La Suprema Corte è stata chiamata ad annullare una sentenza della Corte d'appello di Milano, che si era pronunciata in merito alla penale responsabilità dell'imputato, dichiarata in primo grado, per aver commesso il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci di cui all’art. 517 cod. pen. ed aveva riqualificato il fatto come frode nell’esercizio del commercio ai sensi dell'art. 515 cod. pen.. La Cassazione, invece, accogliendo la censura del ricorrente, rubrica il fatto come tentativo di reato enunciando il principio di diritto per cui "costituisce tentativo di frode in commercio (e non il reato nella sua forma consumata) la detenzione, presso l’esercizio di vendita e/o i magazzini aziendali, di un prodotto di natura diversa, per origine, provenienza, qualità o quantità, da quella dichiarata, ove si tratti di merce effettivamente destinata alla vendita".