11 aprile 2022
Contraffazione di marchio nel settore automobilistico: alcune specificazioni della Corte di Cassazione
Un recente ricorso avverso un sequestro preventivo ha fornito alla Cassazione l'occasione per specificare alcuni profili del reato di contraffazione di marchio e la sua configurabilità quando è presente la dicitura "prodotto non originale".
Le doglianze, presentate in sede di ricorso per cassazione, avverso la sentenza con cui il Tribunale del riesame ha confermato un decreto di sequestro preventivo di un immobile e dei beni ivi rinvenuti, ha fornito alla Corte di Cassazione (Cass. pen., sez. V, 13 gennaio 2022, n. 8289) l'occasione per specificare alcuni profili della contraffazione di marchio nel settore automobilistico di cui all'art. 473 e 474 c.p..
I beni oggetto di sequestro consistono in capi di abbigliamento realizzati dalla società dei ricorrenti, attraverso la combinazione di loghi di noti brand per lo più di case automobilistiche. Detti beni riproducono i marchi con evidente finalità ironica e parodistica e, dalla stessa informativa di polizia giudiziaria, risulta che sulle informazioni presenti sulle magliette e negli annunci pubblicitari pubblicati sui canali social è espressamente riportato che si tratta di “prodotti quali repliche, prodotti simili agli originali o ispirati non originali”.
Nella pronuncia in esame la Suprema Corte ribadisce che l'interesse giuridico tutelato dagli artt. 473 e 474 c.p., è la pubblica fede in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell'ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, e non l'affidamento del singolo, sicché, ai fini dell'integrazione dei reati non è necessaria la realizzazione di una situazione tale da indurre il cliente in errore sulla genuinità del prodotto; al contrario, in presenza di una contraffazione, i reati sono configurabili anche se il compratore sia stato messo a conoscenza dallo stesso venditore della non autenticità del marchio.
In considerazione della speciale tutela al marchio registrato accordata dalla legge, essa non può essere aggirata attraverso diciture artatamente "attestative" circa l'indebito uso del marchio, quali "prodotto non originale" o simili, giacché la contraffazione è, in sè, sufficiente e decisiva per la violazione del bene tutelato.
La confusione che la norma vuole scongiurare è tra i marchi e non tra prodotti, cioè tra quello registrato e quello illecitamente commercializzato in forma dichiaratamente decettiva, dal momento che ciò che la legge punisce è la riproduzione - senza averne titolo - del marchio registrato su di un prodotto industriale; il prodotto è quindi il veicolo attraverso il quale si manifestano i marchi e la legge impone che non vengano riprodotti (in modo pedissequo o con modifiche che non ne alterino i caratteri principali che lo connotano) illecitamente, su prodotti industriali (Cass., sez. II, n. 24516 del 9 giugno 2015).
Dunque, risulta ininfluente il raffronto tra i prodotti e i connotati di emulazione degli stessi, avendo riguardo la tutela penale solo ai marchi e alla confondibilità di quello registrato con quello illecitamente riprodotto sul bene sequestrato.
In tale quadro di riferimento, la dicitura "prodotto non originale" non svuota pertanto di valenza penale la contraffazione, restando la fattispecie integrata dalla (ontologicamente ingannevole) riproduzione illecita del marchio registrato, senza che l'impiego improprio della dicitura "prodotto non originale", eccentrica rispetto alla tutela giuridica del marchio, assuma una qualche portata legittimante, posto che - come si è detto - la mera riproduzione è da sola sufficiente ad integrare l'ipotesi delittuosa (Cass. pen., sez. II, n. 22040 del 19 febbraio 2019).