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17 dicembre 2024

Artessence vs. Vinicio: l’”INITIO” di un confronto tra virtuale e reale

di Francesca Quaiattini

All’interno di un contesto sociale e culturale in cui, sempre più, si sente parlare di mondo reale e di paralleli universi virtuali, la proprietà intellettuale non poteva certo sfuggire ai dilemmi legati all’evoluzione di tali realtà, cui, necessariamente, dovrà stare al passo.


È proprio in questo scenario che l’8 luglio 2024 la Divisione di opposizione dell’Ufficio Europeo della Proprietà Intellettuale (EUIPO) si è trovata ad emettere un’interessante e, per certi aspetti, pionieristica decisione in tema di analisi comparativa tra prodotti e servizi nel mondo reale e nel mondo virtuale. La questione riguarda un’opposizione depositata dalla Artessence FZC, titolare del marchio dell’UE

, registrato per profumi e cosmetici in classe 3 e per candele in classe 4, contro alcuni prodotti e servizi del marchio dell’UE

di titolarità dell’azienda di moda italiana Vinicio S.r.l., nello specifico articoli di profumeria e cosmetici nella medesima classe 3 e servizi di vendita di tali prodotti in classe 35.

Premessa necessaria per comprendere il prosieguo della vicenda è che la valutazione del rischio di confusione su cui le divisioni preposte si trovano a decidere implica una certa interdipendenza tra i fattori da analizzare, in primis la somiglianza tra i marchi e quella tra i prodotti e servizi coperti dagli stessi.

Ritenuta sussistente la somiglianza tra i segni INITIO PARFUMS PRIVéS e VINICIO, l’aspetto più spinoso è stato il raffronto tra prodotti del marchio anteriore azionato ed i servizi di quello successivo opposto.

Eliminando purtroppo la suspense sull’epilogo della questione, è necessario, ma solo al fine di poter effettuare dei ragionamenti in merito, svelare sin da subito che l’EUIPO si è schierato solo in parte a favore della Artessence.

L’opposizione è stata infatti accolta per tutti i prodotti in classe 3 coperti dal marchio VINICIO, ritenuti identici o molto affini a quelli dell’opponente, ma solo per parte dei relativi servizi di vendita in classe 35. Se infatti nessun particolare dilemma è sorto in relazione ai servizi di vendita al dettaglio, all’ingrosso, su internet e tramite cataloghi di saponi, profumeria, oli essenziali, cosmetici, lozioni per capelli, deodoranti, ecc. coperti dal marchio dell’azienda italiana, ritenuti simili a quelli del marchio INITIO, il problema si è invece posto per i servizi di vendita dei medesimi prodotti afferenti alla realtà virtuale, anch’essi rivendicati dal marchio contestato.

La Divisione di opposizione non ha infatti riscontrato affinità tra gli articoli di profumeria del marchio della Artessence e la vendita al dettaglio di profumeria virtuale e altri prodotti virtuali della Vinicio.

A tal proposito ricordiamo che, giuridicamente, esiste un rischio di confusione quando il pubblico di riferimento è indotto a credere che i prodotti o i servizi in questione provengano non da due aziende diverse bensì dalla medesima azienda o da aziende collegate. I fattori pertinenti relativi alla comparazione dei prodotti o servizi comprendono, inter alia, la natura e la destinazione dei prodotti o servizi, i canali di distribuzione, i punti vendita, i produttori, le modalità d’uso e la loro concorrenzialità o complementarità. Nulla quaestio, alla luce di quanto sopra, nel raffronto tra articoli di profumeria e servizi di vendita di profumeria “reali”, coperti dai marchi in oggetto.

Troppo sicura della consolidata prassi giurisprudenziale (afferente però al mondo reale), che dà per assodata l’affinità tra certi prodotti ed i servizi di vendita degli stessi, l’opponente non ha argomentato a sufficienza, né fornito indicazioni specifiche che avrebbero dovuto convincere gli esaminatori circa la sussistenza di un’affinità tra prodotti di profumeria e cosmetica reali e servizi di vendita degli stessi in un mondo virtuale.

Quello che le autorità affermano è che tale risultato non è affatto automatico se i prodotti si trovano nel mondo reale ed i servizi di vendita afferiscono alla realtà virtuale! Si tratta infatti di una “situazione nuova”, che non può essere considerata “nota” o consolidata, come nei precedenti casi. Il raffronto avrebbe dovuto essere analizzato in modo più puntuale e la sussistenza di una affinità illustrata in modo tale da non lasciare spazio ad alcun dubbio negli esaminatori.

L’Ufficio ha invece rilevato che se si confrontano i servizi di vendita al dettaglio contestati relativi a profumi, dentifrici, cosmetici, ecc. in ambienti virtuali nella classe 35 e i precedenti cosmetici e profumi nella classe 3, la natura, la destinazione e la modalità d’uso di tali prodotti e servizi non risultano necessariamente le stesse!

Sebbene, infatti, generalmente sussista una complementarità tra i servizi di vendita al dettaglio di determinati prodotti ed i prodotti specifici, a causa della possibile stretta connessione tra questi sul mercato dal punto di vista del consumatore, tale nesso non può essere rinvenuto nel caso di specie.

In primo luogo, gli esaminatori hanno chiarito che i prodotti reali ed i paralleli prodotti virtuali non fanno parte della stessa categoria di prodotti o, quanto meno, questo non può essere stabilito ex officio, proprio perché non è “fatto noto”: la circostanza che questi ultimi possano rappresentare o emulare le funzioni dei primi non li rende automaticamente identici o affini. In secondo luogo, come detto in precedenza, il fatto che un determinato prodotto sia l’equivalente virtuale di un prodotto reale non è di per sé sufficiente per riscontrare una somiglianza!

Di conseguenza, era fondamentale che le parti – nel caso di specie l’opponente Artessence – fornissero argomenti ed elementi di prova atti a dimostrare sotto quali profili i rispettivi prodotti e servizi fossero da considerarsi affini. Nella questione di cui si tratta, non sono invece stati portati argomenti o prove concrete che dimostrassero l’affinità tra i prodotti e servizi in questione (ad esempio, se sia usuale commercializzare prodotti virtuali e reali attraverso gli stessi canali di distribuzione o in che misura – e se – siano rivolti allo stesso pubblico di riferimento).

In un simile contesto, l’assenza di forti argomentazioni da parte dell’opponente, che si è limitata ad affermare che i prodotti ed i servizi di cui si discute sono affini senza argomentare specificamente perché, si è rivelata cruciale per l’esito dell’opposizione.

Questo precedente sarà sicuramente utile a chi, titolare di un marchio nel mondo reale, volesse contestare la registrazione e l’uso dello stesso nel mondo virtuale. Nel panorama europeo manca, ad oggi, un caso in cui un opponente sia riuscito nell’impresa di spiegare agli Uffici il nesso che si determina tra prodotti reali e servizi di vendita virtuali per appurarne la complementarità.

A mero titolo di cronaca, invece, si ricorda che una disputa analoga era sorta negli USA in occasione della vendita, nel metaverso, da parte dell’artista Mason Rothschild, di modelli digitali di borsa Birkin rivestita di pelliccia. All’epoca, il Tribunale di New York, adìto dalla Hermès, che evidentemente aveva saputo ben argomentare in merito, aveva stabilito una violazione dei diritti IP detenuti dalla casa di moda francese sulla iconica borsa.
 


Avv. Francesca Quaiattini
Bugnion S.p.a.