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marchi
14 gennaio 2025
La valutazione del confronto tra marchi nel giudizio di nullità di un marchio rispetto a un segno anteriore differisce da quella compiuta nel giudizio di contraffazione?
La Cassazione è stata chiamata a decidere in ordine alla domanda di nullità di un marchio italiano per la preesistenza di un marchio di moda asseritamente rinomato, di titolarità di società americane. In merito, la Suprema Corte, con riguardo alla valutazione del confronto tra marchi nel giudizio di nullità di un marchio rispetto a un segno anteriore, chiarisce se questa debba essere effettuata in astratto o in concreto e se tale valutazione differisca o meno da quella compiuta nel giudizio di contraffazione, dove l'accertamento del rischio di confusione risulta influenzato dalle modalità effettive di utilizzo e percezione del marchio anteriore da parte del pubblico di riferimento.
Ai sensi dell’art. 12, primo comma, lett. d), c.p.i., non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni che alla data del deposito della domanda siano identici o simili ad un marchio già da altri registrato nello Stato o con efficacia nello Stato, in seguito a domanda depositata in data anteriore o avente effetto da data anteriore in forza di un diritto di priorità o di una valida rivendicazione di preesistenza per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o i servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.
Tale disposizione riflette il principio espresso, da ultimo, dall’art. 5 della Direttiva (UE) 2015/2436 del 16 dicembre 2015 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa e con la disposizione, a quest’ultima analoga, contenuta nell’art. 8 del Regolamento (UE) 2017/1001 del 14 giugno 2017 sul marchio dell’Unione europea in tema di impedimenti relativi alla registrazione.
Ne consegue che quando un marchio viene registrato il titolare di esso ha il diritto di utilizzarlo a suo piacimento, cosicché, ai fini della valutazione se la domanda di registrazione ricada nell’impedimento alla registrazione previsto in tali disposizioni, occorre verificare se esista un rischio di confusione con il marchio anteriore dell’opponente in qualsiasi circostanza in cui il marchio richiesto, se registrato, potrebbe essere usato [così Corte Giust. UE 12 giugno 2008, C-533/06, 02 Holdings ET 02 (UK)].
Questi sono alcuni dei principi enunciati dalla Corte di Cassazione, chiamata ad annullare la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata il 29 luglio 2022, che ha riformato la sentenza del locale Tribunale, il quale aveva accolto la domanda attorea proposta da società statunitensi per l'accertamento della nullità del marchio vantato dal convenuto, sia pure limitatamente alla classe merceologica 35, in ragione della preesistenza del loro marchio, il marchio di moda “American Eagle” (AE), avuto riguardo all’identità dei segni e delle classi merceologiche interessate da entrambe le registrazioni, respingendo le altre domande.
La Corte d’Appello, invece, ha respinto il gravame principale delle originarie attrici, confermando il rigetto delle loro domande di accertamento della nullità, per classi diverse dalla 35, del marchio italiano di titolarità del convenuto, nonché di tutela del segno di titolarità delle attrici come marchio forte o rinomato o per violazione del diritto d’autore, di accertamento della contraffazione del marchio europeo, asseritamente realizzata da quest’ultimo, e di condanna del convenuto al risarcimento dei danni per concorrenza sleale, e ha, in accoglimento dell’appello incidentale, respinto anche la domanda di nullità, sia pure parziale (solo limitatamente alla classe 35).
La Corte ha osservato, in particolare, che non vi era alcuna affinità funzionale tra i servizi di investigazione e recupero crediti, contraddistinti con il marchio di titolarità dell’appellante principale (convenuto in primo grado), e i capi di abbigliamento giovanile casual, commercializzati dalle società americane con il marchio da queste vantato, ritenendo indimostrata la tutela ultramerceologica (anche per classi diverse dalla 35) invocata dalla società statunitense (attrice in primo grado), che presupponeva la rinomanza del segno.
Secondo la Corte non vi era nemmeno alcun rischio di confusione tra i marchi delle parti in causa ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 12, lett. d), c.p.i..
