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23 gennaio 2023

Sulla tutela del marchio "Telefono Rosa" si pronuncia il Tribunale di Bologna

In una recente sentenza il Tribunale di Bologna, esaminando una fattispecie riguardante la tutela del marchio “Telefono Rosa”, si è soffermato sulla funzione distintiva del marchio e sui presupposti di decadenza del marchio a seguito di volgarizzazione.


I fatti di causa

Con atto di citazione ritualmente notificato, l’ASSOCIAZIONE NAZIONALE VOLONTARIE DEL TELEFONO ROSA ONLUS (di seguito denominata Associazione Nazionale), conveniva in giudizio LA CITTA’ DELLE DONNE - TELEFONO ROSA PIACENZA (di seguito denominata LA CITTA’ DELLE DONNE), per ottenere la declaratoria di illegittimità dell’uso del nome “Telefono Rosa” da parte della convenuta, in quanto nome tutelato come marchio registrato, e conseguentemente sentire ordinare alla convenuta la rimozione delle parole “Telefono Rosa” dal proprio nome e da ogni comunicazione, con divieto di utilizzarle nello svolgimento della sua attività, e con la previsione di una penale. 

Chiedeva, altresì, la condanna della controparte a risarcire il danno arrecato dall’uso illecito del marchio e dall’effetto confusorio tra le due associazioni, nonché dallo sviamento delle donazioni. 

A fondamento delle sue pretese parte attrice dichiarava di essere titolare del diritto di esclusiva all’uso del marchio “Telefono Rosa”, che aveva di fatto iniziato ad utilizzare all’interno della propria denominazione sin dal 1988 e riferiva di aver provveduto a registrare il primo marchio nel 1995 (con il nome ”Telefono Rosa” inserito all’interno di un cerchio, in cui è disegnato un telefono con la cornetta alzata di colore rosa) e il secondo marchio nel 2005 (con il nome “Telefono Rosa” posto al margine esterno di un quadrato di colore rosa, in cui è disegnata la sezione stilizzata di una conchiglia di colore bianco); affermava di utilizzare il nome “Telefono Rosa” nello svolgimento della propria attività da oltre 30 anni, anche in collaborazione con istituzioni pubbliche, e di aver avuto un’ampia risonanza mediatica ed istituzionale, per la partecipazione a varie iniziative e per le numerose pubblicazioni che le riconoscevano meriti e valore per l’attività svolta, cosicché detto marchio risultava ad essa inscindibilmente collegato e dotato di capacità distintiva sin dall’iniziale utilizzo. 

Parte convenuta chiedeva, in via preliminare, di dichiarare l’inammissibilità delle domande attoree per omessa notifica dell’atto introduttivo del giudizio; nel merito, chiedeva di rigettare le domande avversarie e, in via riconvenzionale, di dichiarare la nullità o, in via subordinata, la decadenza dei marchi dell’attrice. 


La decisione di merito

Il Tribunale di Bologna, con la pronuncia in esame (sentenza 23 dicembre 2022, n. 3194), ha ritenuto fondate nel merito le domande attoree in quanto l’associazione convenuta LA CITTA’ DELLE DONNE utilizzava, nella propria denominazione e per contraddistinguere i servizi offerti in favore dei terzi, la locuzione “Telefono Rosa”, corrispondente ai marchi registrati di cui è titolare parte attrice. 

Il Tribunale ha ritenuto applicabile al caso di specie, in cui la controversia riguarda i rapporti tra due associazioni operanti nel settore assistenziale, la disciplina in materia di marchi di cui al D.Lgs n. 30/2005, in quanto il nome, oggetto della tutela invocata da parte attrice, è idoneo ad esplicare, sotto il profilo economico, le tre funzioni tradizionalmente riconosciute al marchio: 

  • una funzione distintiva, cioè di identificazione della fonte di provenienza del servizio; 
  • una funzione di garanzia qualitativa, intesa quale aspettativa da parte del consumatore/utente di una costanza qualitativa dei prodotti o servizi distinti con il medesimo marchio; 
  • una funzione suggestiva o pubblicitaria, a seguito della sempre maggiore attitudine del segno ad essere dotato di un intrinseco potere di richiamo per la clientela o l’utenza.

