26 febbraio 2024
La CGUE si pronuncia in tema di esaurimento del diritto conferito dal marchio comunitario
La Corte di Giustizia dell'Unione Europea si è recentemente pronunciata su una questione pregiudiziale sollevata riguardante l’esaurimento del diritto conferito dal marchio per quanto riguarda i prodotti immessi in commercio rispettivamente nell’Unione Europea o nel SEE.
La Corte, con sentenza del 18 gennaio 2024, causa C-367/21, ha esaminato una domanda pregiudiziale proposta ai sensi dell’articolo 267 TFUE da parte del Tribunale regionale di Varsavia (Polonia) sull’interpretazione dell’articolo 36, seconda frase, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2017/1001 sul marchio UE e con l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, nonché sugli articoli 34, 35 e 36 TFUE.
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra due società, una con sede legale negli Stati Uniti e l'altra con sede legale in Polonia, in merito alla commercializzazione, da parte di quest’ultima, di prodotti per attrezzature informatiche recanti marchi dell’Unione Europea di cui la prima è titolare.
In particolare, il giudice polacco ha chiesto alla CGUE quanto segue:
"1) Se l’articolo 36, seconda frase, TFUE in combinato disposto con l’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento [2017/1001], nonché con l’articolo 19, paragrafo 1, [secondo comma], [TUE] debba essere inteso nel senso che esso osta ad una prassi degli organi giurisdizionali nazionali di Stati membri in forza della quale tali organi giurisdizionali:
- nell’esaminare le richieste del titolare di un marchio dell’Unione europea di vietare l’importazione, l’esportazione, la pubblicizzazione dei prodotti recanti un marchio dell’Unione europea o di ordinare il ritiro dal commercio di tali prodotti,
- nel pronunciarsi sui procedimenti cautelari di sequestro dei prodotti recanti un marchio dell’Unione europea, fanno riferimento, nei loro provvedimenti, ai “prodotti che non sono stati immessi in commercio nel [SEE] dal titolare del marchio o con il suo consenso”, e in conseguenza di ciò la determinazione di quali siano i prodotti recanti il marchio dell’Unione europea cui si riferiscono i disposti obblighi e divieti (ossia la determinazione di quali prodotti non siano stati immessi in commercio nel [SEE] dal titolare o con il suo consenso) viene lasciata, alla luce della formulazione generica del provvedimento, all’autorità che effettua l’esecuzione. Tale autorità, nel compiere siffatto accertamento, si basa sulle dichiarazioni del titolare del marchio o sugli strumenti dallo stesso forniti (tra i quali, strumenti informatici e banche dati) mentre l’ammissibilità della contestazione di tali accertamenti dell’autorità esecutiva davanti ad un organo giurisdizionale in un procedimento di merito è esclusa o limitata, in considerazione della natura dei rimedi giuridici spettanti al convenuto in un procedimento cautelare o esecutivo.
2) Se gli articoli 34, 35 e 36 [TFUE] debbano essere interpretati nel senso che escludono la possibilità che il titolare del marchio comunitario registrato (attualmente dell’Unione europea) possa far valere la tutela prevista dagli articoli 9 e 102 del regolamento [n. 207/2009] (attualmente – articolo 9 e articolo 130 del regolamento [2017/1001] nell’ipotesi in cui:
- il titolare del marchio comunitario (marchio dell’Unione europea) svolga, nel [SEE] e fuori da tale territorio, l’attività di distribuzione dei prodotti recanti tale marchio avvalendosi dell’intermediazione di distributori autorizzati che possono poi rivendere i prodotti recanti il marchio a soggetti che non siano i destinatari finali di tali prodotti e appartengano alla rete distributiva ufficiale, e detti distributori autorizzati sono, al contempo, obbligati ad acquistare i prodotti esclusivamente da altri distributori autorizzati o dal titolare del marchio;
- i prodotti recanti il marchio non abbiano alcun segno o altro elemento distintivo che permetta di identificare il luogo della loro immissione in commercio da parte del titolare del marchio o con il suo consenso;
- la parte convenuta abbia acquistato i prodotti recanti il marchio nel [SEE];
- la parte convenuta abbia ricevuto dichiarazioni dai venditori di prodotti recanti il marchio che tali prodotti possono essere commercializzati all’interno del [SEE] conformemente alle disposizioni di legge;
- il titolare del marchio dell’Unione europea non fornisca alcuno strumento informatico (o altro strumento), non applichi un sistema di marcatura che consenta al potenziale acquirente di prodotti recanti il marchio di verificare autonomamente, prima di procedere all’acquisto, la legalità del commercio di tali prodotti nel [SEE], e rifiuti di effettuare tale verifica su richiesta dell’acquirente".
Nel caso di specie, la Corte ha puntualizzato che il giudice del rinvio chiede l’interpretazione degli articoli 34, 35 e 36 TFUE, al fine di verificare se tali disposizioni ostino a che il titolare di un marchio UE possa avvalersi della tutela conferita dall’articolo 9 del regolamento n. 207/2009 o dall’articolo 9 del regolamento 2017/1001, in determinate circostanze da esso elencate.
