• Marchi registrati

27 maggio 2024

La concessione in licenza di un marchio in comunione necessita del consenso di tutti i comunisti

di Marta Miccichè

La prima sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di licenza d'uso del marchio in comunione nell'ambito di una causa avviata per ottenere la dichiarazione di nullità di alcuni marchi (nazionali e internazionali) registrati dal convenuto, ovvero, in subordine, la decadenza dei marchi medesimi per non uso e, di converso, il diritto della parte attrice alla registrazione, con le domande accessorie di inibitoria e di danni.


Con sentenza del 19 aprile 2024, n. 10637, la Corte di Cassazione ha accolto i primi quattro motivi del ricorso principale e ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli.

In tale occasione, la Cassazione ricorda che la stessa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 30749 del 20221, ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE (CGUE), ai sensi dell'art. 267 del TFUE, su due quesiti:

  • se le afferenti norme comunitarie (segnatamente, ratione temporis, la prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, e il regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario, poi sostituite con identico testo dalla direttiva n. 2015/2436-UE e dal regolamento (UE) 2017/1001), "nel prevedere il diritto di esclusiva in capo al titolare di un marchio della UE e nel contempo anche la possibilità che la titolarità appartenga a più persone prò quota, implichino che la concessione in uso del marchio comune a terzi in via esclusiva, a titolo gratuito e a tempo indeterminato, possa essere decisa a maggioranza dei contitolari ovvero se necessiti invece dell’unanimità dei consensi";
  • se, in questa seconda prospettiva, "in caso di marchi nazionali e comunitari in comunione tra più soggetti, sia conforme ai principi di diritto comunitario un'interpretazione che sancisca l'impossibilità di uno dei contitolari del marchio dato in concessione a terzi con decisione unanime, a titolo gratuito e a tempo indeterminato, di esercitare unilateralmente il recesso dalla suddetta decisione; ovvero in alternativa se invece debba considerarsi conforme ai principi comunitari un'interpretazione opposta, che escluda cioè che il contitolare sia vincolato in perpetuo alla manifestazione originaria, per modo da potersi svincolare da essa con effetto sull'atto di concessione".

Con sentenza 27 aprile 2023 (causa C-686/21) la CGUE ha fornito la seguente risposta: "la prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, e il regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario, devono essere interpretati nel senso che la questione se la concessione di una licenza d'uso, o il recesso dal relativo contratto, di un marchio nazionale o di un marchio dell'Unione europea detenuto in comproprietà richieda una decisione unanime dei contitolari o una decisione adottata a maggioranza di questi ultimi dev'essere risolta in base al diritto nazionale applicabile".

Ciò detto, la Corte di Cassazione ha affermato che, in caso di marchio in comunione, la concessione di licenze esclusive a terzi è un atto dispositivo del marchio, poiché, alterando la destinazione della cosa e impedendo agli altri partecipanti alla comunione di farne uso, incrina l'esclusività del diritto che è tipica della privativa.

Invero, se disposta a maggioranza, la concessione di licenze esclusive sul marchio è lesiva dei diritti di esclusiva dei dissenzienti.

La concessione in licenza implica infatti uno sfruttamento indiretto del bene immateriale. E lo sfruttamento indiretto è idoneo a vulnerare l'esclusiva che i titolari dissenzienti avrebbero diritto a mantenere integra. Ne segue che quale che sia la durata della concessione (infra o ultranovennale o a tempo indeterminato) e la modalità (gratuita o meno) dell'attribuzione a terzi del diritto di utilizzazione in via esclusiva del marchio, quell'attribuzione, proprio perché esclusiva, implica un atto di disposizione giuridica suscettibile di un medesimo unico trattamento.

Poiché ogni decisione inerente allo sfruttamento del diritto comune di proprietà industriale è astrattamente idonea a pregiudicare l'interesse di ciascuno dei contitolari a preservare l'integrità del proprio diritto, la regola che viene in rilievo è quella posta dall'art. 1108, primo e terzo comma, cod. civ. per il modello degli atti pregiudizievoli; quegli atti che - come per es. l'alienazione o la costituzione di diritti reali, o anche la locazione ultranovennale - segnando il limite di compromissione del diritto "di alcuno dei partecipanti", richiedono l'unanimità dei consensi.

Alla luce delle considerazioni suesposte, la Corte ha enunciato i seguenti principi di diritto:

  • "in caso di comunione sul marchio, il contratto di licenza d’uso a terzi in via esclusiva richiede, per il suo perfezionamento, il consenso unanime dei contitolari, perché la concessione al licenziatario dell’esclusiva priva i contitolari del godimento diretto dell’oggetto della comunione, e dunque rileva secondo il disposto dell'art. 1108, primo e terzo comma, cod. civ.";
  • "ove la licenza sia stata concessa in via esclusiva con l'accordo unanime dei titolari è sempre possibile il venir meno della volontà di prosecuzione di uno dei medesimi, il quale non è vincolato in perpetuo alla manifestazione originaria; tale circostanza implica la necessità di rinegoziare l'atto mediante una nuova concessione, da concordare ancora una volta con unanimità dei consensi".

 


Avv. Marta Miccichè