Ha, sul punto, aggiunto, richiamando precedenti della giurisprudenza di legittimità, che la tutela contro la contraffazione dei marchi è configurabile solo tra prodotti identici o affini e che l’indagine sulla ricorrenza della affinità tra prodotti non è vincolata al riscontro della inclusione o meno dei prodotti nella medesima classe merceologica, richiedendosi a tal fine l’identità dei bisogni cui quei beni sono preordinati.
La Corte d’appello ha, poi, confermato la decisione del Tribunale nella parte in cui aveva escluso che il disegno costituente il marchio a «forma d’aquila» delle società attrici fosse dotato di elementi di creatività richiesti ai fini della sua tutelabilità ai sensi dell’art. 14, primo comma, lett. c), c.p.i., secondo cui non possono costituire oggetto di registrazione come marchio i segni il cui uso costituirebbe violazione di un diritto di autore altrui.
Segue il ricorso in cassazione delle parti soccombenti nel giudizio d’appello, ricorso che viene accolto soltanto nella parte in cui le ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, lett. d), c.p.i., per aver la sentenza impugnata escluso la nullità del marchio di titolarità del convenuto anche relativamente alla classe 35 (domanda invece accolta dal Tribunale) all’esito di una valutazione di affinità dei servizi e prodotti contraddistinti dai segni in conflitto effettuata in concreto, in relazione alle attività esercitate con tali segni, e non già in astratto, in relazione ai servizi e prodotti rivendicati nelle rispettive domande di registrazione.
La Suprema Corte enuncia a tal proposito i seguenti principi di diritto, a conclusione di quelli già richiamati in premessa:
"nel giudizio di novità di un marchio rispetto a un segno anteriore il confronto tra i marchi va, dunque, effettuato tra i segni come registrati e i prodotti o servizi indicati nelle rispettive registrazioni, per cui le circostanze particolari nelle quali i prodotti coperti dai marchi sono effettivamente commercializzati non hanno, in linea di principio, alcun impatto sulla valutazione del rischio di confusione perché possono variare nel tempo a seconda della volontà dei titolari dei marchi. Come è stato autorevolmente affermato anche in dottrina, il giudizio di novità è un giudizio in astratto, nel senso che si deve basare su un raffronto tra i segni come registrati che prescinde totalmente dal loro uso e dalle modalità di esso e, dunque, a prescindere dall’estensione e dall’intensità della sua conoscenza presso i consumatori, ed eventualmente anche in assenza di qualsiasi uso e conseguente notorietà, salvo il limite della decadenza per non uso. Ciò differisce dalla valutazione che deve compiersi nel giudizio di contraffazione in cui l’accertamento del rischio di confusione è influenzato dalle modalità con cui il marchio anteriore è utilizzato e percepito dal pubblico di riferimento".
La Cassazione ritiene, invece, inammissibile il motivo di ricorso in cui le ricorrenti contestano la sentenza impugnata per aver escluso la rinomanza e la notorietà del marchio dalle stesse vantato benché dagli atti esse fossero pacifiche tra le parti, poiché espressamente riconosciute dal convenuto.
Le ricorrenti poggiano la doglianza sul fatto che, nella comparsa conclusionale depositata nel corso del giudizio di primo grado, il convenuto aveva riconosciuto «la notorietà del marchio AE (sia a livello nazionale che internazionale) così come è pacifico che il pubblico riconosca nel simbolo dell’aquila di American Eagle un marchio di moda» e, comunque, non aveva negato che il marchio di AE fosse un segno rinomato, contestando unicamente la confondibilità tra i segni.
La Suprema Corte ha dunque ribadito il principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui non può attribuirsi rilevanza ad allegazioni espresse nella comparsa conclusionale, atteso che questa è estranea alla formazione del thema decidendum e ha l’unica funzione di illustrare le domande e le eccezioni già ritualmente proposte (cfr. Cass. 23 giugno 2022, n. 20332).
Questo quanto emerso dall'ordinanza della Corte di Cassazione n. 280 del 7 gennaio 2025.