Il Tribunale ha osservato che, per contrastare attività contraffattorie attribuibili a soggetti diversi dalle imprese, come le associazioni e gli enti senza scopo di lucro, la giurisprudenza ha ammesso in diverse occasioni la possibilità di ricorrere al sistema di protezione previsto per il marchio, qualora sussista la rilevanza economica dell’attività posta in essere (Cass. civ. n. 26498 del 27 novembre 2013)Tale caratteristica può riconoscersi all’attività svolta da parte attrice, in quanto la stessa eroga in modo continuativo, con stabile organizzazione, prestazioni di assistenza, osservando una specifica normativa statutaria e regolamentare volta a stabilire i requisiti degli operatori e le modalità del servizio, al fine di garantire un determinato standard qualitativo; essa si avvale finanziariamente sia di donazioni private, sia dell’apporto offerto da enti ed organismi pubblici, che intervengono nelle iniziative e nei progetti elaborati dall’associazione (Ministeri, Presidenza della Repubblica, Dipartimento delle Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri). 

Con riguardo alla sussistenza dei requisiti richiesti per l’invocata protezione, il Tribunale ha rilevato innanzitutto che il marchio “Telefono Rosa” è lecito e dotato dei requisiti di novità e capacità distintiva di cui agli artt. 12 e 13 c.p.i., non risultando identico o simile a nomi noti come marchi o segni distintivi su cui altri abbiano acquistato un diritto anteriore, ed essendo idoneo a contraddistinguere i servizi di assistenza e consulenza erogati dall’associazione attrice, come dalla stessa provenienti.

Il Tribunale non ha accolto:

  1. sia la domanda di nullità dei marchi registrati, di cui l’Associazione Nazionale è titolare, avanzata da parte convenuta in via riconvenzionale, ai sensi degli artt. 25, 13, comma 1, lett. a) e b) c.p.i.. 
  2. sia la domanda di decadenza per volgarizzazione dei marchio proposta ai sensi degli artt. 26 lett. a), 13, comma 4, c.p.i..

a. Per quanto concerne la domanda di nullità dei marchi registrati dall’Associazione Nazionale, la convenuta ha sostenutoin primis, che il marchio “Telefono Rosa” intestato all’Associazione Nazionale fosse nullo, ai sensi degli artt. 25, 13 comma 1 lett. a) e b) c.p.i., perché sprovvisto di capacità distintiva alla data delle domande di registrazione del 1995 e del 2005, trattandosi di locuzione di uso comune utilizzata per indicare il servizio telefonico di assistenza a donne vittime di violenza.

A sostegno di tale domanda, la convenuta aveva prodotto tre documenti: 

  1. un manifesto del 1989 dell’UDI - Unione Donne Italiane della sede di Gradisca; 
  2. la pubblicazione della definizione data alla locuzione “telefono rosa” nel vocabolario della lingua italiana Treccani, edizione del 1994; 
  3. l’articolo del giornale “Libertà” del 24.02.1994, dal titolo “Si cerca una sede per il telefono rosa”, indicante il servizio di assistenza telefonica che la neocostituita associazione LA CITTA’ DELLE DONNE avrebbe attivato sul territorio piacentino. 

Il Tribunale ha ritenuto che:

  1. la stampa del manifesto riconducibile al “Telefono Rosa di Gradisca” del 1989 (peraltro successivo al preuso dedotto dall’attrice) non appare estranea all’attività dell’Associazione Nazionale, la quale ha allegato che, alla fine degli anni ’80, aveva iniziato ad operare contro la violenza di genere l’UDI, da cui poi l’associazione attorea traeva origine, tanto che la fondatrice e Presidente del “Telefono Rosa” proveniva proprio dall’UDI. A tal fine, l’attrice ha richiamato e prodotto diverse fonti giornalistiche che ne dimostrano l’operatività, con il logo in questione, proprio negli anni 1988-1990;
  2. la definizione riportata nel vocabolario Treccani fosse non significativa;
  3. l’articolo del giornale “Libertà” del 24.02.1994 fosse irrilevante perché riguardava l’attività della stessa convenuta, censurata nella presente sede processuale.

