pubblico". Pertanto, il rischio di ingannare il pubblico deve derivare dal marchio stesso.
La Corte Suprema, inoltre, non è d'accordo con la convenuta sul fatto che, dal momento che i marchi sono liberamente trasferibili e cedibili, il fatto che lo stesso segno sia utilizzato da un cessionario non induce il pubblico a credere che la stessa attività sia continuata. Sebbene sia corretto affermare che le ipotesi del pubblico di riferimento sulla continuità aziendale non conducono automaticamente alla revoca del marchio, la situazione è diversa quando il pubblico di riferimento attribuisce erroneamente una specifica qualità all'attività che ritiene ancora dietro il marchio.
A sostegno delle conclusioni riportate la Corte evidenzia che il marchio Pauscha collega il nome "Pauscha" all'indicazione "dal 1875" e, di conseguenza, il pubblico di riferimento (essenzialmente i produttori di vino) sarà indotto ad attribuire specifiche percezioni di qualità considerata una così lunga tradizione di utilizzo del marchio. I produttori di vino, infatti, sanno che un'azienda nel settore delle botti da quasi 150 anni può contare su una significativa esperienza e know-how. Il pubblico sarà, altresì, indotto a ritenere che l'azienda che utilizza il marchio Pauscha produca botti sulla base della tradizione di lavorazione della famiglia Pauscha (qualità decisive per il gusto del vino che matura in botte), quando, invece, la convenuta non fabbrica botti secondo questa tradizione di fabbricazione, bensì secondo una diversa tradizione italiana.
Alla luce delle osservazioni riportate, la Corte Suprema d'Austria, con la pronuncia in esame, ha disposto la revoca del marchio Pauscha ai sensi dell'art. 58, paragrafo 1, lettera c), RMUE, affermando quanto segue:
"Ai fini della decadenza di un marchio UE ai sensi dell'articolo 58, paragrafo 1, lettera c), RMUE, il fattore decisivo è se l'uso di un marchio UE da solo induca in errore il pubblico, in particolare sul tipo, sulla qualità o l'origine geografica dei prodotti o servizi individuati. L'idoneità all'inganno deve riguardare le caratteristiche e le proprietà del prodotto etichettato. Ciò vale anche, ad esempio, per un'indicazione tradizionale nel marchio UE, che successivamente porta a idee sbagliate sulle caratteristiche di qualità del prodotto etichettato. Anche in tal caso l'idoneità all'inganno è determinata unicamente dall'uso del marchio in quanto tale".