5 gennaio 2022

Ascesa e caduta dell’attenzione nel ‘lavoro agile’

Secondo la celebre definizione di William JAMES “Tutti sanno che cosa è l’attenzione: è la presa di possesso da parte della mente, in forma chiara e vivida, di uno solo tra molteplici oggetti o pensieri” (JAMES W., Principles of Psychology,1890), centrata sulla caratteristica essenziale della sua funzione selettiva.

Venendo ai giorni nostri ed inserendo l’attenzione nel suo contesto cognitivo, potrei dire che “l’attenzione è il momento attivante nel processare il ricordo nella memoria” (SANDRI S., Cognitivismo e Proprietà Intellettuale, 2020). Ne risulta evidente il suo ruolo e la sua funzione nell’interpretazione e applicazione degli istituti della Proprietà Intellettuale (P.I.) nella misura in cui tutto si risolve nel confronto tra cosa percepiamo e cosa ricordiamo, come insegna la Corte di giustizia.

L’attenzione ha natura passiva, è una reazione istintiva o neurofisiologica del cervello a stimoli esterni o interni sensoriali, ma va  distinta dalla concentrazione mentale, che è invece un atto in cui è implicata la volontà con differenze quantitative (CHERRY E. C. (1953) Some experiments on the recognition of speech, with one and with two ears, 1953, nel famoso esperimento del cocktail party).

Questo mio scritto affronta un tema specifico, ma di estrema attualità: come e perché nel DAD (didattica a distanza) e più in generale nello smart working (lavoro agile) si constatano sempre più degli effetti collaterali negativi che si possono riassumere nella perdita ricorrente della concentrazione, che dell’attenzione è figlia.

L’indagine presuppone il riconoscimento e l’accettazione del principio della contestualizzazione, con il che intendo riferirmi a tutto l’insieme delle condizioni pertinenti e rilevanti nel caso di specie che accompagnano il riconoscimento dell’identità (intuitiva o razionale) della forma rappresentativa stessa. Il percetto deve essere recepito nella sua figurazione, denotata prima e connotata poi, ma la sua percezione viene sempre contestualizzata, come da tempo anticipato dai contributi della psicologia e dai più autorevoli studiosi della percezione (HUTCHINSON E., Cognition in the Wild, 1996; CLARK A., Being There: Putting Brain, Body and World Together,1997, che ricorda l’esserci, il ‘Das sein’ di HEIDEGGER; MIRZOEFF N., How to See the World, Introduction to the visual culture, 2015).

Anche nella P.I., infatti, il campo su cui si muove il recettore ed operano i processi percettivi, a partire dall’attenzione, è attraversato da tutta una serie di modalità nel tempo e nello spazio che attivano la attenzione del ricettore, la gestione delle informazioni nella sua memoria ed il suo comportamento. Di recente, la contestualizzazione dell’attenzione nell’area delle neuroscienze (WILLEMS R.M., PEELEN M.V., How context changes the neural basis of perception and language, 2021) ha permesso di chiarire ed approfondire cosa succede all’attenzione quando è coinvolta nei processi percettivi nelle funzionalità che qui interessano (DAD e lavoro agile).

Ma andiamo per ordine. Il DAD, come è noto, è una forma di didattica che avviene senza la presenza degli insegnanti e degli studenti in aula, avvalendosi piuttosto di strumenti elettronici ovvero online. Il termine si contrappone alla didattica in presenza, che è invece caratterizzata dalla presenza fisica degli studenti e degli insegnanti nelle aule.

A sua volta, Il ‘lavoro agile’ (o ‘ smart working’), è una forma di telelavoro definito nell'ordinamento italiano (legge 22 maggio 2017, n.819) come «una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa.».

La didattica e il lavoro a distanza, pur tenendo conto delle diverse contestualizzazioni, sono caratterizzati oggi dall’emersione di comuni effetti negativi indotti dalla ‘ripetitività’ dei processi operati e implementati dal COVID, già denunciati negli anni 50’ nelle ricerche pioneristiche di Herbert Alexander SIMON (SIMON H. A., Models of Man: social and rational; mathematical essays on rational human behavior in society setting, 1957).

