8 maggio 2023
Sulla tutela delle informazioni aziendali riservate: tra la disciplina di cui all'art. 98 c.p.i. e quella ex art. 2598 cod. civ.
Il Tribunale ordinario di Torino si è recentemente pronunciato in tema di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale per svolgimento di attività di concorrenza sleale consistente in atti di sviamento della clientela ai sensi dell’art. 2598 cod. civ..
La vicenda sottoposta all’esame del Giudice torinese coinvolgeva due società operanti nel settore della vendita di autoveicoli, una delle quali ha convenuto in giudizio l’altra per aver quest’ultima posto in essere atti di concorrenza sleale finalizzati allo sviamento della clientela e consistiti nell’illecita asportazione di dati informatici e documentazione.
Il Tribunale di Torino, nella sentenza n. 1634 del 2023, ha ricordato che, in merito alla tutela delle informazioni segrete, gli artt. 98 e 99 c.p.i. stabiliscono che sono oggetto di tutela le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, a condizione che:
- non siano generalmente note o facilmente accessibili agli esperti e agli operatori del settore,
- abbiano un valore economico in quanto segrete,
- siano sottoposte a misure ragionevolmente adeguate a tenerle segrete.
È pacifico in dottrina e giurisprudenza che le informazioni segrete ex art. 98 c.p.i. non esauriscono l’ambito di tutela delle informazioni riservate in ambito industriale, essendo utilizzabile la disciplina della concorrenza sleale contro gli atti contrari alla correttezza professionale ex art. 2598, n. 3, cod. civ. in relazione alla scorretta acquisizione di informazioni riservate anche se non caratterizzate dai requisiti di segretezza e segretazione di cui all’art. 98 c.p.i.. Tale tutela è riconoscibile, secondo quanto affermato dalla Suprema Corte, quando ci si trovi in presenza di un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, seppur non segregati e protetti, che superino la capacità mnemonica e l’esperienza del singolo normale individuo e che configurino una banca data che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito (Cass. n. 18772/2019).
La stessa Suprema Corte ha quindi precisato che l’illecito sviamento di clientela è un concetto estremamente vago e non tipizzato, non assimilabile ad altre figure sintomatiche di concorrenza sleale scorretta elaborate in modo tradizionalmente consolidato dalla giurisprudenza. Si afferma, in particolare, che il tentativo di sviare la clientela di per sé rientra nel gioco della concorrenza (che altro non è che contesa della clientela), sicchè per apprezzare nel caso concreto i requisiti della fattispecie di cui all’art. 2598, n. 3, cod. civ. e ritenere illecito lo sviamento occorre che esso sia provocato, direttamente o indirettamente, con un mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale. Non è sufficiente, dunque, il tentativo di accaparrarsi la clientela del concorrente sul mercato nelle sue componenti oggettive e soggettive, ma è imprescindibile il ricorso ad un mezzo illecito secondo lo statuto deontologico degli imprenditori. Tale non è l’utilizzo delle conoscenze e dei rapporti commerciali di un ex dipendente o di un ex agente, non vincolato da legittimo patto di non concorrenza (Cass. n. 18772/2019 cit.).
La Suprema Corte afferma ancora che in tema di concorrenza sleale per sviamento di clientela, l’illiceità della condotta non deve essere ricercata episodicamente, ma va desunta dalla qualificazione tendenziale dell’insieme della manovra posta in essere per danneggiare il concorrente, o per approfittare sistematicamente del suo avviamento sul mercato. Pertanto, mentre è contraria alle norme di correttezza imprenditoriale l’acquisizione sistematica, da parte di un ex dipendente che abbia intrapreso un’autonoma attività imprenditoriale, di clienti del precedente datore di lavoro il cui avviamento costituisca, soprattutto nella fase inziale, il terreno dell’attività elettiva della nuova impresa, più facilmente praticabile proprio in virtù delle conoscenze riservate precedentemente acquisite, deve ritenersi fisiologico il fatto che il nuovo imprenditore, nella sua opera di proposizione e promozione sul mercato della sua nuova attività, acquisisca o tenti di acquisire anche alcuni clienti già in rapporti con l’impresa alle cui dipendenze aveva prestato lavoro (Cass. n. 12681/2007).
Alla luce di tali principi il Tribunale di Torino ha analizzato le condotte oggetto di causa, concludendo per il rigetto della domanda di parte attrice.