19 ottobre 2015
Denominazioni di origine protetta dei prodotti agroalimentari e marchi: un rapporto complesso
Con la decisione qui in commento, il Tribunale UE si è pronunciato nuovamente sul rapporto tra denominazioni di origine registrate a livello comunitario (anche riferite a prodotti di paesi extra UE: nel caso di specie, l’IGP “Cafè de Colombia”) e i marchi successivi (nello specifico “Colombiano House”) registrati per prodotti/servizi diversi da quelli per i quali la denominazione può essere utilizzata.
Il Tribunale, ha confermato come anche le denominazioni di origine registrate a livello comunitario, rientrino a pieno titolo nell’ampia categoria di segni, diversi dai marchi registrati che, ai sensi dell’art. 8.4 del Reg. 207/09, possono essere validamente opposti ad una domanda di registrazione per marchio comunitario.
In particolare, il Tribunale ha ricordato come il citato art. 8.4 del Reg. 207/09 consenta di opporre ad una domanda di registrazione di marchio, tutta una serie di segni diversi dai marchi registrati ove tali segni siano anteriori al marchio e consentano al proprietario di proibire l’utilizzo (indipendentemente cioè dalla capacità di incidere sulla registrazione in sé) di un marchio successivo.
Sulla base di ciò, il Tribunale ha dunque evidenziato come l’art. 13 del Reg. 510/06 (relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari, oggi confluito nel Reg. 1151/12) stabilisca espressamente, tra le altre cose, il diritto dei soggetti legittimati a tutelare una denominazione, di proibire “qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata … nella misura in cui l'uso di tale denominazione consenta di sfruttare la reputazione della denominazione protetta” (e quindi, anche l’uso riferito a prodotti diversi da quelli per i quali la denominazione è propriamente utilizzabile), venendo così soddisfatto in toto il requisito normativo sopra indicato.
Secondo il Tribunale, quindi, il combinato disposto delle due norme, consente ai soggetti legittimati a tutelare una denominazione, di opporsi anche alle domande di registrazioni di marchio, persino ove riferite a prodotti/servizi diversi da quelli per cui la denominazione è usata, ove il loro utilizzo sia comunque idoneo a sfruttare la reputazione della denominazione protetta (nel caso di specie, tuttavia, l’opposizione era rivolta unicamente alla registrazione del marchio per i servizi della classe 43 – servizi di ristorazione – e quindi ad una categoria che è lecito ritenere intrinsecamente idonea ad agganciarsi illecitamente alla denominazione di specie).
Pare tuttavia lecito chiedersi (anche in ragione del fatto che il Tribunale non ha affrontato minimamente il tema) come, il giudizio relativo alla idoneità di un segno a sfruttare la reputazione della denominazione protetta, debba essere condotto con riferimento a segni per cui si chiede la registrazione ma che non siano ancora concretamente utilizzati sul mercato, specie ove la domanda di registrazione abbia ad oggetto prodotti/servizi non manifestamente riconducibili alla “sfera di influenza diretta” della denominazione.
Il Tribunale ha al contempo precisato come, in un’opposizione fondata sul diritto relativo ad una denominazione in base disposto dell’art. 8.4 del Reg. UE 207/09, sia errato (come avevano invece fatto sia la Divisione di Opposizione che il Board of Appeal Uami) negare la fondatezza della stessa in base a quanto stabilito dal diverso disposto di cui all’art 14 del Reg. 510/06 (ed un analogo discorso potrebbe essere fatto con riferimento all’ulteriore disposto di cui all’art. 7.1.k del Reg. 207/09) che impone il (diverso) divieto assoluto di registrazione (non di semplice uso, quindi, come richiesto invece dall’art. 8.4) di un marchio successivo alla denominazione ma unicamente nel caso in cui esso “concerne lo stesso tipo di prodotto”.