31 luglio 2014
All'esame della Corte di Giustizia una domanda sulla brevettabilità di una tecnologia di produzione di cellule staminali
Il 17 luglio 2014 sono state presentate alla Corte di Giustizia UE le conclusioni dell’Avvocato Generale nella causa C-364/13 in materia di stimolazione attraverso la partenogenesi di ovuli umani non fecondati per creare cellule staminali e, conseguentemente, di brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche.
Secondo l’Avvocato Generale un ovulo il cui sviluppo sia stato stimolato senza fecondazione e che non sia in grado di divenire un essere umano non può essere considerato un embrione umano. Qualora, però, tale ovulo sia manipolato geneticamente in modo che possa svilupparsi in un essere umano, esso va considerato un embrione umano e come tale deve essere escluso dalla brevettabilità.
Il procedimento in esame offre alla Corte di Giustizia l’opportunità per trattare nuovamente la nozione di “embrioni umani” di cui all’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 98/44/CE del 6 luglio 1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. Ai sensi della direttiva, il corpo umano, nei vari stadi del suo sviluppo, non può costituire un’invenzione brevettabile. Tuttavia, un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto mediante un procedimento tecnico, può essere soggetto a tutela brevettuale. Nondimeno, sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all’ordine pubblico o al buon costume. In tale contesto, le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali non sono brevettabili.
Nella fattispecie, l’International Stem Cell Corporation (ISC) ha chiesto la registrazione di due brevetti nazionali presso l’United Kingdom Intellectual Property Office (Ufficio brevetti del Regno Unito): la domanda GB0621068.6 intitolata “Attivazione partenogenetica di oociti per la produzione di cellule staminali umane embrionali”, relativa a metodi di produzione di linee cellulari staminali umane pluripotenti da oociti partenogeneticamente attivati e linee cellulari staminali prodotte secondo siffatti metodi, nonché la domanda GB0621069.4 intitolata “Cornea artificiale ottenuta da cellule staminali retinali”, relativa a metodi di produzione di cornea o tessuto corneale artificiali, che comportano l’isolamento di cellule staminali pluripotenti da oociti attivati partenogeneticamente, nonché dalla cornea o tessuto corneale artificiali prodotti con tali metodi.
Nel corso del procedimento per l’ottenimento del brevetto, è stato obiettato all’ISC che le domande non sono brevettabili poiché le invenzioni esposte costituiscono utilizzazioni di embrioni umani non brevettabili in virtù dei criteri stabiliti dalla Corte di Giustizia in una precedente sentenza (sentenza Brüstle). In tale sentenza la Corte ha statuito che costituisce un “embrione umano” qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia stato stimolato a svilupparsi e che sia in grado da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano.
L’ISC ha sostenuto che quanto affermato nella sentenza Brüstle non dovrebbe essere applicato, poiché le invenzioni in questione riguardano ovociti partenogeneticamente attivati che non “sono in grado di svilupparsi in esseri umani come invece un embrione creato attraverso la fecondazione è in grado di fare” per effetto del fenomeno dell’imprinting genomico.
Alla Corte di Giustizia viene così sottoposta le seguente questione:
“Se gli ovuli umani non fecondati, stimolati a dividersi e svilupparsi attraverso la partenogenesi, e che, a differenza degli ovuli fecondati, contengono solo cellule pluripotenti e non sono in grado di svilupparsi in esseri umani, siano compresi nell’espressione «embrioni umani», di cui all’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 98/44 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche”.
Nelle conclusioni dell’Avvocato Generale si legge:
“Il criterio decisivo di cui si dovrebbe tenere conto per stabilire se un ovulo non fecondato sia un embrione umano è quindi se tale ovulo non fecondato abbia la capacità intrinseca di svilupparsi in un essere umano, ossia se esso costituisca davvero l’equivalente funzionale di un ovulo fecondato.
Considerati i fatti inequivocabilmente esposti dal giudice del rinvio e dalle parti del presente procedimento risulta ora chiaro che un partenote non ha, di per sé, la necessaria capacità intrinseca di svilupparsi in un essere umano e, quindi, in quanto tale, non costituisce un «embrioni umani». Di conseguenza e con una riserva che sarà esposta qui di seguito, occorre rispondere alla questione sottoposta dalla High Court in senso negativo, ovvero che gli ovuli umani non fecondati che, attraverso la partenogesi sono stati stimolati a dividersi e a svilupparsi ulteriormente, come descritto dal giudice del rinvio, non sono compresi nella nozione di «embrioni umani» di cui all’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva.
La riserva in questione riguarda l’eventualità sopra descritta che un partenote venga manipolato geneticamente in modo da potersi sviluppare a termine e dunque in un essere umano. Poiché siffatte manipolazioni sono già state sperimentate con successo su partenoti mammiferi non umani (ossia i topi) non si può escludere categoricamente che in futuro siano anche possibili riguardo ai partenoti umani, benché tali manipolazioni sarebbero spesso illegali.
Nondimeno, la mera possibilità di una successiva manipolazione genetica che alteri le caratteristiche fondamentali di un partenote non cambia la natura del partenote prima della manipolazione. Come ho affermato in precedenza, un partenote in quanto tale, sulla base dell’attuale conoscenza scientifica, non è in grado di svilupparsi in un essere umano. Ove il partenote sia manipolato in modo tale da acquisire effettivamente la rispettiva capacità, esso non può più essere considerato un partenote e, di conseguenza, non può essere brevettato.
Pertanto, alla questione della High Court non può essere data una risposta meramente negativa. Per prudenza occorre invece precisare che i partenoti possono essere esclusi dalla nozione di embrioni solamente nei limiti in cui non siano stati manipolati geneticamente in modo da essere in grado di svilupparsi in un essere umano.".
Alla luce di tali considerazioni l’Avvocato Generale propone alla Corte di Giustizia la seguente soluzione:
“Gli ovuli umani non fecondati, la cui divisione e il cui sviluppo ulteriore siano stati stimolati attraverso la partenogenesi, non sono compresi nella nozione di «embrioni umani», di cui all’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, fintantoché non siano capaci di svilupparsi in un essere umano e non siano stati geneticamente manipolati per acquisire siffatta capacità.”.
Spetta ora alla Corte decidere della causa.