13 luglio 2021
Cognitivismo e proprietà intellettuale quale binomio imprescindibile per un nuovo approccio metodologico ai problemi della PI
Il 14 giugno scorso ha avuto luogo, in via telematica sulla piattaforma LIVEROOMS, il Webinar “Le forme della PI e le sue declinazioni - l'apporto di marketing, semiotica, psicologia cognitiva e sociologia”, organizzato da Sprint Soluzioni Editoriali, che ha avuto al centro del tavolo di discussione il nuovo modo di affrontare proficuamente le grandi tematiche della proprietà intellettuale, con un approccio di più ampio respiro, trasversale e multidisciplinare, tale da mettere in campo un intreccio di competenze diverse ma senza dubbio tra loro complementari come dimostra il libro "Cognitivismo e Proprietà Intellettuale" del Prof. Stefano Sandri presentato durante l’evento.
E’ proprio il Prof. Sandri ad aprire il dibattito, parlando del binomio essenziale tra cognitivismo e proprietà intellettuale, grande pilastro argomentativo del suo ultimo saggio, per evidenziare l’utilità di una nuova impostazione metodologica che preveda l’uso di un approccio cognitivistico ai problemi della proprietà intellettuale.
Ad oggi, infatti, sottolinea il relatore, è impossibile pensare di risolvere un problema strettamente giuridico dando una risposta esclusivamente giuridica, quindi suggerisce di uscire dalle formule stereotipate, dagli schemi, dalle regole del diritto, per affrontare la proprietà intellettuale in un modo diverso, più mobile, più dinamico, ma soprattutto più vicino ai problemi della realtà quotidiana che sta cambiando.
Il libro "Cognitivismo e Proprietà Intellettuale" ha appunto lo scopo di pensare o ripensare in modo organico e sistematico la proprietà intellettuale destinata inevitabilmente a mutare insieme al proprio quadro di riferimento costituito dal rapporto tra i consumatori e le imprese, dalla strategia delle imprese e dal modo di comportarsi di tutti i players in gioco.
Quindi tutte le esclusive della proprietà intellettuale, dal design al brevetto, al marchio, al brand, in realtà devono essere riadattate a questa nuova situazione, che non significa rimettere in discussione la regola scritta e la certezza del diritto, ma adottare un approccio più elastico e più aperto per trovare, anche nelle norme scritte del nostro ordinamento, gli spazi sufficienti per aprire a delle interpretazioni che siano conformi ad una visione del nostro mondo improntata a canoni più realistici.
Il Prof. Sandri sottolinea l’ineluttabilità del processo di revisione del Codice della proprietà intellettuale, plausibilmente orientato in direzione di temi riguardanti la tecnologia e l’innovazione.
In conclusione, il fulcro del seminario, come dello scritto citato del professore, é avere una visione quadrangolare giuridica ed interdisciplinare della pubblicità, della semiotica, del marketing e della proprietà intellettuale, con uno sguardo proiettato sul futuro ponendosi la domanda suggerita dal relatore “ma dove sta andando la proprietà intellettuale?”
Interviene successivamente la Dott.ssa Sara Zannelli, psicologa del marketing, in rappresentanza di INDICAM, un’associazione di imprese attiva dal 1987 che ha fatto della proprietà intellettuale e della lotta alla contraffazione la sua grande mission.
Come mette in risalto la relatrice, psicologia del marketing significa studiare i volti che l'individuo assume all'interno delle pratiche di consumo che costituiscono un settore molto vicino al mondo della proprietà intellettuale, intesa come apparato di principi giuridici che mirano a tutelare i frutti dell'inventiva e dell'ingegno umano.
Secondo i dati statistici riportati nelle slides (mandati dagli studi in materia condotti, in ambito UE, dall’EUIPO e, sul piano nazionale, dal Ministero dello Sviluppo Economico), il 45% delle industrie, a livello europeo, è composto da industrie che vengono definite ad alto valore e ad alta intensità IP (Intellectual Property), cioè aziende che fanno della proprietà intellettuale un asset imprescindibile per il loro sviluppo, e l’Italia supera la media europea, con il 47% del PIL italiano composto da aziende che sfruttano i diritti della proprietà intellettuale.
