
marchi
10 febbraio 2025
Spray per difesa personale: distintività del segno tridimensionale e convalidazione del marchio
Sebbene, in linea generale, trovano applicazione le stesse regole e gli stessi criteri di valutazione di distintività stabiliti per i marchi in generale, la categoria dei marchi tridimensionali presenta alcune fisiologiche peculiarità, che rendono più complessa la valutazione concreta della loro capacità distintiva: per il consumatore medio, infatti, è inusuale presumere l’origine dei prodotti sulla base della loro forma o confezione, sicché solo un marchio che si discosta in maniera significativa dalla norma o dagli usi di un certo settore potrà considerarsi distintivo.
Sul tema della capacità distintiva dei marchi tridimensionali si è pronunciato il Tribunale di Milano con ordinanza del 30 gennaio 2025, nell’ambito di un procedimento cautelare promosso dalla ricorrente lamentando la contraffazione da parte della resistente del proprio marchio tridimensionale registrato e descritto come “spray per difesa personale”, nonché l’effetto confusorio per il pubblico derivante dalla condotta illecita posta in essere.
La ricorrente è una società tedesca che commercializza prodotti per la difesa personale. Ha registrato un marchio tridimensionale per il suo spray antiaggressione nel 2010 e lo ha rinnovato nel 2020. Ha rilevato che la resistente ha registrato un marchio tridimensionale simile nel 2017 e lo commercializza in Italia, causando confusione tra i consumatori. Pertanto la ricorrente accusa la controparte di contraffazione e concorrenza sleale, poiché il prodotto della resistente riproduce pedissequamente le caratteristiche di forma del proprio prodotto.
La resistente contesta le accuse sollevate, affermando tra l’altro che la ricorrente non ha mai presentato opposizione alla registrazione del marchio in questione pur essendone a conoscenza e ha tollerato la sua esistenza per oltre 9 anni.
Il Tribuna di Milano, nell'esaminare la sussistenza nel caso di specie dei requisiti richiesti dalla tutela cautelare del fumus boni iuris e del periculum in mora, ricorda che il marchio di forma e tridimensionale trova riconoscimento normativo sia a livello comunitario, negli artt. 4 e 7 del RMUE 2015/2424, che a livello nazionale, negli artt. 7 e 9 c.p.i.. Invero, possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa anche la “forma del prodotto o la confezione di esso”, purché siano atti: (a) a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese; (b) ad essere rappresentati nel registro in modo tale da consentire alle autorità competenti ed al pubblico di determinare con chiarezza e precisione l'oggetto della protezione conferita al titolare (art. 7 c.p.i.). Non possono, invece, costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni costituiti esclusivamente: (a) dalla forma, o altra caratteristica, imposta dalla natura stessa del prodotto; (b) dalla forma, o altra caratteristica, del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico; (c) dalla forma, o altra caratteristica, che dà un valore sostanziale al prodotto (art. 9 c.p.i.).
Sebbene, in linea generale, trovano applicazione le stesse regole e gli stessi criteri di valutazione di distintività stabiliti per i marchi in generale, la categoria dei marchi tridimensionali presenta alcune fisiologiche peculiarità, che rendono più complessa la valutazione concreta della loro capacità distintiva. Per tale ragione, il legislatore ha codificato con l’art. 9 c.p.i. le predette tre ipotesi in cui difetta la capacità distintiva dei marchi di forma.
La ratio dell’art. 9 c.p.i. è quella di impedire che un diritto rinnovabile senza particolari limiti di tempo, come è il diritto di marchio, possa finire con il monopolizzare perpetuamente: a) forme che derivano dalla forma naturale o standard del prodotto, in quanto non distintive; b) soluzioni tecniche o caratteristiche funzionali di un prodotto che possono, invece, essere tutelate tramite la disciplina dei brevetti per invenzioni, che ha durata limitata nel tempo; c) forme che, da sole, sono in grado di determinare la scelta dei consumatori, tutelabili attraverso la disciplina dei brevetti per modelli privativa, anch’essa temporalmente limitata.