A tal proposito, tuttavia, va sottolineato che l’articolo 13 del regolamento n. 207/2009 e l’articolo 15 del regolamento 2017/1001 disciplinano in modo esaustivo la questione dell’esaurimento del diritto conferito dal marchio per quanto riguarda i prodotti immessi in commercio rispettivamente nell’Unione o nel SEE.
Peraltro, il giudice del rinvio si chiede, più in particolare, se, in circostanze come quelle della controversia principale, l’onere della prova dell’esaurimento dei diritti conferiti dai marchi dell’Unione Europea di cui trattasi possa gravare esclusivamente sul convenuto nell’azione per contraffazione.
Date siffatte circostanze, la Corte precisa che, con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009 e l’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001, in combinato disposto con gli articoli 34 e 36 TFUE, debbano essere interpretati nel senso che ostano a che l’onere di provare l’esaurimento del diritto conferito da un marchio dell’Unione europea ricada esclusivamente sul convenuto nell’azione per contraffazione, qualora i prodotti contrassegnati da tale marchio, che non recano alcuna marcatura che consenta ai terzi di identificare il mercato in cui sono destinati ad essere commercializzati e che sono distribuiti attraverso una rete di distribuzione selettiva i cui membri possono rivenderli solo ad altri membri di tale rete o ad utenti finali, siano stati acquistati da tale convenuto nell’Unione, o nel SEE, dopo aver ottenuto dai venditori la garanzia che essi potevano essere legittimamente commercializzati in tale territorio, e il titolare di tale marchio rifiuti di effettuare egli stesso tale verifica su richiesta dell’acquirente.
L’articolo 9 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 9 del regolamento 2017/1001), conferisce al titolare del marchio UE un diritto esclusivo che gli consente di vietare a qualsiasi terzo, in particolare, di importare prodotti recanti il suo marchio, di offrirli, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini senza il suo consenso (CGUE sentenza 17 novembre 2022, Harman International Industries, C‑175/21, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).
L’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001), contiene un’eccezione a tale norma, prevedendo che il diritto del titolare si esaurisce qualora i prodotti siano stati immessi in commercio nell’Unione o nel SEE con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso (v., in tal senso, CGUE sentenza 17 novembre 2022, Harman International Industries, C‑175/21, punto 38 e giurisprudenza ivi citata). Tale disposizione mira a conciliare gli interessi fondamentali attinenti alla tutela dei diritti conferiti dal suddetto marchio, da un lato, e quelli relativi alla libera circolazione delle merci nell’Unione o nel SEE, dall’altro.
Al fine di garantire un giusto equilibrio tra tali interessi fondamentali, la possibilità di invocare l’esaurimento del diritto conferito dal marchio dell’Unione Europea, in quanto eccezione a tale diritto, è circoscritta sotto diversi aspetti (CGUE sentenza 17 novembre 2022, Harman International Industries, C‑175/21, punto 41).
In particolare, l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009 e l’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001 sanciscono il principio dell’esaurimento del diritto conferito dal marchio UE unicamente per i prodotti immessi rispettivamente sul mercato dell’Unione o in quello del SEE dal titolare o con il suo consenso. Ne consegue che l’immissione in commercio dei prodotti recanti tale marchio al di fuori dell’Unione, o del SEE, non esaurisce il diritto del titolare di opporsi, in particolare, all’importazione e all’immissione in commercio nell’Unione, o nel SEE, di tali prodotti senza il suo consenso, consentendogli così di controllare la prima immissione in commercio nell’Unione, o nel SEE, di prodotti recanti tale marchio.
Pertanto, il diritto conferito dallo stesso marchio si esaurisce solo per gli esemplari di un dato prodotto che sono stati immessi in commercio nel territorio dell’Unione o del SEE con il consenso del titolare. A tal riguardo, il fatto che il titolare del marchio abbia già commercializzato, nell’Unione o nel SEE, altri esemplari dello stesso prodotto, o di prodotti simili a quelli importati per i quali si chiede l’esaurimento, non è sufficiente.
Per quanto riguarda la questione di quale sia la parte su cui grava l’onere della prova dell’esaurimento del diritto conferito dal marchio dell’Unione Europea, occorre rilevare, da un lato, che tale questione non è disciplinata né dall’articolo 13 del regolamento n. 207/2009, né dall’articolo 15 del regolamento 2017/1001, né da alcuna altra disposizione di questi due regolamenti.
D’altro lato, sebbene gli aspetti procedurali del rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, compreso il diritto esclusivo previsto dall’articolo 9 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 9 del regolamento 2017/1001), siano disciplinati, in linea di principio, dal diritto nazionale, quale armonizzato dalla direttiva 2004/48, che, come risulta in particolare dagli articoli da 1 a 3, riguarda le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari per garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, occorre necessariamente constatare che tale direttiva, in particolare i suoi articoli 6 e 7, che rientrano nel capo II, sezione 2, della stessa direttiva, intitolata "Elementi di prova", non disciplina la questione dell’onere della prova dell’esaurimento del diritto conferito dal marchio.