In particolare, nelle applicazioni del ‘lavoro agile’, recentissime evidenze denunciano una ridotta capacità di trasferimento delle informazioni tra la forza lavoro, l'isolamento sociale del lavoratore e la difficoltà di separazione tra vita personale e attività lavorativa, con un sensibile aumento delle ore di lavoro giornaliero (11 rispetto a 8).

Il fatto è che le capacità funzionali del nostro cervello non sono illimitate. Come è stato rilevato anche da noi (LEGRENZI P., UMILTA’ C., Una cosa alla volta, 2016), il  nostro cervello non ha una capacità infinita, ma ha un suo costo energetico che genera ‘fatica’, che cerca di contenere secondo una stratega improntata al ‘risparmio’ e alla semplificazione dei problemi, ricercando la soluzione più rapida e comoda attraverso delle euristiche (KAHNEMAN D., Pensieri lenti e veloci, 2017 e da ultimo KAHNEMAN, D., SIBONY O., SUSTEIN C. R., Noise:  A Flow in Human Judgment, 2021). E questo afferisce direttamente ai processi decisionali di cui l’attenzione costituisce il momento prodromico fondamentale.

Tornando alle negatività apportate dal DAD e dal lavoro agile, è constatazione che in entrambe le situazioni i loro destinatari ed utilizzatori lamentano una situazione di disagio, insofferenza, frustrazione o semplicemente disturbo riconducibile, in sintesi, a quello che gli stessi interessati definiscono come una ricorrente ed intermittente perdita della concentrazione. Il problema, dunque, nasce dall’ ATTENZIONE, di cui – come abbiamo visto – la concentrazione è il prodotto.

Ora, tutti sanno – lo confermano gli esperti e i test della comunicazione – che l’attenzione verso chi parla, o in generale comunica, ha una caduta verticale dopo circa 20 minuti, come è manifesto dal grafico della curva fisiologica dell’attenzione, probabilmente dovuta a Hermann EBBINGHAUS, il fondatore della psicologia sperimentale (EBBINGHAUS, H. Uber das Gedacchtnis- Untersuchungen zur Experimentellen Psychologie, 1885), qui riportata:

Non è un caso che le rappresentazioni più avanzate degli eventi della comunicazione collettiva, come i Webinar, limitano gli interventi, appunto, a 20 minuti.

Se partecipo a una conferenza o leggo un testo, dopo una ventina di minuti comincio a pensare alla mia barca a vela e la mia mente, infastidita, comincia a divagare (CORBALLIS M.C., The Wandering Mind, 2015). Ergo, la trasmissione-acquisizione dell’informazione-conoscenza attraverso una connessione on line, DAD o lavoro agile che sia, dovrebbe imporre una pausa, diciamo di almeno cinque minuti, ogni venti, in modo da permettere all’utente il necessario recupero dell’attenzione e superare la presumibile perdita della concentrazione. Un’ ora di lavoro dovrebbe così diventare di 75 minuti (20 +5 +20 +5 + 20 + 5). L’allungamento del tempo sarebbe però ampiamente compensato dall’aumento della sua produttività e qualità.

Prevengo l’obiezione di come praticamente dovrebbe essere organizzato a monte la fluidificazione del lavoro – nei termini proposti – da parte del proponente, ma se penso a un’insegnante o alla programmazione dei compiti per le vacanze assegnati a mia nipote, Giulia, per le vacanze non mi pare davvero che ci troviamo davanti a un problema insormontabile!

Si tratta piuttosto di riconsiderare la comunicazione dell’informazione e della conoscenza inserendo la variabile temporale fisiologica dei limiti dell’attenzione. E questo sì, può rappresentare un problema, nella misura in cui la gente tende a conservare piuttosto che cambiare e innovare. Ma la tecnologia informatica può aiutare.

A prescindere da quello che può succedere a monte, l’emittente di cui parla Edith JACOBSON (JAKOBSON R., Linguistique et theorie de la communication,1963) resta comunque che l’utente può sempre scegliere di adottare il metodo proposto, ma sistematicamente e consapevolmente.  

L’incremento della qualità e produttività del proprio lavoro consentirà, infine, all’utente di recuperare una parte del proprio tempo, riversandolo nel suo tempo libero.
 


@2022 - Prof. Avv. Stefano Sandri