Per quanto riguarda le occupazioni legate alle aziende ad alto valore IP, in Europa si registra un 29% di lavoratori occupati in questo settore, mentre in Italia si passa al 31,5% e tali aziende hanno il pregio di riconoscere al dipendente e al lavoratore uno stipendio molto più alto rispetto alle aziende che non investono nella proprietà intellettuale.
Premessa la fondamentale distinzione tra asset tangibile e asset intangibile all'interno di un'azienda, il secondo si caratterizza per essere un bene immateriale ed anzi uno dei più preziosi per l'impresa perché va a configurare quello che è il valore intrinseco dell'azienda stessa.
In tale quadro prospettico si inserisce la psicologia del marketing che, all'interno di questo connubio con il mondo giuridico, consente di conoscere meglio il mercato, non solo legale ma anche quello illegale.
Se la definizione di mercato è quella di luogo fisico, e non solo fisico, dove domanda e offerta si incontrano, la contraffazione, vista la dimensione che ha assunto nel tempo, è da considerare non più solo un fenomeno ma un vero e proprio mercato perché ha una propria domanda e una propria offerta che si incontrano.
La relatrice si interroga su quale sia la domanda di tale mercato “sommerso” e quali siano le relative peculiarità perché, se si ritiene la contraffazione l'altra faccia della medaglia, la faccia negativa della proprietà intellettuale, diventa molto interessante cercare di capire quali sono le motivazioni e i driver di consumo che inducono un consumatore a fare riferimento ad un'offerta illegale.
Uno studio siffatto potrebbe permettere, d'altro canto, di analizzare anche gli asset e i driver della domanda legale.
Per questo motivo INDICAM ha istituito un centro di ricerca di mercato volto a interrogare il consumatore, anche tramite un questionario, per capire la sua percezione del brand, le dinamiche sociali che lo spingono all'acquisto, il livello di riconoscibilità del marchio e per condurre uno studio sistematico sul consumatore, anche c.d. informato, e analizzare le ricadute delle scelte di consumo sull’asset della proprietà intellettuale che un'azienda può avere o vuole mettere in atto.
Uno studio accurato sul comportamento del consumatore può essere d'aiuto in quel lavoro giurisprudenziale che un'azienda, uno studio legale o università può decidere di intraprendere.
A tal proposito INDICAM sta seguendo insieme all'Università Cattolica del Sacro Cuore proprio una ricerca che studia un impianto teorico, ripreso della psicologia fiscale e trasposto su quello della contraffazione, che è lo “Slippery slope framework”, e che costituisce un impianto abbastanza complesso incentrato sul concetto di fiducia del consumatore verso il proprio contesto, vista come leva in grado di stimolare la messa in atto di comportamenti leciti.
In definitiva, nell’ottica di un approccio multidisciplinare ai temi IP, tale esposizione mostra la necessità che la psicologia del marketing, la proprietà intellettuale e l'impianto giuridico collaborino reciprocamente al fine di dare importanti risposte e soluzioni.
L’intervento che segue è del Prof. Umberto Michele Carbonara, docente di “Diritto Industriale” presso Università di Urbino Carlo Bo, che in primis concorda con le conclusioni del Prof. Sandri, ribadendo che i temi della proprietà intellettuale non riguardano solo elementi riconducibili alle scienze giuridiche, ma sottendono anche a nozioni e concetti che provengono da altre scienze che è bene conoscere per evitare di applicarle poi in modo inconsapevole.
Nel delineare gli istituti della proprietà intellettuale, il diritto deve tracciare la linea di confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, avvalendosi di concetti che presuppongono la conoscenza di dinamiche e meccanismi legati ai processi attentivi e percettivi delle persone (attraverso i quali si attribuisce a quanto si percepisce un certo grado di distintività, originalità e novità) e che sono connessi al marketing, alla sociologia, alla semiotica.
Quindi, si acquisiscono e si esprimono ricordi e valutazioni in cui si assorbono inconsapevolmente elementi rilevanti per le proprie scelte ed, in particolare, per le scelte economiche di acquisto, spesso senza essere consapevoli delle dinamiche che si svolgono nella propria mente e che non coinvolgono, sovente, le cognizioni delle parti superiori dell'intelletto, se non forse successivamente in una fase giustificativa della scelta compiuta.
Pertanto, la percezione della realtà in apparenza, delle forme che sono così importanti nel diritto industriale e per la proprietà intellettuale, rappresentano l'esito di un processo complesso che ha origine nell'esperienza individuale e che ha conseguentemente un carattere tendenzialmente relativo.
