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26 marzo 2014

"Italian Quality": audizioni delle rappresentanze delle imprese da parte della Commissione del Senato

Nel corso del mese di marzo è stata avviata l'indagine conoscitiva nell'ambito dell'istruttoria legislativa sul disegno di legge n. 1061 - assegnato alla 10ª Commissione permanente (Industria, commercio, turismo) del Senato il 28 novembre 2013 - che prevede l'istituzione del marchio "Italian Quality" ai fini dell'identificazione dei prodotti italiani che presentano caratteristiche di eccellenza.

Si sono così svolte le audizioni delle rappresentanze delle imprese (Confartigianto, CNA, Confesercenti, Confcommercio, Casartigiani, Confindustria) che hanno depositato la relativa documentazione nella quale hanno esposto le proprie osservazioni in merito all'istituzione del nuovo marchio previsto dal disegno di legge.

In particolare, la Confindustria ha spiegato che, essendo da sempre impegnata per la promozione, la valorizzazione e la tutela delle produzioni nazionali sui mercati esteri nella consapevolezza che esse sono fondamentali per la competitività complessiva del Sistema Paese, è da ritenere apprezzabile che "il legislatore abbia profuso i suoi sforzi verso questi obiettivi con la predisposizione di un disegno di legge e che abbia consultato le parti interessate", ma ha anche illustrato i propri dubbi al riguardo:

"...  va verificato che non sussistano profili di incompatibilità con le norme comunitarie. Permangono forti dubbi che l’utilizzo del marchio Italian Quality costituisca un reale vettore di internazionalizzazione e che esso incentivi il rientro degli investimenti in Italia, mentre si avverte il rischio i suoi effetti vadano a detrimento della competitività complessiva del sistema industriale nazionale depotenziando il valore del Made in Italy ed impiegando risorse finanziarie senza un’accurata definizione dei risultati attesi. Infine il sistema per l’istituzione dell’albo e la definizione dei disciplinari settoriali appare suscettibile di comportare costi ed oneri ingiustificati per le imprese.". 

La Confesercenti, da parte sua, ha affermato:

"Non si può sottacere come lo sviluppo dei marchi volontari abbia finora messo in evidenza talune criticità, quali l’eccessiva eterogeneità delle diverse soluzioni adottate, tali da non consentire l’uniforme riconoscibilità dei marchi sui mercati, nonché la mancanza della possibilità di definire un piano organico di promozione, rendendo meno individuabile per il consumatore il valore del bene e meno appetibile per l’impresa l’adesione ai sistemi di tracciabilità. In tal senso, il ddl, pur perseguendo l’obiettivo di un marchio unico, adotta solo in parte i criteri adottati dalla UE per definire il “Made in”, che fanno riferimento al codice doganale. Si tratta di un approccio ancora insufficiente a indicare un prodotto interamente realizzato in Italia. In ogni caso, considerando la proposta come un primo, necessario passo verso l’adozione delle misure auspicabili, si condividono, nella sostanza, i principi in essa contenuti.".

La Confartigianato ha infine riscontrato, pur condividendendo quanto affermato nella relazione introduttiva al disegno di legge 1061 con riferimento alla valorizzazione delle produzioni italiane, alla valorizzazione delle loro qualità riconosciuta a livello mondiale, e alla necessità di fornire al consumatore gli strumenti per effettuare acquisti in maniera consapevole,

"un evidente scollamento tra le premesse al disegno di legge, che come detto, sono a nostro parere in gran parte condivisibili, ed il suo articolato che non mantiene queste enunciazioni.". E ritiene auspicabile "una revisione complessiva dell’impianto che, preservandone il lodevole intento della valorizzazione delle produzioni nazionali, colga effettivamente gli aspetti qualificanti per i quali il consumatore preferisce sui mercati il “vero” made in Italy, ovvero l’effettiva ed integrale realizzazione del prodotto nel nostro Paese, potenziando il dispositivo della legge 166/2009 attraverso un impianto promozionale adeguato, quale potrebbe essere l’incentivazione al ricorso volontario dei produttori a libere indicazioni supportate da sistemi di rintracciabilità che ne qualifichino e ne certifichino la provenienza delle lavorazioni, mettendo in campo risorse per sostenere l’adozione dei sistemi di tracciabilità e sostenendo l’internazionalizzazione delle imprese che se ne avvalgono.