Tuttavia, la Corte ha ripetutamente affermato che un operatore che detiene prodotti immessi sul mercato del SEE con un marchio dell’Unione Europea dal titolare di tale marchio o con il suo consenso trae diritti dalla libera circolazione delle merci, garantita dagli articoli 34 e 36 TFUE, nonché dall’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001, che i giudici nazionali devono salvaguardare (CGUE sentenza 17 novembre 2022, Harman International Industries, C‑175/21, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).
A tal riguardo, sebbene la Corte abbia dichiarato, in linea di principio, compatibile con il diritto dell’Unione una norma di diritto nazionale di uno Stato membro in forza della quale l’esaurimento del diritto conferito da un marchio costituisce un mezzo di difesa, di modo che l’onere della prova incomba al convenuto che deduce tale motivo, essa ha altresì precisato che le prescrizioni derivanti dalla tutela della libera circolazione delle merci possono richiedere che tale regola probatoria subisca adattamenti (v., in tal senso, CGUE sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q, C‑244/00, punti da 35 a 37).
Così, le modalità nazionali di assunzione e di valutazione della prova dell’esaurimento del diritto conferito da un marchio devono rispettare le prescrizioni derivanti dal principio della libera circolazione delle merci e, pertanto, devono essere adattate qualora siano tali da consentire al titolare di tale marchio di compartimentare i mercati nazionali, favorendo in tal modo la conservazione delle differenze di prezzo esistenti fra gli Stati membri.
Di conseguenza, quando il convenuto nell’azione di contraffazione riesce a dimostrare che sussiste un rischio reale di compartimentazione dei mercati nazionali qualora egli stesso dovesse sostenere l’onere di provare che i prodotti sono stati immessi in commercio nell’Unione o nel SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso, spetta al giudice nazionale adito regolare la ripartizione dell’onere di provare l’esaurimento del diritto conferito dal marchio (CGUE sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q, C‑244/00, punto 39).
Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che il titolare dei marchi UE di cui trattasi gestisce un sistema di distribuzione selettiva nell’ambito del quale i prodotti contrassegnati da tali marchi non recano alcuna marcatura che consenta ai terzi di identificare il mercato sul quale sono destinati ad essere commercializzati, che il titolare rifiuta di comunicare tale informazione ai terzi e che i fornitori della parte convenuta non sono inclini a rivelare le proprie fonti di approvvigionamento.
A quest’ultimo proposito, occorre rilevare che, in un siffatto sistema di distribuzione, il fornitore si impegna generalmente a vendere i beni o i servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri definiti, mentre tali distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a distributori non autorizzati nel territorio delimitato dal fornitore per l’attuazione di siffatto sistema di distribuzione.
In simili circostanze, far gravare sul convenuto nell’azione per contraffazione l’onere della prova del luogo in cui i prodotti contrassegnati dal marchio da esso commercializzati sono stati immessi in commercio per la prima volta dal titolare di tale marchio, o con il suo consenso, potrebbe consentire a detto titolare di contrastare le importazioni parallele dei prodotti contrassegnati da detto marchio, anche se la restrizione della libera circolazione delle merci che ne deriverebbe non sarebbe giustificata dalla tutela del diritto conferito da questo stesso marchio.
Infatti, il convenuto nell’azione per contraffazione incontrerebbe notevoli difficoltà a fornire una prova del genere, a causa della comprensibile riluttanza dei suoi fornitori a rivelare la loro fonte di approvvigionamento all’interno della rete di distribuzione del titolare dei marchi dell’Unione europea di cui trattasi.
Inoltre, anche qualora il convenuto nell’azione di contraffazione riuscisse a dimostrare che i prodotti recanti i marchi UE di cui trattasi provengono dalla rete di distribuzione selettiva del titolare di tali marchi nell’Unione Europea o nel SEE, detto titolare sarebbe in grado di impedire qualsiasi futura possibilità di approvvigionamento da parte del membro della sua rete di distribuzione che ha violato i suoi obblighi contrattuali (CGUE sentenza dell’8 aprile 2003, Van Doren + Q, C‑244/00, punto 40).
In conclusione, alla luce della considerazioni svolte, la Corte di Giustizia UE ha affermato che:
"L’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio [dell’Unione europea], e l’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea, in combinato disposto con gli articoli 34 e 36 TFUE, devono essere interpretati nel senso che ostano a che l’onere di provare l’esaurimento del diritto conferito da un marchio dell’Unione europea gravi esclusivamente sul convenuto nell’azione per contraffazione qualora i prodotti contrassegnati da tale marchio, i quali non recano alcuna marcatura che consenta ai terzi di identificare il mercato in cui sono destinati ad essere commercializzati e che sono distribuiti attraverso una rete di distribuzione selettiva i cui membri possono rivenderli solo ad altri membri di tale rete o ad utenti finali, siano stati acquistati da detto convenuto nell’Unione europea, o nello Spazio economico europeo, dopo aver ottenuto dai venditori la garanzia che essi potevano essere legittimamente commercializzati in tale territorio, e il titolare di tale marchio rifiuti di effettuare egli stesso siffatta verifica su richiesta dell’acquirente".