Allora occorre chiedersi come armonizzare il carattere relativo individuale della percezione soggettiva con le esigenze di certezza del diritto in sede applicativa, in special modo in sede di applicazione giurisprudenziale.
Si parla molto in questi tempi, forse con qualche elemento di inquietudine, di giurimetria, di giustizia predittiva e di giustizia algoritmica proprio per cercare di arrivare ad una maggiore certezza del diritto e ad una preliminare consapevolezza che investa altresì quegli elementi extra giuridici o metagiuridici che sostanziano i concetti sottesi alle norme e che si attingono, più o meno consapevolmente, in modo più o meno impreciso da diversi settori disciplinari.
Per la definizione di marchio di impresa, dei requisiti per la sua valida registrazione, dei profili interpretativi correlati alla tutelabilità del marchio e del giudizio di contraffazione e quello correlato di confusorietà diventano cruciali i concetti di segno registrabile, capacità distintiva del segno, identità o somiglianza dei segni, identità o somiglianza dei prodotti o servizi, rischio di confusione o confondibilità per il pubblico di riferimento e rischio di associazione tra i segni.
Infatti, il marchio di impresa ai sensi dell’articolo 7 del Codice di proprietà industriale (che si trova poi nel regolamento marchio dell'Unione Europea) include tutti i segni, atti a distinguere i prodotti o servizi di un'impresa da quelli di altre imprese, comprensivi di parole e nomi di persone, disegni, lettere, cifre, suoni, forma del prodotto e della confezione, combinazioni o tonalità cromatiche, tenendo presente che tale definizione non è un numerus clausus ma è esemplificativa.
Proprio per questo in un una prospettiva futura, come evidenzia il relatore, assistiamo al dischiudersi di spazi di tutela per nuove tipologie di segni che potranno anche scaturire dall'evoluzione tecnologica e informatica, ma che dovranno avere capacità distintiva e distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di un’altra soprattutto alla luce della percezione del pubblico di riferimento.
Questo problema si pone per tutte le tipologie di marchi non convenzionali, per i quali vi è ora una apertura normativa, come per i marchi cromatici (segni costituiti da colori), i marchi sonori (segni costituiti da suoni), i marchi olfattivi (segni costituiti da profumi), il marchio tridimensionale, i marchi multimediali, i marchi olografici e i marchi luminosi.
In base ai dati dell’esperienza il consumatore verosimilmente presterà una maggiore attenzione, quindi sarà meno soggetto a fenomeni decettivi, con riguardo ai segni relativi a beni tecnologici, a beni utilizzati in un'attività professionale, a beni durevoli, a beni di lusso, mentre l'attenzione scemerà in caso di beni di consumo a basso costo.
Il livello di attenzione che il consumatore è solito prestare, a seconda della categoria di beni o servizi contrassegnati, al segno è una valutazione che si muove sul piano del segno, delle sue caratteristiche, dei prodotti su cui esso viene apposto, dei servizi che contrassegnano le attività svolte dalle imprese concorrenti e del pubblico di riferimento.
In tutti questi casi, se si pensa al contesto di distintività, di natura possibilmente confusoria, di associazione mentale, di percezione, di ricordo, di minore o maggiore attenzione del consumatore, mediamente o meno avveduto, ci si rende conto che si utilizzano concetti, normalmente offerti come concetti essenzialmente giuridici, ma che invece tali non sono in quanto attingono a discipline diverse dal diritto.
A questo punto, evidenzia il relatore, il saggio del Prof. Sandri è grandemente utile per comprendere come tali concetti sono utilizzati in modo improprio, arbitrario e sostanzialmente mutevole in considerazione di elementi di cui nemmeno il soggetto giudicante è pienamente consapevole.
In caso di conflitto tra segni per la registrabilità di un marchio simile o identico ad un marchio anteriore, per contraddistinguere prodotti o servizi affini o identici, nel giudizio si deve tener conto dell'impressione che il consumatore ha avuto del segno anteriore.
Infatti, quando lo stesso si è trovato di fronte al bene contrassegnato dal segno successivo confondibile, sovente non ha avuto la possibilità di un riscontro immediato del segno anteriore e, quindi, sostanzialmente ha avuto nella sua mente una sorta di ricordo evocativo degli elementi del marchio anteriore, in base al quale, secondo la giurisprudenza, deve essere operata la valutazione sulla presenza o meno di un carattere confusorio tra i due segni.