Una volta che un marchio tridimensionale viene registrato, come nel caso di specie, esso si subordina alla generale disciplina del marchio registrato, sicché il suo titolare avrà il diritto di fare uso esclusivo dello stesso e, quindi, di vietare ai terzi, salvo proprio consenso: a) l’uso di segno identico per prodotti/servizi identici; b) l’uso di segno identico o simile per prodotti/servizi identici o affini, se l’identità o la somiglianza fra segni e l’identità o somiglianza fra prodotti/servizi genera confusione per il pubblico, anche in termini di associazione; c) l’uso di segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda di rinomanza e se l’uso del segno, senza giusto motivo, consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi (art. 20 co. 1 c.p.i.).
Anche l’apprezzamento sulla confondibilità fra marchi tridimensionali segue i criteri elaborati dalla giurisprudenza per il marchio in generale. Invero, tale apprezzamento deve essere compiuto dal Giudice di merito - le cui valutazioni si sottraggono al controllo di legittimità se congruamente e correttamente motivate - non attraverso un esame particolareggiato e una valutazione separata di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo, cioè, all'insieme degli elementi salienti grafici, fonetici e visivi.
In caso di marchio “forte” (in quanto frutto di fantasia senza aderenze concettuali con i prodotti contraddistinti), la tutela si caratterizza per una maggiore incisività, poiché rende illegittime le variazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del nucleo ideologico in cui si riassume l'attitudine individuante (Cass. civ., sez. I, 28/07/2023, n. 23067). In caso di marchio “debole”, invece, caratterizzato da una penuria di elementi individualizzanti capaci di imprimerlo nella memoria del consumatore e idonei a far emergere un rischio di confusione con altri marchi, la giurisprudenza è ormai concorde nel ritenere sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte (Cass. civ. sez. I, 20/09/2023, n.26877).
Anche secondo la giurisprudenza comunitaria la valutazione del rischio di confusione deve fondarsi sulla base della “impressione complessiva prodotta dai marchi in considerazione”, tenendo presente che “il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt'uno e non effettua un esame dei suoi singoli elementi” (Corte Giust. CE, 11 novembre 1997, in causa C-251/95, "Sabel"; Corte Giust. CE, 3 settembre 2009, in causa C-498/07; Corte Giust. CE, 12 giugno 2007, in causa C-334/05; Corte Giust. CE, 9 marzo 2007, in causa C-248/06. Con riferimento al fatto che il giudizio è condizionato dalla circostanza che normalmente il consumatore non ha sott'occhio entrambi i marchi, ma effettua il confronto tra un segno e il ricordo dell'altro, v. Cass. 17 ottobre 2018, n. 26001; Cass. 2 febbraio 2015, n. 1861; Trib. Bologna, 23 novembre 2009; Corte Giust. CE, 22 giugno 1999, Lloyd, C- 342/97; Corte Giust. CE, 20 marzo 2003, in causa C-291/99; Cass. civile sez. I, 12/05/2021, n. 12570).
Il Tribunale di Milano si sofferma poi sull’istituto della convalidazione del marchio, invocato dalla resistente.
A mente dell’art. 28 c.p.i., il titolare di un marchio d’impresa anteriore e il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, i quali abbiano, durante cinque anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l’uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore né opporsi all'uso dello stesso per i prodotti o servizi in relazione ai quali il detto marchio è stato usato sulla base del proprio marchio anteriore o del proprio preuso, salvo il caso in cui il marchio posteriore sia stato domandato in mala fede. Il titolare del marchio posteriore non può opporsi all’uso di quello anteriore o alla continuazione del preuso.
La norma, dunque, preclude al titolare di un marchio la possibilità di far valere la propria opposizione all’uso e alla registrazione dello stesso da parte di terzi, se ricorrono le seguenti condizioni: 1) che vi sia la consapevole tolleranza da parte del primo titolare di marchio dell’esistenza del marchio posteriore per cinque anni; 2) che vi sia stato un utilizzo del marchio posteriore con una certa estensione territoriale; 3) che vi sia stata successiva registrazione del marchio posteriore uguale o simile, in assenza di mala fede e non il semplice uso (Corte Giustizia, 22 settembre 2011, C-482/09, caso 17927/2008).