In ragione della scarsità e della debolezza degli elementi indicati da parte convenuta, il Tribunale ha ritenuto che essi non fossero sufficienti a contrastare l’ampia e documentata ricostruzione offerta dall’attrice sull’origine, consistenza e continuità dell’attività posta in essere, avvalendosi del nome “Telefono Rosa” per contraddistinguere la propria denominazione, nonché le iniziative realizzate ed i servizi resi nella lotta contro la violenza di genere.

A tale ragionamento il Tribunale ha aggiunto che risultavano di datazione successiva alla registrazione dei marchi, i riferimenti di parte convenuta ad altre iniziative compiute sotto la denominazione “Telefono Rosa”, riportate dalla stampa locale tra il 1995 e il 2012 e attribuibili perlopiù a LA CITTA’ DELLE DONNE (come tali espressione invero della censurata attività contraffattiva), oltre che a pochi altri enti, operanti sempre a livello locale.

A tali considerazioni il Tribunale ha aggiunto che il logo “Telefono Rosa” fosse dotato in sé di capacità distintiva ai sensi dell’art. 13 c.p.i., essendo costituito da una locuzione data dalla combinazione di due parole, impiegate non secondo il significato letterale di ciascuna di esse, ma per evocare nel loro complesso, in modo innovativo, la natura del servizio reso e la tipologia di utente al quale il servizio è rivolto (trattandosi di soccorso telefonico contro la violenza di genere): dunque, l’espressione in questione non è identificabile con la denominazione generica del servizio offerto, ma presenta in sé un gradiente di originalità che le consente di svolgere la funzione di identificazione del servizio al quale è associata. 

b. In riferimento alla domanda di decadenza per volgarizzazione del marchio il Tribunale ha ricordato che l’elemento oggettivo della volgarizzazione è dato dalla circostanza che il marchio non individui più il prodotto proveniente da una determinata impresa, ma venga associato ad ogni prodotto o servizio, avente analoghe caratteristiche merceologiche

La volgarizzazione non ha luogo, tuttavia, quando il marchio non perda la propria capacità distintiva, seguitando a svolgere la funzione di collegamento concettuale fra prodotto e impresa: essa si verifica soltanto quando il nome, che lo compone, si generalizza in funzione di denominazione generica del prodotto, e non anche quando si generalizza in funzione descrittiva delle caratteristiche merceologiche tipiche di un prodotto, che si continua ad individuare come proveniente da una determinata impresa. Chi sostiene la volgarizzazione del marchio deve dunque provare che l’espressione che lo costituisce sia divenuta denominazione generica del prodotto, alla stregua della realtà linguistica del momento, e sia svincolata da qualsiasi riferimento all’azienda di origine, in modo che ne sia operata una sorta di “spersonalizzazione”, dovuta al fatto che l’acquisita abitudine di associare la cosa al nome ne ha interrotto ogni collegamento con l’azienda di origine (Trib. Catania 05.03.2013; Corte d’Appello Torino, 27.07.1989; Trib. Roma, 25.02.1988; Cass. civ. n. 6180 del 28.11.1984). 

Nel caso di specie, applicando i suddetti principi, il Tribunale ha ritenuto che non fosse stato in alcun modo dimostrato che la locuzione “Telefono Rosa” avesse perduto la propria capacità di identificare l’attività e i servizi dell’Associazione Nazionale, conosciuta proprio con tale denominazione. Ciò si evince dalle numerose pubblicazioni prodotte dall’attrice, che attestano la rinomanza nazionale del segno distintivo proprio in collegamento con l’Associazione che da oltre trent’anni conduce un’attività continuativa di assistenza e consulenza, a tutti nota, nel contrasto alla violenza di genere, anche in forza delle numerose collaborazioni istituzionali con enti pubblici e di ricerca.
Inoltre – aggiunge il Giudice di primo grado – gli elementi offerti da parte convenuta, a sostegno della volgarizzazione del nome “Telefono Rosa”, si limitano alla definizione del servizio telefonico offerto alle vittime della violenza, riportata su alcuni dizionari, e ad alcuni articoli di stampa che trattano dell’attività svolta da talune associazioni operanti essenzialmente a livello locale (riferibili per lo più a LA CITTA’ DELLE DONNE). 