Infine, il Prof Carbonara tiene ad evidenziare come i temi di cui parla il Prof. Sandri nel suo libro siano veramente cruciali nella società e nella proprietà industriale per sondare il grado di consapevolezza del consumatore, e come, anche nell'ambito dello studio del diritto dei mercati finanziari, si dia sempre maggior peso al “behavioral economics”, ossia allo studio attento di coloro che acquistano i prodotti finanziari e dei loro comportamenti, anche essi frequentemente non dettati dalle funzioni cognitive superiori dell’individuo.
Questi concetti così rilevanti nello studio della proprietà intellettuale ancora una volta mostrano l’importanza di un approccio multisettoriale ed interdisciplinare alla materia IP come suggerito sapientemente dal testo del Prof. Stefano Sandri "Cognitivismo e Proprietà Intellettuale".
L’intervento che segue è quello della Prof.ssa Tiziana Barone, analista semiotica, responsabile scientifico Felicilàb Sapienza, che mette in risalto la fondamentale relazione che esiste tra il packaging di un prodotto ed il suo brand (come emerge dalle slides allegate).
Che cosa è il packaging?
- Dal punto di vista del marketing è “l’insieme delle attività volte a progettare e a realizzare il contenitore o l’involucro del prodotto” (Kotler).
- Dal punto di vista semiotico è “ una soglia semiotica che mette in comunicazione un oggetto con un soggetto e viceversa” (Mauro Ferraresi).
E’ estremamente importante l’angolazione prospettica dell’analisi semiotica per capire il packaging in vista del fatto che se, come afferma Umberto Eco, “la semiotica si interessa dell’apparire del senso”, ovvero studia come percepiamo il significato attraverso le varie forme del linguaggio (verbale, visivo, etc), anche gli spazi espositivi per le merci possono essere considerati una forma particolare di linguaggio.
Quest’ultimo concorre a delineare la brand identity di un prodotto, considerato che il brand è un capitale non solo immateriale ma anche semiotico, e la sua identità è concepita come dialettica in cui vi è sedimentazione e innovazione, permanenza e riconoscimento dei segni ed è caratterizzata da un nodo di elementi invarianti che ne garantiscono la coerenza e la riconoscibilità (ad es. il logo).
Ma l’identità di un brand deve contenere anche elementi flessibili che consentano un doppio adattamento da parte dell’azienda:
- adattamento delle strategie di marketing (con la sottocategoria delle strategie di comunicazione)
- adattamento nel tempo e nello spazio ad es. con il restyling del logo.
Tuttavia gli elementi variabili devono mantenere la coerenza degli elementi fissi e dell’identità del brand altrimenti quest’ultimo rischia di non essere riconoscibile da parte dei consumatori.
La confezione di un prodotto si compone di elementi fisici (contenitore, materiale, etichetta, altri accessori, ad es. astucci) che possono essere analizzati, anche da un punto di vista del linguaggio plastico della semiotica (forma, colore e texture) ed esprime il sistema valoriale che sottende ad un determinato bene (raccontando la storia stessa del produttore, del contenuto e del consumatore).
Tutti quei componenti di tipo grafico e tattile che si inscrivono nel packaging (ad. es. linee, forme, colori, materiali, etc) concorrono a determinare ciò che con essi si vuole comunicare e restituiscono al consumatore una significativa esperienza sinestetica, che ne coinvolge la percezione sensoriale.
Questo processo innesca una vera è propria “guerra percettiva” tra prodotti con marche differenti che gareggiano tra di loro per dotarsi di una sempre maggiore capacità attrattiva nei confronti del cliente, ad es. nello stesso spazio espositivo di una GDO.
In conclusione, esiste una relazione molto forte tra packaging e branding in quanto il primo amplia, se non definisce proprio, l’identità di una marca ed ha la lo scopo di comunicare informazioni su un articolo ed il relativo brand, svolgendo la funzione di differenziazione e promozione.
E’ evidente quindi il fortissimo legame che c’e’ tra politiche di brand e packaging, il quale veicola il discorso di marca durante la distribuzione ed ha inoltre il delicato compito di conquistare il consumatore nell'arco di qualche secondo.