Tale istituto trova pacifica applicazione sia nell’ambito del conflitto tra marchio registrato e marchio di fatto che tra marchi ambedue registrati. La ratio dell’art. 28 c.p.i. è quella di evitare un esercizio distorto dei diritti appartenenti al titolare del marchio anteriore, come potrebbe accadere nell’ipotesi in cui quest’ultimo, una volta avuta conoscenza del marchio simile o identico di un concorrente registrato successivamente, anziché agire nell’immediato, domandando la nullità del suddetto marchio in quanto identico o simile al proprio, continui a tollerarne l’uso da parte del concorrente e si attardi nell’eccepirne giudizialmente la nullità, con l’intenzione di attendere che quest’ultimo si sia accreditato sul mercato per sostituirvi successivamente il proprio, lucrando ingiustamente sulla notorietà e sul credito conseguito dal marchio posteriore del concorrente.
La convalidazione del marchio non comporta né una perdita del diritto all’uso del proprio marchio né una forma di acquisto del diritto all’uso del marchio da parte di chi lo abbia adottato senza contestazione, ma integra un’ipotesi di decadenza dall’esercizio dell’azione di nullità o contraffazione, decadenza che può essere impedita soltanto dal tempestivo e corretto esercizio delle suddette azioni, restando invece irrilevante - a tal fine - l’eventuale invio di diffide stragiudiziali (Cass. civ., sez. I, 27/07/2021, n. 21566).
Secondo la giurisprudenza, la prova dell’utilizzo quinquennale continuato, effettivo e senza contestazioni del segno posteriore in un ambito non meramente locale, gravante su chi intende avvalersi degli effetti della convalidazione, deve essere valutata in modo rigoroso, in considerazione del fatto che l’art. 28 c.p.i. rappresenta una disposizione eccezionale e di stretta applicazione (Cass. civ., sez. I, 13/07/2018, n. 18736; Cass. civ., sez. I, 15/03/2023, n. 7504).
Alla luce dei principi esposti, il Tribunale di Milano ritiene che il ricorso proposto sia privo di fumus boni iuris, in quanto non appaiono presenti gli elementi costitutivi della contraffazione del marchio tridimensionale della ricorrente. Infatti, dall’esame sulla confondibilità dei marchi tridimensionali de quibus - eseguito secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria, dunque attraverso una valutazione globale dei segni e dei relativi elementi grafici, fonetici e visivi nel loro insieme - emerge l’assenza del rischio di confusione per il pubblico, anche in termini di associazione.
Considerando, peraltro, che il marchio tridimensionale oggetto di causa è un “marchio debole”, in quanto privo di particolare capacità distintiva, le differenze tra i segni in conflitto appaiono più che sufficienti ad escludere il rischio di confusione, sussistendo delle modificazioni o aggiunte di forma rispetto al prodotto originario.
Con riferimento al periculum in mora, infine, il Tribunale rileva che, se da un lato non è stato possibile desumere, anche sommariamente, che la ricorrente fosse a conoscenza del marchio tridimensionale già a partire dal 2017, dall’altro lato è emerso che detta parte era a conoscenza dell'esistenza dello spray della resistente quantomeno dal 2019. Ciononostante, la ricorrente ha proposto il proprio ricorso cautelare solo il 29 maggio 2024 e, dunque, a distanza di cinque anni dall’avvenuta conoscenza della messa in commercio del prodotto asseritamente contraffatto. Ne consegue che, proprio tale comportamento porta ad escludere la sussistenza del pericolo di un pregiudizio imminente e irreparabile che la ricorrente potrebbe subire nelle more del procedimento di merito.
Come è noto, infatti, la tutela cautelare va richiesta nei confronti di determinati beni e diritti presumibilmente esistenti (fumus boni iuris), per evitare che il titolare di questi subisca un pregiudizio irreparabile in attesa della definizione del giudizio di merito (periculum in mora). Il periculum in mora va, dunque, escluso allorquando la parte abbia fatto trascorrere un apprezzabile lasso di tempo tra l’evento prospettato come dannoso e la proposizione della domanda giudiziaria.
In conclusione, il ricorso proposto viene respinto.