In relazione alla decadenza per volgarizzazione del marchio il Tribunale ricorda inoltre che in giurisprudenza si è sostenuto come non sia sufficiente che l’espressione compresa nel marchio venga usata da altri imprenditori concorrenti, per designare i loro prodotti (Trib. Napoli 24.03.1999; Trib. Torino 22.04.1999; Trib. Milano 17.09.1992; Corte d’Appello Torino, 27.07.1989; Trib. Roma, 25.02.1988). Si ritiene, altresì, che non sia rilevante l’inserimento della parola compresa nel marchio in dizionari ed enciclopedie (Trib. Milano 24.06.2005), ovvero in pubblicità e riviste (Trib. Bari, 28.09.2021), trattandosi di pubblicazioni che esprimono il punto di vista di un determinato autore, editore, giornalista, su cui dunque non può fondarsi un giudizio di validità o decadenza di un marchio registrato.

Invece, “spetta a chi impugna il marchio fornire la prova dell’intervenuta decadenza ai sensi della lettera a) dell’art. 26 c.p.i., mediante il ricorso a una adeguata strumentazione probatoria, in ipotesi ricorrendo ad indagini statistico-demoscopiche che attestino come presso il pubblico il segno abbia perso ogni significato che ne determina la riconducibilità all’impresa originariamente produttrice” (Trib. Milano 24.07.2013). 

Come prevede l’art. 13 comma 4 c.p.i.per aversi decadenza per volgarizzazione occorre dimostrare, oltre al fatto che il marchio sia divenuto denominazione generica del prodotto, anche che l’impresa titolare del segno abbia tenuto una condotta non sufficientemente vigilante a tutela del marchio, non opponendosi all’utilizzo, da parte di altri operatori, di segni idonei a ledere il suo diritto sulla parola oggetto del marchio (Trib. Milano 12.03.2014). 

Nel caso in esame, il Tribunale ha ritenuto che non risultasse che le condotte abusive, poste in essere da altri (limitati) soggetti che operano nel medesimo settore, essenzialmente in sede locale, fossero state tollerate o trascurate dall’associazione attrice, nei termini indicati dall’art. 13 co. 4 c.p.i., mancando la prova che la stessa ne abbia avuto conoscenza e che ciononostante abbia deliberatamente omesso di assumere iniziative a propria tutela.

Il Tribunale ha escluso che, all’epoca in cui parte attrice ha iniziato a fare uso dei marchi, altri soggetti avessero già utilizzato la stessa espressione per contraddistinguere i propri servizi o che la locuzione “Telefono Rosa” avesse avuto così ampia diffusione tra gli operatori del settore da essere divenuta di uso comune nel linguaggio corrente, non avendo al riguardo parte convenuta fornito adeguate allegazioni al riguardo, pur avendone l’onere. La circostanza poi che da oltre trent’anni l’associazione attorea si dedichi in modo continuativo ad erogare prestazioni di consulenza e assistenza a sostengo della lotta contro la violenza di genere, esattamente identificabili grazie all’uso del marchio, a dire del Giudice di prime cure, costituisce un fatto notorio che, lungi dal determinare la decadenza del marchio per volgarizzazione ex art. 13 co. 4 c.p.i., vale a sottolinearne la capacità distintiva, data l’idoneità a contraddistinguere con chiarezza i servizi prestati da un’associazione che ha acquisito nel corso del tempo vasta risonanza anche mediatica grazie a meritorie iniziative operative ed istituzionali.